La direzione dei Sixers

4 Dicembre 2014 di Stefano Olivari

I Sixers hanno evitato la peggior partenza nella storia della NBA, che rimane lo 0-18 dei Nets di 5 stagioni fa, bloccando a 17 la loro striscia di sconfitte grazie a una vittoria contro i T-Wolves che passerà alla storia anche per un altro motivo: l’incredibile, a questo livello, sbaglio del canestro da attaccare con conseguente interruzione della partita (dopo 16 secondi) e nuovo fischio di inizio con le squadre nella direzione giusta. Anche se parlare di direzione giusta per la squadra di Brett Brown sembra quasi una presa in giro…

Anche i Sixers 1972-73, ricordati come la peggior squadra NBA di sempre, iniziarono meglio di quelli attuali, perdendo soltanto le prime 15 partite, ma al di là delle statistiche e degli scherzi è opportuno chiedersi che credibilità abbia una lega nettamente sbilanciata verso Ovest, con l’Est che qualificherà ai playoff squadre modestissime. Sotto il livello Cavs-Bulls e quello Hawks-Wizards-Raptors, senza guardare i record attuali che non dicono tutta la verità, può davvero succedere di tutto. La soluzione al problema sarebbe semplicissima, per quanto finanziariamente costosa: 58 partite di stagione regolare invece delle attuali 82, solo partite di ‘andata’ e ‘ritorno’ di ognuna contro le altre 29, playoff sempre a a 16 ma con tabellone nazionale tennistico (si dice così, anche se proprio il tennis ha inquinato questo schema): 1-16, 8-9, 5-12, 4-13, 3-14, 6-11, 7-10, 2-15. Rimarrà puro bar, finché ogni partita casalinga dei Knicks genererà quasi 4 milioni di dollari fra botteghino e merchandising e anche in zone relativamente depresse si supererà agilmente il milione, diritti televisivi esclusi.

Forse più interessante sarebbe lavorare sulle cause della disparità fra Eastern e Western Conference, pur con la consapevolezza che il free agent in fase arraffasoldi preferirà in media sempre la California al Wisconsin. Di certo non si tratta di fenomeni eterni, visto che solo 5 anni fa il bilancio Est versus Ovest era migliore di quello Ovest versus Est. Senza andare alla preistoria, anche in tutti (!) gli anni Ottanta e nella seconda metà dei Novanta è andata così, con l’Est a prevalere, segno che le spiegazioni alla Giuliacci sono meno valide di quelle che riguardano la competenza dei dirigenti.

Tornando ai Sixers, è difficile individuare solo nel format della lega (secondo noi comunque da cambiare) la causa del loro tanking, più dichiarato rispetto a quelli di altri nobili decaduti e condito da errori grossolani che partono dall’estate 2013: un All Star come Jrue Holiday dato ai Pelicans (con una seconda scelta, Pierre Jackson), per l’infortunato Nerlens Noel e la prima scelta Pelicans del 2014. Quello che viene definito ‘rebuilding’ è poi partito da Michael Carter-Williams (scelto all’undicesima chiamata), per proseguire con lo scaricamento di tutti i giocatori più esperti: da Andrew Bynum a Hawes nipote a Evan Turner. Inutile ripercorrere la scorsa disastrosa stagione, con una striscia di 26 sconfitte e un 19-63 finale, nobilitata solo dalle statistiche di Carter-Williams.

La scorsa estate hanno scelto alla numero 3 Joel Embiid, anche lui reduce da un infortunio (che presumibilmente starà fuori per tutta la stagione), e alla 12 Dario Saric che però per altri due anni rimarrà di sicuro all’Efes. E quindi? La risposta risiede nella struttura salariale dei Sixers, eccezionalmente favorevole: 38 milioni di dollari e rotti (il trentesimo payroll della lega, stessa posizione occupata nella classifica degli attacchi) in questa stagione e solo 14,5 già impegnati nella prossima. Tutto sarebbe apparecchiato per l’arrivo di due fenomeni, ma un dettaglio non trascurabile è che nell’estate 2015 non sarà piena di ‘unrestricted’ fenomenali: Aldridge, Marc Gasol, Rondo e DeAndre Jordan , per citare soltanto gente da prima pagina. Al di là poi del fatto che gente non di primissimo pelo abbia voglia di calarsi in una realtà depressa e deprimente come quella dei Sixers di oggi.

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