Formula 1
F1 Backstage
Stefano Olivari 22/10/2024

Abbiamo già detto di essere stati enormi tifosi di Riccardo Patrese? Sicuramente sì, visto che Indiscreto esiste da 24 anni. Tifosi con un’intensità maggiore rispetto ad altri nostri favoriti in Formula 1 come De Angelis, Senna, Irvine, Montoya, Alonso e adesso Leclerc. Di Patrese ci piaceva tutto, anche la sfortuna in gara (detto di uno che sul podio ci è andato 37 volte…) e le scelte di mercato quasi sempre sbagliate, compresa la rottura con la Williams prima dell’ultima sua stagione in Formula 1, quella 1993, con Benetton e Briatore che gli impedirono di stracciare il contratto già firmato appunto con la Benetton.
Per noi devoti di San Kindle inevitabile gustarci in notturna dalla prima all’ultima riga F1 Backstage – Storie di uomini in corsa, l’autobiografia dell’ora settantenne pilota padovano. Il libro scritto con Giorgio Terruzzi sembra avere ben poco dell’estro di Terruzzi ma anche delle palle di Patrese, uno che da debuttante in Formula 1 riuscì a reggere il bullismo di Lauda e Hunt, non soltanto per l’incidente che causò la morte di Peterson a Monza 1978 e che per molto tempo fu ritenuto responsabilità di Patrese. Vicenda finita in tribunale, con video e foto a raccontare un’altra storia, e ulteriori testimonianze molti anni dopo ad attribuire le responsabilità, nel caso ce ne fossero (tutto partì da un semaforo verde dato troppo presto e con macchine ancora in fase di posizionamento), soprattutto a Hunt, cioè il principale accusatore di Patrese.
In F1 Backstage sono più le cose che Patrese evita di dire che quelle che dice, ma le sue antipatie grandi e piccole sono evidenti: i citati Lauda e Hunt, poi Piquet e Mansell. Certo non un amico di Prost, al quale riconosce l’intelligenza, e nemmeno di Senna, per il quale l’ammirazione era ed è sconfinata sotto ogni profilo, buonissimo invece il rapporto con Schumacher cementato anche dall’impegno del tedesco nella nazionale piloti (il calcio uno dei tanti sport di Patrese, partito dal nuoto). Che abbia potuto resistere 17 stagioni in Formula 1, avendo contro quasi tutti quelli veri, è una medaglia al valore seconda soltanto al fatto di essere vivo, anzi un sopravvissuto come dice lui, rispetto ad un’epoca in cui la sicurezza dei piloti era più vicina a quella degli anni Trenta che a quella di oggi.
Patrese per la velocità e il coraggio d’altri tempi piaceva ai boss della Formula 1, a partire da Bernie Ecclestone, suo grande sponsor anche una volta smesso di fare il costruttore, e Frank Williams, con il quale sbagliò sia a inizio carriera (il Mondiale di Alan Jones sarebbe potuto essere suo) sia alla fine, ma anche Enzo Ferrari lo teneva d’occhio fin dai tempi della Shadow e nel libro Patrese dice che se fosse saltato l’ingaggio di Villeneuve, che in quel finale di 1977 era di fatto in prova, Ferrari lo avrebbe messo sotto contratto. E pensando a come Villeneuve era stato linciato mediaticamente dopo l’incidente del Fuji si può dire che quello scenario sia stato vicinissimo.
In definitiva un buon libro, senza sorprese per gli appassionati di Formula 1 ma con il pregio del racconto in prima persona e il tono giusto, di un campione contento di essere ancora vivo, con una famiglia allargatissima, e di poter raccontare a noi canottierati l’ultima grande epoca dei piloti-eroi, il cui mito era direttamente proporzionale alla probabilità di morire in gara.
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