Django da Re Giorgio

20 Gennaio 2014 di Oscar Eleni

Django

Oscar Eleni dalla calle veneziana del Paradiso in Santa Maria Foirmosa dove Zare Markovski dovrebbe, finalmente, offrirci la cena che dovevamo fare quando imperava a Bologna, quando lo hanno preso a calci gli asini che volavano sopra Milano, nei giorni pesaresi dove avremmo avuto anche il conforto di Alceo, quello vero, non quello che ora crea diversamente al porto, del nostro indomabile Elio Giuliani, l’unico capace di sventolare il vessillo della Libertas anche in giorni cupi, senza Scavolini, avendo soltanto la spalla della Elisabetta Ferri che sorride alla vita in modo speciale quando sente, legge, vede che Daniel Hackett, scelto come figlioccio, cambia la storia delle squadre dove va a giocare.

Da Zare per farsi spiegare il Brugnaro bifronte che all’apparenza sembra un presidentone come tanti, molto visibile e con qualche grana, poi inventa cose che altri colleghi, certo meno lucidi, preparati e bravi di lui, non riescono a fare. Lui per primo sdoganò il Peterson che Milano avrebbe dovuto mettere subito al fianco di Proli per fargli capire che l’eredità era grande e andava anche rispettata, pur sapendo che sarebbe arrivato il giorno dove le liste di proscrizione lo avrebbero fatto comunque felice perché è adesso il momento in cui può dire a tutti che l’Emporio è creatura sua, soltanto sua e del giovane e vivace staff che si è creato. Meglio così. In ritardo. Avendo speso davvero una cifra in rifacimenti dello stesso ritratto che aveva trovato in via Caltanisetta, la fotografia Olimpia. Ha trovato sulla strada, finalmente, l’allenatore giusto, pazienza se anche in questo caso non è riuscito a nascondere nella tasca bucata le famose liste. Banchi è come il mentore tedesco dei suoi Django tarantiniani e tarantolati sul parquet. Sta facendo una bella squadra, pur sapendo che dietro la collina del piacere c’è ancora sabbia da spostare perché il filotto di gennaio ha un senso soltanto se si prova a capire una sconfitta come quella di Atene contro il Panathinaikos. Malesseri nell’età della crescita. Scontati, previsti, non guaribili del tutto se la gelosia è un venticello come la calunnia, ma bisognava passarci ed è giusto che il suo giovane capitano Gentile dica a tutti che le ferite del passato non si cancellano e bisogna stare all’erta.

Tornando a Brugnaro diciamo che la sua Reyer, maschile e femminile, è stata qualcosa di speciale e lo sarà ancora. Poi l’anno scorso, mentre in troppi gli consigliavano di sostiuire Mazzon, ha resistito, ha voluto dare tutte le possibilità ad un allenatore nato nel furore di Verona, smerigliato in Grecia, diventato adulto con la sua Reyer da cui, però, non riusciva più a prendere il nettare che pure aveva, come dimostrano ampiamente i punti di Zare. Quest’anno lo ha sostenuto fino a quando i fatti lo hanno costretto a cambiare. Ha scelto un genio macedone, uno che sa sussurrare ai cavalli del cesto. La scuola slava ci ha sempre dato uomini di grande cultura sportiva e sociologica, magari non tutti fenomeni, ma diversi nell’approccio alla sfida con giocatori giovani e veterani. Miscele. Poi dopo aver rimesso in corsa la Reyer che troveremo in coppa Italia ecco l’intervento diretto contro la sua curva caliente che nella festa aveva deciso di prendere in giro la povera Treviso caduta in serie C dove ci sono fenomeni e società storiche commoventi se per vedere la Fortitudo balbettare in una partita chiave vanno in 5000. No, ha detto. Tifo a favore, mai contro. Una lezione che ci aspettavamo anche dalla nuova Milano quando la curva ha congedato nel peggiore dei modi il Sergio Scariolo, certo dai ricordi sfioriti se si assolve per la prima stagione Armani, allenatore che veniva da grandi successi e se ne è andato, giustamente, per grandisssimi insuccessi, ma pur sempre uomo da rispettare per la carriera, la storia, anche se era difficile condividere i metodi di lavoro e tante altre cose che favorivano l’apparenza, mai la sostanza.

Vista la reazione ancora sbagliata dei tifosi, dopo l’esemplare fondino di Massimo Oriani sulla Gazzetta (no, no alla Gazza Bet anche il nostro direttore ha chiarito che ci si indigna anche se devi dire bene di azionisti e pubblicitari), ha fatto anche un comunicato ufficiale in modo che tutto fosse davvero chiaro. Anche questo aspettavamo dalla fucina d’idee del Lido, ma forse l’umidità confonde le cose come quei posteggiatori del Forum che fanno pagare sei euro quando i ragazzini dello Junior Program Armani possono entrare spendendone soltanto sette. Possibile che il Comune di Assago e la stessa Milano in affitto nell’unico palazzo in attesa che Maroni dia il via alla famosa cittadella dello sport dove, si dice, il Milan non ci vorrebbe andare e l’Inter sembra non avere i soldi per andarci, non intervengano per dare una mano a quella che diventerà quest’anno campione d’Italia passando dalla stazione di coppa con buone possibilità di battere tutti i record di presenza per una stagione nel basket ambrosiano e visconteo, quello con la vipera che si mangerà i saraceni proscritti.

Ultimo gioiello della Brugnaro foundation l’appoggio a Caserta per tesserare in tempo utile il congedato Easley che sarebbe stato avversario proprio nella prima di ritorno e non è stato un regalo da poco visto che la differenza canestri, per eventuali arrivi alla pari che non ci sembrano comunque possibili, è stato salvato dalla Pasta Regia grazie ai 13 punti e ai 9 rimbalzi del nuovo arrivato. Se vi sembra poco in una Lega anemica allora andastevi a leggere la nuova questione del ‘tutto tutto niente niente’ alla Albanese nella polemica, era ora che ci fosse un po’ di battaglia, un tempo era miele per tutti e ci si divertiva pure, fra due dipendenti dello stesso editore, anche se Guerini lavora al Tuttosport di Torino e Barocci al Corriere dello Sport di Roma. Motivo del contendere la sfida alle ore 13 di un venerdì consacrato a tutte le ostie di coppa Italia fra Roma e Siena, le finaliste dell’ultimo scudetto. Ridurre di un giorno la manifestazione faceva capire che ci sarebbe stata questa immersione totale fra birre e panini del Forum. Sapevano tutti che ci sarebbero stati scontenti, pensate un po’ che persino la Milano vogliosa messa alle 20.30 troverà gli “amareggiati per nascita”, cioè quelli che lavorano per giornali dove le chiusure serali sono state anticipate alle 19 e per le notturne si va solo in ribattuta, ma altre strade restando con le finali ad 8 squadre non esistono e sugli orari si dovrebbe fare una tavola quadrata come certe teste: perché le 18.15 in campionato e i lunedì letterari? Milano regge l’urto anche a 48 ore di distanza, non ha bisogno del riposino in più che sfalsa tutto.

Salite a bordo, urlerebbero dalla capitaneria dove ancora il grande Stern fa sapere che del basket italiano apprezza molte cose, ma si stupisce che viva ancora in certi palazzi catacomba come diceva il gentilissimo tifoso brindisino piazzato nelle sedie Nicholson del Forum, proprio davanti ai tavoli stampa, abituato alle colonne del pessimo impianto che ricorda zio Elio Pentassuglia, ma non alla scortesia perché andandosene ha chiesto scusa a chi, per lavoro, deve diventare giraffa e contorsionista cercando la supervista.

La prima di ritorno sembra davvero l’ultima con l’Emporio Armani confuso nel gruppo, insomma come nella storiella del Principe e del Vagabondo. Sono arrivati dove volevano. Non sono ancora come Banchi li sognava e li vorrebbe, ma certo dopo l’arrivo di Daniel Hackett l’orizzonte ha cambiato colori, sembrano quelli di Armani. Ora ci aspettiamo che vengano a piangere sul risultato scontato gli stessi che prendevano la scusa dell’esagerato potere di Siena per dare al basket una breve, poca attenzione mediatica. C’è vita sul pianeta, direbbero a Pistoia, dopo aver preso lo scalpo della Cantù sfinita mentalmente dal doppio impegno, a Venezia e persino a Sassari dove le cose non vanno proprio bene anche dopo una vittoria con questa Virtus dei sospiri che vede i suoi “prospetti NBA” (ma chi si inventa certe panzane?) fare degli zero quasi scarabocchio ed è vero che abbiamo sempre guardato con maggiore interesse alla fame dei Fontecchio che alla genialità o al talento di Imbrò e Gaddefors.

Pagelle sussurrando, ascoltando Anonimo Veneziano di Einaudi, sapendo che la stagione ha ancora bisogno di colori prima di essere solo tinta unita nell’Emporio:

10 A WANNAKAKER nel nome di Pistoia e del geniale Paolino Moretti perché la squadra che tutti davano per sicura retrocessa dopo le prime due giornate sta facendo cose che ora la portano a sfiorare il mare dei play off dove si è arenata la barca di Reggio Emilia.

9 Per Oberah ANOSIKE il ragazzo di New York di 2.03 che andando a prendere ben 22 rimbalzi, nella vittoria di Pesaro su Avellino, ha ridato speranza ad una città che merita di restare nel grande basket a patto che non sia costretta, come succede ad altre già adesso, a fare la questua per resistere dove un tempo era regina.

8 A Daniel HACKETT perché capisci la sua maturazione anche quando non gioca bene, torna ad innervosirsi, perché vedi fiorire intorno a lui qualcosa che si chiama spirito di squadra anche in compagni che un tempo si sarebbero buttati la palla sui piedi piuttosto che passarla a quello con la stessa maglia con più luce davanti.

7 Al Felice PARONELLI ex arbitro di serie A che abbiamo visto combattere come sindaco di Gavirate adesso che chi governa è riuscito a mandare nei matti la povera gente, i Comuni. La stessa grinta usata nei giorni di arbitropoli quando doveva difendere la categoria messa in crisi da gente che non avrebbe mai meritato di fare o dirigere arbitri.

6 A Marco BELINELLI perché vederlo in quintetto a San Antonio ci fa commuovere come quando arrivano foto dove il guru Popovich gli spiega strategie, storia, scelte. Perché piangiamo? Per aver sbagliato tutto nel giudicare un uomo che ci era stato portato via troppo presto.

5 Ad ANCONETANI e CALAMAI che non possono passare sopra la sconfitta davanti a 5.000 persone della nuova Fortitudo. Vero che la fede resta, in qualsiasi categoria e davanti anche ai risultati più brutti ed inattesi, come diceva un tempo il Giorgio Seragnoli dopo il tiro da quattro di Sasha Danilovic mentre i suoi giannizzeri correvano dal segretario per avere i biglietti di ritorno, insensibili alle lacrime che ancora durano oggi, ma trovare gente da Effe maiuscola non doveva essere così difficle, anche con pochi soldi.

4 A Frank VITUCCI che si trova una squadra nervosa quando era convinto che Avellino sarebbe stata meglio della Varese dove ancora lo rimpiangono. Cambiare soltanto per migliori stipendi, o presunti tali, non ti porta fortuna.

3 Al MENETTI che ci aveva conquistato nell’ultima stagione a Reggio Emilia perché è dall’inizio dell’anno che facciamo fatica riconoscere in questa squadra di oggi i magnfici guastatori che l’anno scorso fecero piangere tante squadre, molto più ricche. Ripulisca la cantina e tenga solo chi ha davvero fame.

2 A CROSARIOL, richiamato dal suo vero mentore Markovski in Italia dopo l’esilio tedesco perché se davvero è maturato al freddo, se ha cambiato modo di vedere un gioco di squadra e la vita di gruppo, rischiamo di dover fare altri abiura come nel caso del Belinelli sopra citato. Con Bargnani resistiamo ancora.

1 Al VUJOSEVIC che ha portato il Partizan a battere la corazzata CSKA di Ettore Messina. Possibile che il suo genio si materializzi soltanto davanti ai 20mila spettaori dell’arena di Belgrado? Non ci faccia venire il rimorso per averlo capito così poco e così male quando lavorava qui in Italia.

0 Alle SOCIETA’ e alla LEGA che non hanno seguito l’esempio della Reyer quando ha chiesto ai suoi tifosi soltanto un sostegno a favore e non i beceri fischi con insulto contro l’avversario. E’ il momento di grande definizione di un movimento sportivo che deve avvicinarsi il più possibile alla pallavolo e il meno possibile alla marmaglia delle curve calcistiche che rinnegano persino la passione di un Lucio Dalla per assomigliare ai beoti separatisti, che ha bisogno di rinnovarsi con gente che annusi, capisca, respiri, digerisca le regole dello sport e non passi metà delle partite al telefonino girando le spalle al campo come i capi di quei cori sempre uguali, sempre così banali.

Share this article