Esajas continua a sognare

5 Novembre 2009 di Alec Cordolcini

di Alec Cordolcini

1. Da un piccolo campetto in un villaggio spagnolo all’esordio a San Siro con la maglia del Milan in meno di due anni. Da un lavoro come lavapiatti in ristorante messicano di Madrid alla grande avventura nel campionato italiano, con inclusa tappa in quel di Lecco. La storia di Harvey Esajas sembra un’appendice del romanzo “Cuore” di Edmondo De Amicis. Al suo interno troviamo amicizia, solidarietà e tanta dignità. Una vera e propria favola che dimostra come a volte anche in un calcio sempre più soffocato dai miliardi e dalla mancanza di etica sia ancora possibile trovare un residuo di umanità. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per ascoltarla di nuovo.
2. “E’ stato un sogno che si avverava”, dice oggi il 35enne Esajas. “Mi ero ritirato dal calcio dopo un infortunio al tendine d’Achille. Avevo lasciato lo Zamora, nella terza divisione spagnola, e mi mantenevo facendo diversi lavoretti: ho aperto un negozio di dischi, poi ho fatto il barista. Nella primavera del 2004 vengo contattato dal mio amico Clarence Seedorf. Mi offre la possibilità di allenarmi a Milanello con il Milan. Il problema era che pesavo 99 chili e che non giocavo una partita ormai da due anni”. Ma l’offerta è troppo allettante e Harvey ci si butta a capofitto. C’è da sudare, e parecchio, ma la bilancia comincia a scendere. Dopo qualche settimane Esajas si trova con 12 chili in meno e un contratto in più. “Firmai per un anno con il Milan. Quella fu la stagione della finale di Champions League contro il Liverpool. Ero in panchina a Istanbul, ricordo ogni momento. Tutto perfetto, tranne il finale: da 0-3 a 3-3, e poi la sconfitta ai rigori. Per il sottoscritto però era già tanto essere lì”.
3. Chiusa l’annata con il Milan, con tanto di debutto in prima squadra il 12 gennaio 2005 in Coppa Italia contro il Palermo (pochi minuti finali al posto di Massimo Ambrosini), la nuova maglia per Esajas è quella bluceleste del Lecco. E’ la stagione 2005-2006, quella del ritorno nel calcio professionistico. Il 28 luglio era sfilata in Piazza Garibaldi l’intera rosa della squadra per festeggiare il ritorno in Serie C-2. Passata l’euforia, arriva il momento di rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. Tra le novità del mercato, ecco un olandese dal curriculum discontinuo ma comunque importante (giovanili di Ajax e Anderlecht, quindi, tra le altre, Feyenoord e Real Madrid B). “Una città splendida, Lecco, molto calorosa e accogliente. Ma in campo è stata un’annata difficile. C’erano problemi, la squadra non girava e la società era in fase di transizione. Mancava chiarezza”. Sarà salvezza all’ultima giornata grazie ad una vittoria sul campo della Biellese con rete di Christian Arrieta. Il contributo offerto da Esajas è limitato: esordio come esterno destro di centrocampo contro il Portogruaro, poi tanta Berretti. A fine stagione arriva il momento dei saluti. Molti appassionati però ricordano ancora quell’omone con il viso segnato dalle cicatrici, e visibilmente soprappeso, che fuori dal Ceppi-Rigamonti non mancava mai di dispensare un sorriso o una parola gentile. Sereno per ciò che la vita gli aveva regalato. “Ne avevo passate tante, non era certo un contratto scaduto a preoccuparmi. Aspettai fino a Natale, poi decisi di ritirarmi. Questa volta definitivamente”.
4. Ma l’esperienza italiana di Esajas non è stata tutta rose e fiori. “A Lecco c’erano problemi a livello societario. Come infatti accade in numerose società della Serie C italiana, gli stipendi non venivano pagati regolarmente. Un malcostume purtroppo diffuso, e non solo in Italia, dal momento che anche in Spagna ho vissuto una situazione simile quando ho lasciato il Real Madrid B per giocare in terza divisione. Tengo comunque a precisare che adesso con il Lecco è tutto risolto”. Si parla di mesi di ritardo. “La scusa a volte era quella dei risultati negativi; la squadra non giocava bene, e quindi per aumentare concentrazione e tensione si ritardavano i pagamenti. Un modo di agire assolutamente non giustificabile, perché la paga non è alta e a fine mese ci sono i conti di saldare, senza dimenticare chi ha una famiglia da mantenere. In realtà si cerca di mascherare un problema strutturale della Serie C, che è la mancanza di liquidità. Molte società vivono al di sopra dei propri mezzi”. Aiutate da un certo lassismo a livello regolamentare. “E’ un circolo vizioso. Molte società, non essendo piazze appetibili, per attirare giocatori importanti o giovani di talento fanno promesse che poi non possono mantenere. Offrono tanti soldi, ma poi pagano regolarmente solo i primi tre mesi. Tanti ragazzi cadono in queste trappole, alle quali è difficile sfuggire anche per una certa confusione di ruoli. Ho visto tante società dove il direttore tecnico era nel contempo il procuratore di alcuni giocatori. Mi chiedo: queste persone rappresentano gli interessi di chi? Del club, dei giocatori o di sé stessi? Il calcio italiano è troppo bello per permettere a simili persone di rovinarlo”.
5. Un’altra piaga nel calcio odierno è rappresentata dal razzismo. “Ho letto del caso Balotelli. Io non ho mai avuto problemi negli stadi, né in campo. Con questo non voglio dire che non esiste razzismo, ma semplicemente che a me non è capitato niente di spiacevole. I fischi al mio amico Seedorf? Il Milan è un grande club e il rapporto con i tifosi è speciale. Sono abituati bene, pretendono sempre tanto dai giocatori. I fischi a Clarence sottolineano implicitamente che loro lo considerano un campione. E ai campioni si chiede sempre di più. Sicuramente i mediocri non li fischia nessuno, perché non se li fila nessuno”.
6. Oggi Harvey Esajas ha preso il patentino di allenatore in Olanda (“il miglior nostro talento emergente? Sicuramente Eljero Elia, ex Twente oggi all’Amburgo”) e allena un club dilettante della zona di Amsterdam, l’Sc Buitenveldert. “Fino allo scorso anno ho guidato la selezione giovanile, adesso sono il tecnico della prima squadra. Il calcio che voglio insegnare prende spunto sia dalla scuola olandese, quindi mentalità offensiva, che dai grandi tecnici italiani, maestri di tattica. Ammiro molto Hiddink e Ancelotti, e il mio obiettivo è quello di poter allenare un domani nel campionato italiano. Sono tifoso del Feyenoord sin da quando ero bambino, e non nascondo che partire da lì non mi dispiacerebbe.”. Del resto i sogni, come ci ha insegnato lui stesso, a volte si avverano veramente.
wovenhand@libero.it
(per gentile concessione dell’autore)
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