La pallacanestro prima di Peterson

9 Maggio 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni da quella meravigliosa ex isola veneziana dei matti a San Servolo dove, appunto, si sono radunati i Maturi Baskettari aspettando il bollettino sull’acqua alta a San Marco dei nottambuli Bariviera e Bogarelli che fra i soffioni hanno trovato un Bertini agile, ironico, pungente come sempre dopo aver discusso con Nane Vianello sulle storture di un mondo, anche fra i canestri, che certo non raddrizzeremo noi passatisti, noi che ci guardiamo indietro perché avanti vediamo una Lega slegata, una Federazione che amareggia i credenti minacciandoli come facevano gli inquisitori nel nome di una rosa che sembra soltanto loro. Alba splendida di San Servolo vedendo manovrare in laguna una gigantessa per crociere. Dopo la cena ben riuscita, il coro stonato per il compleanno del Nane Vianello mancino de dios nato il 6 maggio del 1938, viaggiatore per scelta e destino, gloria della prima Varese tricolore, del Simmenthal che ha vinto la prima Coppa dei Campioni, giustiziere per la Reyer, le ciacole, le finte litigate con Bariviera che non ricorda bene Rubini quasi come il Gramellini che da Fazio ci ha fatto venire il nervoso, per una volta (quasi sempre è divertente), raccontando come siamo fatti (male).

Parentesi prima di guardare in televisione, di ritorno, come sempre in ritardo, da Venezia (qualcuno a Trenitalia ha mai fatto una statistica sugli appuntamenti mancati per i poveri prigionieri, andata e ritorno, delle frecce bianche da Torino a Venezia, passando per Milano?) il più bel trattenimento televisivo, quello del sabato con Fazio e Frassica che ci ruba le dirette sport, anche se il rimpianto non è mai esagerato. Meglio ridere e pensare col gruppo del ligure smanioso.

Dunque serata d’inizio play off, come sempre Indiscreto commenterà dopo le prime eliminazioni, perché in corsa fa ridere, e da Fazio arrivano circondati da aureole che forse non meritano così dorate il Gallo Gallinari, accompagnato dal padre Vittorio con barba, Beli Belinelli che porta tatuato sul braccio il cap di Sangio, la sua San Giovanni in Persiceto, e, cari amici sportivi, un Dan Peterson che alle battutacce risponde con il sorriso di quelli che sanno stare al mondo come sappiamo bene tutti, anche quelli ripudiati per far piacere a qualche spallone, ai nati sciocchi e non soltanto servitori, ai ricchi per interposta persona. Ci parlano della loro America, del loro Cile, raccontano, cantano, sorridono, poi arrivano ad Azzurra. Sui play off che partono zero commenti. Giusto. Salvo poi dare la parola a Gramellini che non deve aver fatto bei sogni come dice il titolo del suo libro stravenduto. Ci dice che il basket, prima di Peterson, era poca roba. Grigo pensaci tu ad organizzare notturni come facevi al Giorno per il vicedirettore della Stampa quando sbagliava, eh sì sbagliava spesso anche lui, come suggerisce il suo ex collega Giganton Dallera. Intanto tenete calmi Rubini, Giordani, il professor Nikolic, Paratore e Giancarlo Primo, per non parlare di chi ci ha dato un quarto e quinto posto olimpico, la prima coppa dei campioni, una storia dorata come i figli adottati del cumenda Borghi. Gloria a Peterson. Niente da dire. Lui, come Helenio Herrera nel calcio, ha cambiato l’italianuzzo medio del basket, anche se separare l’uomo dal personaggio è sempre stato il segreto per non rimanere delusi.

Chiusa la parentesi torniamo alla nostra alba di San Servolo aspettando gli studenti di belle arti prima d’imbarcarsi sulla flotta organizzata da un principe come Stefano Gorghetto che in questa vita oltre i canestri ha mantenuto la classe che ne faceva qualcosa di speciale sul campo anche se lui pensa di non essere stato trattato sempre bene da criticoni bavosi come noi. L’ex isola dei matti oggi è un paradiso per artisti e, infatti, Vittorio Dal Pozzo, ideatore della sigla per i maturi, era pronto a lasciare in ostaggio il nostro pittore e scultore Conti a raccontare come lo sport, anche se fatto ad alto livello, non chiude alcuna strada. Conti che poteva portare anche il suo meraviglioso figliolo raccontato così bene in “Vale tutto” da Lorenzo Sani per il viaggio nella guerra insieme ad Attruia cercando il guru dei fondamentali nel collegio fra le bombe di Dule Vujosevic.

Dicevamo di quella città galleggiante che nessuno vorrebbe sul canal Grande. Metafora della montagna che ci sbatacchia con le sue onde anomale in questa laguna cestistica dove se la cantano fra di loro, orchi ed erinni del microfono, della considerazione tecnica che non può essere la descrizione dell’azione appena vista, dove è difficile saltare in aria per ogni giocata appena decente, come se davvero ci fossero da vedere cose incredibili sul campo. Abbiamo ancora bisogno del tre palle cento lire? No. Chi ama e conosce, guarda e spera che non urlino troppo. Chi non sa, non conosce, magari torna indietro appena sente strepitare, parlare di meraviglie, miracoli, di clima play off. Accidenti, non vedevano l’ora di spiegare la differenza di un tuffo per recuperare in campionato e nella serie dove il domani è breve, ma poi questo pesciolone preso all’amo dei decibel sa capire e, magari, crede anche di essere preso in giro se poi questi squadroni in Europa le prendono da quasi tutti. Non fingete orgasmi alla prima palla a due. Se ai quarti siete così, per la finale andrete sottobraccio all’analista del superlativo? Negli sport col metro e il cronometro si sa chi racconta balle. I tempi, il tempo, la misura. Nel resto del pianeta sportivo esistono imprese da misurare ad ogni livello, cercando la felicità dove puoi permettertela, ma ci deve essere differenza.

Allora mostro in Laguna e pensieri quasi tristi se non ci fosse in giro Lorenzo Sani a raccontare della meraviglia che a fine mese gli “Amici di Willy” faranno a San Lazzaro organizzando una manifestazione da brividi fra atleti normodotati e quelli che animano lo sport paralimpico dove si lavora duro, si soffre, anche se, come spesso in Italia, c’è chi pretende autoblu immeritate e cerca di avere ciò che non meriterebbe perché altri spendono del loro, molto più di certe pretenziose istituzioni.

Flotta in acqua per arrivare all’incanto della Misericordia dove l’ex arbitro Gorlato ci fa il più bel regalo dell’anno: il giocatore del 2000 idealizzato dalla penna di Boscia Tanjevic che, dopo aver vinto l’Europeo 1999 con l’Italia, pensava già a come avrebbe potuto far diventare Fucka un regista da libidine. Un disegno da artista, lui è geniale in tutto, anche nell’esagerare come direbbero i colleghi che ci hanno sempre rinfacciato questa preferenza non sapendo che sono anche volati insulti e qualche spintone. Un disegno che incorniceremo anche se Boscia non dovesse più vincere nulla, ma non è detto perché in Montenegro dove guida la nazionale qualcosa nasce sempre e da noi, volendo davvero costruire, soltanto lui potrebbe indicare la strada e la miniera da dove estrarre, ammesso che non vada oltre il decimo toscanello al caffè nelle giornate di bora o raduno familiare a Trieste.

Dentro quella meraviglia, campo al piano alto, croce e delizia, oggi per le scale, ieri per le battaglie, di molti Maturi baskettari, ci hanno lasciato sognare, contenti di come eravamo. Grazie davvero a Carlo D’Alpaos per il documentario sulla vera Reyer. Grazie a Steve Hawes, bello, elegante come quando era il vero doge reyerino sul campo, per averci fatto capire, con il suo bell’italiano non storpiato, non inciucchito, per aver spiegato senza spiegarlo come è cambiato tutto e nulla tornerà come prima. Magari neppure questa festa dei Maturi che si assottigliano, anche se alla Misericordia restituita alla città da Brugnaro, dalla sua aiutante di campo, bella e combattiva, eravamo più di 160, nessuno a spese di altri, soltanto coordinati dalla macchina della Ghirada che funziona sempre. Guido Carlo Gatti, inventore del cenacolo, dei raduni, di questa storia difficile, guardava commosso Buzzavo che si appoggiava al bastone di Merlati, la famiglia degli arbitri che ama questi incontri ravvicinati anche con chi li mandava in mona, ma sconsolato pensava ai certificati medici per chi aveva aderito e poi non aveva potuto partecipare. Tendini saltati come al Toto Bulgheroni che fra i Maturi non sarà mai ‘Toto chi?’, bronchiti maledette per il Cino Marchese che Magnoni l’immenso ha provato a far dimenticare e nei racconti di questo bolognese errante ti perdi e te la godi anche se non vedi il domani. Fegati, milze, intestini, budella, emorroidi fastidiose, anche sbilenche, ma anche cuore: quello che non hanno i finti non pallosi. Tutto insieme a congiurare. Gatti non lo vede il futuro di questo raduno a meno che la generazione che è venuta dopo di loro, diciamo da Monaco ’72 in poi, non si aggreghi. Forse è l’ultima dove essere squadra, avere compagni di squadra, andava oltre le pallonesse. Adesso ci si saluta e poi ci si isola con le cuffie. Vietato festeggiare il carnevale in stile Zanatta-Meneghin tettuti su tacchi alti a casa di Premier, Ferracini o di altri “nemici”.

Cercare motivi per stare insieme senza il melenso del “Ti ricordi”, ma per far sentire ancora che c’è vita dietro alla carta d’identità in scadenza. Certo non bisogna essere avari, molti continuano ad esserlo, vergognarsi di essere generosi, insomma essere un po’ come roccia Zamarin o Pieric che accarezzavano gli affreschi del Sansovino quelli dove i nuovi americani del paron Zorzi sbattevano i palloni per scaldarsi, allenarsi. Sarebbe, questa Misericordia così bella, la casa ideale per chi ha dato gloria al basket italiano come diceva Guido Borghi che ha già ringraziato il mondo per il premio all’Ignis paterna della commissione della Hall of Famee del catasù. Ce ne siamo andati col magone schivando i fratelli Vitucci, Frank dopo il capolavoro con Torino che lo ha fatto benedire dai fortitudini presenti e non certo da Gigione Serafini, e quello bravissimo che ha combattuto battaglie giornalistiche scavalcando il Mose, schivando l’acqua alta di chi magari rubava, ma, nello stesso tempo, calunniava.

Via verso Santa Lucia, spaghetti al nero di seppia, sogliolette, sambuca corretta caffè, Misericordia addio, ma quella riva, senza troppo turismo, resterà nei ricordi come quello dei cori per i duri banchi, per le squadre sconfitte. Per i miseri implora perdono, per i deboli implora pietà cercando di non dimenticare le voci del coro di questa storia da Garbosi a Geroli, da Zorzi a Lelli, De Respinis e la grande scuola degli arbitri veneziani.

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