Epidemia di invidia

20 Novembre 2010 di Enzo Palladini

di Enzo Palladini
Quando si arriva con la fama di superpagato il primo obbligo è quello di vincere lo scetticismo. Quando arrivò all’Inter tutti sapevano che teneva moltissimo alla maglia numero 9, una specie di marchio di fabbrica. Ivàn Zamorano disse chiaramente che non gliela voleva lasciare, così attraverso una serie di ragionamenti si arrivò alla conclusione di dover scegliere tra la 10 e la 17.

Ronaldo voleva la 17, numero che in Brasile non è considerato iettatorio, ma alla fine lo convinsero a prendere il 10 lasciando il 17 a Checco Moriero che se lo prese volentieri perché gli aveva sempre portato fortuna. La gelosia e l’invidia sono brutte malattie: la Pinetina nell’agosto 1997 sembrava colpita da un’epidemia, che colpiva soprattutto i reduci dalla stagione precedente. Maurizio Ganz era tra i più agitati e un giorno, sullo scalone che porta alle camere del ritiro nerazzurro, si lasciò andare: ”Non capisco perché abbiano preso un altro attaccante, visto che eravamo già in tanti”. La competitività di quello che ‘El segna semper lu’ non aveva limiti, però la storia dice che di solito una berlina se corre contro una Ferrari perde.

E’ bello rileggere qualche dichiarazione dell’epoca, ricordando come qualcuno dicesse ”Ronaldo si dovrà conquistare il posto in squadra, nessuno ce l’ha assicurato per diritto divino”. In epoca più recente il Fenomeno avrebbe poi rivelato: ”Il calcio è un mondo falso, conto sulle dita di una mano i veri amici. Tu stai per mesi in ritiro: dormi, ti svegli, mangi insieme a un compagno, poi il compagno se ne va e nemmeno ti telefona. Zamorano e Moriero abitavano nel mio stesso palazzo, ma io non sono mai stato a casa loro né loro a casa mia”. I risultati lavano via tutto, anche qualche macchia che sul momento sembra indelebile: ”Quando sono arrivato all’Inter alcuni giocatori avevano formato un gruppetto per mettermi da parte. Da parte loro c’era quell’atteggiamento, quell’abitudine di fare battute che tu non capisci perché non sai ancora bene la lingua e quella voglia di parlare male alle spalle. Credo sia stato tutto dettato dall’invidia per la mia fama”. Di sicuro Ronaldo avrebbe fatto la fortuna, per lo meno finanziaria, di molti di quegli invidiosi.

C’era poi l’inevitabile grande dibattito sull’adattabilità o meno del Fenomeno alla serie A. Molti autorevoli commentatori dicevano che non tutti i campioni affermati in Spagna poi vanno bene anche nel campionato italiano. Ma Ronaldo non era tutti i campioni, era un giocatore che avrebbe ottenuto grandissimi risultati in qualsiasi paese e in qualsiasi epoca. I vecchi cuori nerazzurri invece ci credevano, eccome. E Walter Zenga suggerì la tattica a Gigi Simoni: ”Palla a Ronaldo e tutti ad abbracciarlo”. Zenga forse scherzava, ma più o meno fu quello che avvenne.

L’esordio ufficiale di Ronaldo nell’Inter è datato 31 agosto 1997. Una domenica torrida, una partitaccia di quelle che ti sembra di non poter risolvere. Un po’ di emozione, tanta tensione, all’intervallo Moratti aveva la faccia delle peggiori occasioni. La sua squadra stava perdendo in casa contro il Brescia, gol di Hubner, la tentazione era quella di licenziare Simoni seduta stante. Ronaldo non riceveva palloni, i compagni erano tutti nella loro versione peggiore. Per sua fortuna Simoni inventò la sostituzione della vita, dentro Recoba e doppietta del Chino con due bombe da lontano. Quel giorno Recoba si guadagnò il titolo di pupillo del presidente e su quella doppietta avrebbe vissuto di rendita per anni, mentre Ronaldo si mise già nella condizione del debitore. Niente gol all’esordio (ma come abbiamo visto gli è capitato spesso), prestazione abbastanza anonima, critici scatenati. C’era già chi aveva deciso che il Fenomeno aveva scelto il campionato sbagliato: giù piombate di parole sull’inadattabilità al calcio italiano, oltre a inchieste sulla differenza tra la durezza delle difese italiane e di quelle spagnole. Per fortuna con la carta dei quotidiani del giorno prima si incartano pesce e olive, così si sono dimenticati gli editoriali in cui si sosteneva che il fuoriclasse di quell’Inter sarebbe stato Djorkaeff e non Ronaldo.

Due settimane e un tempo. Questa fu l’attesa per cambiare giudizi e pregiudizi sul numero 10 dell’Inter, autore del suo primo gol ufficiale in Italia il 14 settembre a Bologna. Quel giorno Simoni si inventò Ganz in un ruolo atipico, attaccante esterno destro: più avanti lo avrebbe affidato a Moriero, che grazie a quello spostamento andò al Mondiale. L’Inter giocò una partita convincente. Dopo il primo tempo vinceva 2-1 con un colpo di testa di Galante e un bellissimo inserimento di Ganz (punizione di Baggio allo scadere per i rossoblu), poi nella ripresa arrivò il primo gioiello: palla dentro per Ronaldo, favoloso controllo spalle alla porta e movimento delizioso che fece sdraiare per terra il povero Massimo Paganin, piatto sinistro e gol del 3-1. La partita finì 4-2 grazie a Djorkaeff e ad un rigore di Baggio, ma soprattutto segnò la data di nascita del vero Ronaldo italiano. Mettendo anche addosso a Moratti la voglia di prendere Baggio, che avrebbe soddisfatto una manciata di mesi dopo.

(dal libro ‘Paura del buio’ di Enzo Palladini, Indiscreto editore)

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