Basket
Il discorso del Ress
Oscar Eleni 09/04/2018
Oscar Eleni dalle sedie comode del teatro milanese Menotti dove ci siamo goduti davvero “1968 La storia narra lo sport”, il lavoro ben fatto di Nicola Roggero, bella voce SKY dove competenza e passione sono certificate dalla genuinità, cuore atletico, mente aperta, ricercatore di anime in tutti gli sport, lo ha fatto persino per il basket romano ai tempi in cui Piero Parisini, un genio indimenticabile, cercava di sanare una società incurabile. Un bel viaggio incontrando le rivoluzioni del tempo, i veri eroi in una battaglia dove gli sportivi erano in prima fila per cambiare davvero, per la libertà.
Scendendo le nuove scale di quello che anticamente era l’X Cine, sala di terza visione per filmoni e amori in penombra, abbiamo guardato in giro aspettando Godot, a teatro puoi farlo, il personaggio che forse Roberto Fabbricini cerca in federcalcio, Malagò fra i brontosauri della Lega, ma anche fra gli irrequieti presidenti federali che guardano allarmati il colle dove si cerca un governo avendo già capito dai messaggi apparsi sui giornali dei “vincitori” che per il Coni potrebbero arrivare tempi duri se le ghigliottine mediatiche di oggi diventeranno reale confronto con gli stessi che negarono a Roma la corsa olimpica, ma ora vedrebbero bene quella invernale al Nord, più Milano di Torino, soprattutto se alla grande città europea, ultima per impianti sportivi, darà una mano Saint Moritz (?).
Aspettando il Godot dei motociclisti che vanno contro mano, quello di Lauda per capire come fanno in Ferrari a vincere con le gomme lisce, quello del calcio per spiegare ai miseri attori del campo che la Var non è una medicina da usare senza senso, eccoci fra i Godot del basket nella settimana dove Zamparini ha aperto la scuola “cacciare un allenatore al giorno tiene le domande scomode di torno”, dove il presidente Petrucci, alla messa del mattino, erano le sette, ha chiesto a don Zaninelli di mettersi in contatto con Cesare Rubini nel giorno in cui si assegnava un trofeo in suo nome. Avrebbe bisogno, l’uomo solo di via Vitorchiano, di una serata alle terme con il vero Principe e Porelli o, magari, anche soltanto di sedersi tranquillo a guardare il lavoro di Roggero, quel 1968 che ha cambiato tanto e che dallo sport avrebbe dovuto imparare almeno qualcosa invece di usarlo soltanto.
Basket con le ferite europee delle sue squadre piene di giocatori di altre scuole, mercenari nella maggior parte dei casi, gente che non sai se tenere in ritiro o in cella preventiva, dovunque stanno fanno danni, dai saloncini privati delle discoteche alle case in affitto trasformate in stalle, uno sport che pretende di essere diverso ma poi è uguale a tutti quelli che si sono incatenati nel professionismo. Schiavi del nuovo potere. Il denaro, gli agenti. Sport dispettoso perché ti illude e poi ti mangia il fegato. Pensate a Torino. Apoteosi in coppa Italia dopo l’ammutinamento, la comica nel mancato dialogo tecnici dirigenti, sprofondo rosso adesso che non vincono più una partita e si chiedono se valeva la pena sacrificare un Luca Banchi per far arrivare in città uno come Blue o per andare a “rubare” gommolo Pelle, garretti da saltatore, mani da sterratore, a Varese dove, per fortuna, hanno altra caratura, altri dirigenti, anche se ogni tanto trovano sulla strada un sasso da schivare.
Dicevamo delle purghe settimanali che hanno tolto la panchina agli allenatori di Sassari e Capo d’Orlando, 7 giorni dopo i cambi di Pesaro e alla Fortitudo Bologna che, fortunatamente, viene considerata come la grande che fu e che dovrebbe tornare ad essere anche se adesso è in A2 con il rischio rimanerci un’altra stagione. Cambiare nel basket non porta la stessa fortuna che nel calcio. Per fortuna. Sanno tutti dove sta il marcio in questa Danimarca dei canestri. Non tutti ascoltano la pancia delle curve, non molti, per ora, leggono fino in fondo le veline dettate da chi commercia con anime fragili come quelle di molti giocatori. A Reggio Emilia hanno resistito negli anni, ma adesso, senza Dalla Salda chissà. Lo stesso discorso andrebbe fatto per Trento. Soltanto una società sana, bene organizzata, avrebbe resistito a quel girone di andata, ma adesso sono là vicino alle presunte grandi che con una fiaccola che si spegne a intermittenza si stanno organizzando per disturbare almeno l’aperitivo in casa Armani dove Pianigiani è uno splendido pompiere, anche perché il fuoco che in passato ha bruciato altri allenatori adesso è protetto dall’amianto di una superiorità, sconfessata, è vero, in eurolega e in coppa Italia, ma che appare evidente negli ultimi quarti di partita quando la ciurma ascolta il nostromo Cinciarini e non pensa che difendere sia da pagare fuori busta paga.
Basket confuso dai negazionisti che ancora vanno in giro a dire che i soldi per i vivai sono buttati via, ma felice di aver trovato in Capobianco il capo branco per nazionali giovanili che si fanno onore come la squadra arrivata terza al torneo under 18 di Mannheim. Pallacanestro strangolata dai comuni morosi verso la decenza e quindi condannata a rimangiarsi provvedimenti che sembravano moderni anche se inattuabili: anche questi play off si giocheranno in palazzi indegni. Questi abbiamo e questi siamo.
Pagelle ascoltando i personaggi di Roggero, dalla Caslavska a Bill Russell, da Tommie Smith e Bud Winter, dagli hokheisti cecoslovacchi a quelli russi, dal poveor Norman portato a spalla nell’ultimo viaggio dai fratelli scomunicati con cui ha condiviso il podio ribelle dei 200 al Messico dove già si sparava sui pianisti dello sport e sugli inermi, fra gli anatemi del Brundage che non ha mai riposato in pace, da Berlino 1936 fino agli ultimi giorni alla guida del CIO, e , probabilmente neanche dopo. Speriamo.
10 a Tomas RESS che ci ha fatto sapere di sentirsi a fine corsa dopo una carriera davvero molto ricca, con tanti successi. Non un fenomeno, ma un campione in tutto. Lui conosce la storia di questi anni controversi, lui ha vissuto su mari diversi. Speriamo resti nell’ambiente, che abbia anche la possibilità di farci vedere ancora il suo bellissimo tiro.
9 Al CAPOBIANCO che ci piaceva anche come allenatore della femminile. Che ci ha sempre intrigato come ai tempi in cui guidava la ciurma di Teramo. Adesso porta a casa questo bronzo della under 18 nel prestigioso torneo di Mannheim, rassegna giovanile che dai tempi di Primo è cartina di tornasole per il movimento Italia, facendo arrossire gli aridi del sistema, quelli che considerano soldi buttati se spesi per settori giovanili non protetti dalle regole. La passione, dicono, non basta. Bugiardi.
8 A BRESCIA, quindi Diana, la società, i Vitali, Moss, per come è uscita dalle paludi della stanchezza fisica e mentale. Crediamo che sia meno attrezzata di Venezia o Avellino per rendere la vita dura alla Milano senza rivali, ma comunque vada è la società dell’anno.
7 Al solito SODINI che vive la sua Sarajevo cestistica a Cantù. Ogni giorno un cecchino spara dall’ombra, lui schiva, tira avanti anche inventandosi storie per tenere insieme questa ciurma da capitan Sparrow. Se c’è una squadra da temere nei playoff è questa Cantuchiana edizione così diversa dalla vera storia dell’era Allievi, ma bella anche se non tutti sono santi e per avere un buon tiro alla fine bisogna sopportare ogni luna.
6 Al SUTTON di Trento perché fra i tanti viaggiatori viaggianti dello sport è quello che incarna meglio le storie sulla strada della beat generation cestistica. Cose sublimi, tiri che non arrivano al ferro sui tiri liberi, schiacciate possenti, falli tecnici dolorosissimi. Non raccontiamoci storie, con tutto il rispetto per Venezia, ma con lui in campo non sappiamo se il titolo sarebbe andato alla Reyer.
5 Per Andrea CINCIARINI perché ci ha costretto ormai troppe volte a rivedere questo mare cestistico colorato di azzurro. Pensavamo di non avere giocatori che potessero reggere il timone, lui ci riesce benissimo, è migliorato tecnicamente e sembra anche maturato bene. Merito di chi lo allena, certo, ma merito soprattutto suo. Uomo verticale. Speriamo gli vadano dietro in tanti, dai finti ingenui che non sanno mai dove giocheranno l’anno dopo, da chi ha creduto davvero di essere un prospetto NBA, dagli irrequieti che fingono di voler bene ad una società, un progetto, ma intanto tengono il telefonino acceso.
4 A Ragu Donte DI VINCENZO leone di Villanova campione NCAA perché ci ha fatto venire tanta voglia di naturalizzati in maglia azzurra, anche adesso che avevamo deciso di accontentarci del BURNS che ha portato Cantù sul nido delle aquile, anche se non potrà mai essere il più alto perché in un play off dalle date ravvicinate, col caldo, sei ha pochi giocator poi scoppi come in coppa Italia.
3 Alla FEDERAZIONE che, giustamente, ha preso atto della terribile realtà per quanto riguarda l’impiantistica nel basket italiano, ma non certo per la resa davanti allo sconcio di certi campi, di certe aree per tifosi ospiti. Ci si può battere per imporre almeno la decenza.
2 A MARKOVSKI e MAZZON se pensano di essere stati inadeguati al momento in cui hanno rilevato i colleghi di Sassari e Capo d’Orlando. Le squadre costruite male restano così per sempre, puoi rimediare qualcosa, ma non tutto e il campo dice spesso la verità.
1 A CREMONA per aver deluso così profondamente chi credeva che l’isola inventata da Romeo SACCHETTI fosse davvero il mondo nuovo che serviva ad un basket intossicato per vedere orizzonti nuovi. Auguriamoci che sia stata soltanto la paura davanti a quei lupi avellinesi che rischiavano fucilate dai pochi che li vanno a vedere. Anche domenica 2.632 spettatori, il minimo in serie A.
0 Alla TORINO caduta negli ultimi 5 minuti a Milano non tanto perché ha ceduto ai più forti ma per averci dimostrato che, dalla finale vinta in coppa Italia a questa partita milanese, passando attraverso disastri, questi professionisti meriterebbero pane ed acqua per lungo tempo, anche e il ritiro senza limiti scelto da Sassari potrebbe essere una soluzione. Certo costosa e allora ci chiede se vale la pena credere in un sistema dove anche i santi sono messi alla prova da cattivi professionisti.