Dove c’è Juve c’è casa

16 Gennaio 2008 di Fiorenzo Radogna

E guardano il calcio del Regno Unito, respirano, magari in fugaci “trasferte” televisive, l’aria di quegli stadi e quegli spalti. Gremiti, traboccanti. Poi confrontano quella realtà con la nostra. Stadi cadenti, incerottati con orrende strutture prefabbricate di metallo e spazi vuoti. E’ da queste premesse che poi nascono “i colpi di genio”. Gli stadi italiani sono vuoti? “Certamente è perché, oltre a esserci troppa violenza, le strutture sono troppo grandi”. Allora è semplice: costruiamone di piccole, ma talmente piccole da sembrare piene anche quando a guardare sfide di blasone ci vanno in quattro gatti. E’ probabilmente il ragionamento che hanno fatto a Torino con lo stadio Olimpico e con i suoi 25500 posti a sedere. “Catino” certamente all’avanguardia per quello che riguarda la sicurezza, casa di due fra le squadre più importanti e seguite del nostro “stracciato” calcio, ma in grado di ospitare solo qualche migliaio di tifosi in più del “Nuovo Romagnoli” di Campobasso. Nel cuore del Molise, stadio sicuramente più bello e affascinante. Ma si va anche oltre. Visto che a Torino uno stadio, bruttissimo, già c’era ma con capienza adeguata, si sta decidendo di ridisegnarlo, quasi dimezzandone i posti (non la bruttezza), in controtendenza rispetto al principio del panorama calcistico mondiale. Insomma solo in Italia “Piccolo è bello”. Così è in progetto per lo stadio “Delle Alpi”. D’accordo, se fosse stata un’automobile sarebbe stata una “Duna”, se invece fosse stato un quadro sarebbe stato certamente attribuito a Teomondo Scrofalo, ma almeno con i suoi 67mila posti a sedere è uno stadio “vero” degno di una città di quasi un milione di abitanti, di una Juventus che ha oltre dieci milioni di tifosi, di un Torino che vuole tornare a essere “grande”.
Eppure la tradizione degli stadi torinesi è stata, fino al 1990, decisamente un’altra. Dal velodromo “Umberto I” (foto), al dimenticato “Stadium”, al leggendario “Filadelfia”, fino al primo “Comunale”. Stadi d’altri tempi, addirittura all’avanguardia rispetto ai contemporanei. Degli anni ’20 e ’30. A calcio, nella Torino di fine ‘800, si gioca davvero solo al parco “Ël Valentin”. Di proprietà pubblica, il campo si allungava sulle le rive del Po, in una zona dove nei decenni fu situato anche lo zoo cittadino. Un terreno brullo e ai limiti degli (allora opinabili) regolamenti sia per dimensioni che per accessibilità. Più di una volta, il pallone spariva fra i flutti del fiume, trascinato chissà dove, dopo improvvide pedate. Fin dalla nascita, nel 1897, la Juventus si incrocia con altre realtà calcistiche locali: la “Ginnastica Torinese”, l’International Football Club Torino dove tirerà qualche calcio anche il Duca degli Abruzzi e l’Fc Torinese (da cui poi nascerà, sotto lo stimolo di alcuni “dissidenti” juventini capeggiati dallo svizzero Dick, l’Fc Torino, che diverrà temporaneamente Ac Torino sotto il fascismo). Tutte le società si accavallano in quegli spiazzi del cuore torinese. Una zona che oggi, riqualificata, fa bella mostra di sé con le sue bellezze botaniche. Si giocava al parco “Valentino”, ma anche alla campo di ginnastica della “Cittadella”, rettangolo improvvisato poco distante. Così chiamato, più giù, lungo le rive del Po, perché in occasione dell’Esposizione Internazionale del 1884 fu edificato “ex novo” un complesso che riproduce la struttura di una cittadella fortificata alto medioevale, con castello e ponte levatoio. Un piccolo borgo, con stradine, piazze, abitazioni e botteghe artigiane. Proprio ai piedi di questa rocca fiabesca che fa ancora bella mostra di sé, ecco spuntare un altro campo di calcio. Degli spalti manco a parlarne, ma più d’uno erano gli spettatori che si appoggiavano ai merli della piazzaforte ad assistere alle improbabili evoluzioni dei calciatori. Anche bianconeri. La Juventus e le altre squadre che poi, lentamente, scompariranno, giocheranno alternativamente su questi due campi dal 1897 al 1899.
Nel mentre ecco comparire, nei pressi dell’ospedale Mauriziano, il primo campo di calcio degno di questo nome: è il pionieristico velodromo “Umberto I”. Uno stadio importante, per la storia del calcio italiano. Di più: fondamentale. L’8 maggio 1898 per i festeggiamenti celebrativi dell’Esposizione Internazionale, ospitata per i cinquant’anni dello Statuto Albertino, ebbe luogo proprio al Velodromo “Umberto I” il primo Campionato Italiano di calcio. Nell’eliminatoria della mattina ci fu il successo dei bianconeri dell’International che superarono 1 a 0 i gialloneri del Football Club Torinese del marchese Ferrero di Ventimiglia, mentre il Genoa (in camicia bianca) batteva 2 a 1 la sezione calcio della Società Ginnastica Torinese (maglia blu con striscia rossa orizzontale). Nel pomeriggio si sarebbe tenuta la finale, disputata davanti a oltre un centinaio di spettatori paganti (a fronte di almeno altri 500 “portoghesi”) per un incasso, il primo ufficiale del calcio italiano, di 197 lire. Dopo i tempi regolamentari finiti 1-1, Genoa ed International di Torino fu risolta nei supplementari dal “golden goal” messo a segno dall’ala genoana Leaver. Il Genoa si portò a casa la coppa messa in palio dal Duca degli Abruzzi e a ciascun giocatore andò una medaglia d’oro, dicono le cronache, in perfetto stile rococò. Ma è inutile cercare, a cavallo fra i due secoli, strutture interamente dedicate al calcio. Al football si gioca in spazi improvvisati, molto spesso sottratti ad altre discipline. E’ di quegli anni una richiesta scritta al sindaco del capoluogo piemontese Vacalut che recita:”…E’ fatta richiesta di autorizzazione a piantare delle piccole banderuole per stabilire il confine del terreno di giuoco. Le quali banderuole finito di giocare saranno rimosse…”. Per la cronaca la richiesta era effettuata per la “Piazza d’armi” e il capo economato del Comune, avrebbe rifiutato l’autorizzazione per “Evitare lagnanze e disordini” coi numerosi giocatori di bocce che si servivano parimenti di quel campo. Insomma il calcio in concorrenza (perdente) con le bocce. Il “Velo”, come è implicito nella definizione, era una struttura dotata di anello parabolico per le corse ciclistiche (allora il vero sport nazionale) e solo secondariamente ospitava un calcio che, col Torino ancora di là da venire e la Juventus distante dallo strapotere degli anni successivi, accoglie tifosi in numero sempre crescente, fino al migliaio, in occasione delle sfide stracittadine, fra le scomparse “Ginnastica” e “International Football club” . Su una sua parabolica, ecco una delle prime scritte pubblicitarie di cui si abbia memoria nel calcio nostrano: “Cicli e motocicli Peugeot”, c’è scritto.
In attesa della storia granata, la vicenda calcistica di Torino si dipana fra il “Velo” e un’altra struttura. Si tratta della già citata “Piazza d’armi”, struttura assolutamente unica. Visto che nello spiazzo enorme ci sono fino a tre campi di calcio, un fianco dell’altro. Una zona significativa per il capoluogo piemontese, che fu sede di parate militari prima e dopo la Grande Guerra e dove anche il Torino (finalmente nato nel 1906) si appoggiò a partire dal febbraio 1910 e fino al febbraio 1912 spostandosi nel 1911 dal lato “Ferrovia” al lato “Crocetta”. Il campo era recintato con la classica staccionata lignea “irrobustita” dalle immancabili assi incrociate a “x”. La Juventus, invece, giocò al “Piazza d’armi – Lato Crocetta” dal 1899 al 1904. In quegli anni era una struttura con voluminose tribune di legno ma poco capienti, in parte simili agli spalti che fanno da cornice alle parate militari. Poi, con l’aumentare del blasone, conquistò il diritto di giocare al “Velo”, da dove però fu sfrattata dal suo ex presidente Dick che, andando a fondare l’Fc Torino nel 1906, si portò dietro anche il contratto d’affitto, destinandolo alla nuova società. Seguirono due anni di attività limitata da parte dei bianconeri, piombati in una crisi economica che, di fat

to, li costrinse a tornare alla vecchia “Piazza D’Armi – Crocetta”, in attesa di un nuovo stadio.
La prima vera casa “dedicata” della società bianconera sarà quella del campo di Corso Sebastopoli, stadiolo situato proprio nel quadrato storico del calcio torinese, piemontese, nazionale. Corso Sebastopoli, infatti, è un’arteria non lontana dallo “Stradale” Stupinigi”, tocca sia la “Piazza d’armi” dei primi stadi e dello “Stadium”, sia la zona del successivo “Filadelfia” e quindi quella del “Mussolini”, poi “Comunale”, infine trasformato in “Olimpico”. Si può dire che quella di Corso Sebastopoli è proprio la “tangente” (in senso strettamente geometrico) dello sport torinese e dei suoi luoghi. Sul campo di Corso Sebastopoli la Juve giocherà per 14 anni. Dal 1908 al 1922. Anni difficili, prima dell’avvento degli Agnelli. Uno stadio in legno da meno di 10mila posti, improvvisato e anche parecchio insicuro. Come buona parte degli impianti sportivi europei in quegli anni. (fine prima parte-continua mercoledì 23 gennaio 2008)

Fiorenzo Radogna
fiorenzoradogna@tele2.it

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