Dopo il pugno di Gallinari

31 Luglio 2017 di Oscar Eleni

Oscar Eleni a cavallo dell’anticiclone Lucifero mandando al diavolo tutti quelli che difendono i torti con più vigore dei diritti. Volevamo portare tutti a Budapest, sull’isola Margherita, ad ascoltare la fontana musicale, perché fra Buda e Pest, scivolando sul Danubio che gli inviati più “furbi” hanno finalmente visto senza il blu degli Strauss, nella città di Francesco dove c’è la sede del Ferencvaros, abbiamo scoperto un’Italia che vince anche se il volante è storto, anche se molti ti sussurrano che è ora di ritirarsi come hanno tentato con Wandissima Pellegrini prima di scoprirne l’immensità che non oscura altre grandi storie di campionesse nate da noi, ma le rafforza. Succede sempre che dopo grandi imprese si vada verso il muro della gloria per ridipingere tutto, meglio Pelè o Maradona, Coppi o Bartali, meglio la Simeoni o la nostra duecentista che più libera non potrebbe essere dopo essersi tolta le catene dei 400 che pure sono stati suo territorio di caccia?

Non lo faremo con Federica Pellegrini per non insultare la sua intelligenza, regina dell’acqua, pur dovendo ammettere che questa volta ci ha sbalordito. Più del Vettel ferrarista con il volante storto, più del Greg Paltrinieri che in troppi stanno cercando di far diventare antipatico mentre dentro gli resta la grande bellezza, come del resto il suo gemello d’acqua Detti livornese di scoglio. Lei è andata oltre il luogo comune degli sport dove tutto sembra scritto, perché il cronometro non inganna mai. Quasi mai. Bisogna metterci poi la faccia, chiedendo al fegato di farti credere nell’immortalità contro la logica. Un po’ quella che sfidano i tuffatori da grandi altezze e siamo davvero felici per De Rose, il suo bronzo che, purtroppo, non lo affrancherà dal lavoro di cameriere a Trieste. Scriviamo purtroppo non per la mansione, importante come tutte quelle che ti danno da vivere, ma per la differenza esistenziale fra campioni di varie discipline. Tutti si fanno il mazzo come dice la Pellegrini, ma non tutti trovano un emiro pronto a pagare anche le spese, non molti hanno la fortuna di poter scegliere. De Rose si è tuffato nella vita dal punto più alto possibile. Ora è finalmente famoso, ma resta come i campioni del rodeo. Tante ferite, tanti lividi, un po’ di gloria. Ce ne stavamo belli rovinati, era il motto di Beppe Viola dopo mangiate che distruggevano anche le scarpe da cibo, cercando a Budapest le origini di Biro, inventore dell’omonima penna, felici che Barelli e Malagò fingessero una pace armata nel nome di Federica, contenti di vedere che l’Italia dei navigatori, anche se molti hanno cercato di affondare le sue navi, ha mandato in acqua dei magnifici nuotatori, un gruppo sano anche nel miele insensato delle dirette e dei bordo vasca, una squadra che ha tecnici eccellenti e programmi da copiare, non da invidiare.

Budapest per nascondere l’ansia di un viaggio verso Londra, sempre a cavallo di Lucifero, scoprendo che persino un rifugio a tremila metri ha dovuto chiudere per mancanza d’acqua. La Duna Arena era bellezza. Lo stadio londinese sarà trappola per sentimenti che non riusciamo ad esprimere bene perché l’atletica italiana ci farà tornare un Paese di gente sdraiata. Un peccato perché i credenti non mancano e neppure le competenze. Certo non fai un capolavoro se ti manca la materia prima. Molte volte, però, questa materia prima viene utilizzata spesso molto male, pur sapendo che negli sport universali, l’atletica lo è e le sue medaglie si spargono nel mondo, anche dove si fa soltanto la fame, servono congiunzioni astrali che vanno oltre un volante storto. Pensavamo di ingannare la realtà raccontando che a Londra tiferemo per il grande sport, per dare un addio come si deve ad Usain Bolt, sua immensità, per scoprire che sulla terra ferma i limiti dell’uomo sono più difficili da battere che nell’acqua dorata e clorata di una bella piscina.

Ai tempi della Gazzetta questa battaglia fra atletica e nuoto coinvolgeva due grandissimi: da una parte, quella dell’atletica, Alfredo Berra, dall’altra Aronne Anghileri che si sarebbe meritato di vivere pienamente l’era Rosolino, Fioravanti e quella della Pellegrini, perché a lui toccava il martirio del credente. Certo qualcosa non coincide con la logica tecnica se un nuotatore può prendersi medaglie in serie mentre uno dell’atletica, al massimo, può dominare la velocità purissima o anche soltanto pura, ma non può andare oltre certi confini, quelli che fra 200 e 400 metri cambiano il tipo dio inferno. Se ne discute, se ne discuterà per sempre. Ma viva il nuoto che cerca l’evoluzione della specie senza fermarsi mai. Bella Italia a Budapest, modesta nazione per il mondiale di atletica dove rischiamo di uscire ancora con uno zero sul medagliere. Diciamo che l’atletica nostrana assomiglia moltissima a tutto il resto, il nuoto è l’eccezione anche se in giro ci sono più piste, molte delle quali trascurate e inutilizzabili, che piscine.

Insomma fra questo martello natatorio, dove la retorica del commento ha soffocato la voglia di emancipazione dei più competenti, e l’incudine dell’atletica che verrà presa a martellate dai soliti noti, gli stessi che hanno contribuito alla scuola dei sedentari, nel mare nostro delle passioni speravamo che il basket potesse darci almeno consolazione. Credevamo nella nuova Nazionale riaffidata ad Ettore Messina. Non badando ai soliti servi sciocchi, ai nati schiavi che non vedono l’ora di legare l’asino dove vuole il medesimo, eravamo sicuri che qualcosa di buono avremmo trovato nel prossimo Europeo. Certo non siamo coperti al centro, ma potevamo mascherarci. Questo fino al torneo di Trento quando il giocatore più forte e popolare della nostra Nazionale ha preso a pugni un bell’atletone olandese rompendosi una mano. Tu quoque Gallo.

Ma come hai potuto o Danilo dei Gallinari nato sotto la protezione degli dei che regolano il gioco della vita con il numero otto? Certo che si accettano le scuse, ma adesso? Nella stagione dove eri diventato simbolo e non soltanto di ricchezza dopo il passaggio angelino ai Clippers eccoti alla gogna. Il destino di un cavaliere, ma questa volta, come nel cinema, non ci sarà un principe nero a toglierti i ferri che da solo hai messo ai tuoi piedi e a quelli di una Nazionale che ora potrebbe sciogliersi, anche e non soltanto per aver scelto Cagliari, la Sardegna come prossimo campo base adesso che Lucifero potrebbe completare l’opera dei malvagi piromani.

L’Italia che parte senza cornamuse, trombettieri, menomata, declassata, di solito sorprende. L’ultima medaglia europea la vinse Recalcati in Svezia quando la servitù giornalistica aveva trovato mille scuse per non andargli dietro. Era tanto tempo fa. Luce nel buio prima dell’argento olimpico ad Atene nel 2004. Ora avremo il Messina più motivato, anche se la ferocia con certi fringuelli sembra pericolosa, quelli che sono figli di mammà hanno sempre il cellulare connesso con chi gliela racconta e scarica ogni colpa sull’allenatore. Meglio capire subito e sfoltire. Chi gioca mascherato vada a cercarsi un carnevale d’estate. Troverà la birra corretta giusta seguendo le tracce dei soliti noti, quelli che in vacanza ci sono spesso e pensano a tutto meno che alla professione pur sapendo che fuori il mondo condanna alla disoccupazione tanti coetanei meno fortunati e meno bravi, s’intende. Molti lo fanno anche d’inverno a dire il vero, ma poi trovano comunque il pollo da spiumare. Ti hanno fatto fuori perché eri sempre ubriaco, non dormivi mai, pensavi soltanto a te stesso? Non fa niente. Da noi cambierà tutto. Lo dicono in tanti. Da Barcellona a Vilnius, dalle Alpi alle Piramidi. Figurarsi in Italia dove, come diceva Musil, ci sono cose che spesso non possiamo fare e spesso sono le più importanti.

Ora affidiamoci al furore di Ettorre Messina. Nella vita ha avuto gloria e sventure, ha vinto tanto e perso meno di tanti altri, anche se pure lui ha sulla pelle le cicatrici di sconfitte dolorose. Senza il Gallo avrà bisogno di qualcosa che deve essere speciale e speriamo che la saggezza di Belinelli e Datome dia a tutti quello che serve quando dalle gabbie usciranno i mangiatori dei cestisti incompiuti, quelli maledetti che renderanno lunghissime le notti del presidente Petrucci alla ricerca di un santuario che possa proteggerlo dalla macumba che appesta l’aria.

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