Difficile, Watson

19 Aprile 2010 di Christian Giordano

di Christian Giordano
Attaccanti si nasce, difensori si diventa. La prova vivente dell’assunto si chiama David Vernon Watson.

Nato a Stapleford, Nottinghamshire, il 5 ottobre 1946, “Big Dave” comincia la carriera in Football League nel 1966 al Notts County, la squadra della sua città. Da centravanti. Due anni dopo, lasciato il club del Meadow Lane per il Rotherham United, è il manager dei Millers, Tommy Docherty, ad arretrarlo centrale difensivo per sfruttarne il colpo di testa, uno dei migliori della sua generazione. E al Sunderland Bob Stokoe si adegua. Coi Black Cats ancora in Second Division, Watson alza a Wembley la FA Cup 1973 battendo 1-0 (Ian Porterfield al 31’) un Leeds United pieno di nazionali. Ma è il cuore, più che il senso della posizione, l’arte di staccare fuori equilibrio e l’attitudine a far ripartire l’azione, a farne un idolo del Roker Park. Per i media, invece, sarà sempre un giocatore negativo. Per gli avversari, un artista del lavoro sporco. La verità “vera” è che era un combattente, con una voglia di vincere smisurata.
Il debutto internazionale arriva a 27 anni e 180 giorni, il 3 aprile 1974 (0-0 a Lisbona in amichevole col Portogallo), quando è già uno dei più forti centrali fuori della First Division. Con lui debuttano altri cinque (tra cui Trevor Brooking) nell’ultima partita del Ct Alf Ramsey, il manager campione del mondo nel 1966. Colonna dell’Inghilterra di Ron Greenwood, conterà 65 presenze (e 4 gol) fino alla vigilia dei Mondiali 1982, a 35 anni. Ultima presenza, l’1-1 in amichevole con l’Islanda che forse gli costa l’inclusione nei 22 in partenza per la Spagna. Ha già 14 caps invece, nel giugno 1975, quando, per 275.000 sterline (175.000 in contanti più il cartellino di Jeff Clarke) e sei anni di contratto, il Manchester City lo chiama in First Division. Alla prima stagione arriva ottavo in campionato e vince la League Cup: 2-1 sul Newcastle United, decisive le reti di Peter Barnes e Dennis Tueart, inutile quella di Alan Gowling.
Nell’autunno 1975, comincia un calvario di guai alla schiena risolti con una laminectomia il maggio successivo. In assenza di Watson, il nuovo Ct Don Revie chiama altri centrali come Phil Thompson del Liverpool e il precoce Brian Greenhoff del Manchester United. La convalescenza post-intervento gli brucia la chance di partecipare al Torneo del Bicentenario degli Stati Uniti, dove avrebbe avuto come compagno Bobby Moore e avversario Pelé, allora entrambi nella NASL, la lega professionistica nordamericana. Saltate anche tre qualificazioni per il Mondiale di Argentina 1978, torna a tempo pieno nel 1976-77, col City secondo in First Division, a un punto dal Liverpool campione. E la magra consolazione di un record imbattuto al club: solo tre sconfitte, contro le prime in classifica. Titolare fisso nelle sue quattro stagioni al Maine Road, nel 1979 transita per sei mesi al Werder Brema prima di rientrare in Football League, al Southampton, dove arriva in ottobre per 200.000 sterline. Dopo due stagioni e mezza al “the Dell”, la breve e non memorabile parentesi allo Stoke City. Lasciato libero per via di una tournée in Sud Africa non autorizzata, e infine annullata, alla fine firma per i Vancouver Whitecaps della NASL. Poi una stagione al Derby County (che retrocede dalla Second alla Third Division), un’altra in America ai Fort Lauderdale Sun campioni nella seconda divisione della United Soccer League e l’ultima al Notts County (altra discesa dalla Second Division) prima di chiudere in non-League al Kettering Town.
Tornato nelle Midlands, vive appena fuori Nottingham, a West Bridgford, dove ha messo su una società di marketing, la Dave Watson International. Finale obbligato per uno che, in campo e fuori, ha sempre saputo vendersi bene.
Christian Giordano
Football Poets Society   

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