Diavoli 2, le call option di Massimo Ruggero

14 Maggio 2022 di Stefano Olivari

La seconda stagione di Diavoli, appena finita di guardare su Sky Atlantic, non ha deluso noi amanti del trash e del complottismo: Massimo Ruggero, il protagonista, è sempre uguale a sé stesso (e per ribadire il concetto Alessandro Borghi non gli fa mai cambiare espressione), e i presunti protagonisti dell’alta finanza mondiale sono così improbabili da raggiungere in certi casi il culto: Stonehouse (forever l’uomo di Jennifer Beals in Flashdance), le investitrici simil-escort Rebecca e Carolina, il sondaggista che canna l’esito della Brexit (ma era colpa degli hacker, ovviamente), il dissidente, l’immancabile oligarca russo.

Come nella prima stagione, Diavoli utilizza l’attualità o la storia recente: guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina, Brexit, Trump, Robinhood, eccetera, fino al Covid, la cui portata il neo-virologo Massimo aveva previsto con largo anticipo. Di finanza in senso stretto non ce n’è molta, tranne forse alla fine, quando le call option (in pratica opzioni con cui, pagando un premio, si acquisisce il diritto di acquistare un titolo ad un determinato prezzo) comprate da Massimo e dal suo team saranno decisive nel determinare il futuro del colosso finanziario NYL.

Fra i pochi personaggi interessanti il solito Dominic Morgan, un Patrick Dempsey molto nella parte, il genio della matematica polacco Nadia, lo yuppie nero Oliver e Wu Zhi, la head of trading cinese che vive con Massimo la più triste storia d’amore (?) mai rappresentata in televisione. I cattivi sono un po’ i cinesi, un po’ la grande finanza angloamericana, un po’ gli elettori che condizionati da imprecisati stimoli degli ultimi due giorni prima del voto hanno votato per Brexit e Trump, poi anche prima dell’invasione dell’Ucraina bisognava infilarci un russo. Alla fine l’unico personaggio serio è il gatto nero che ogni tanto compare nella casa londinese di Ruggero (e lo stronzo non gli dà mai da mangiare).

Un merito della seconda stagione di Diavoli è quello di essere una delle poche fiction a osare con l’attualità, sporcandosi le mani e prendendo una posizione. Che potremmo definire, avendo letto i libri di Guido Maria Brera (più quello, pare, da lui ispirato a Walter Siti) da cui è tratta l’idea, complottismo per un pubblico progressista. Che come schemi, e tutto sommato anche come colpevoli suggeriti (il Tredicesimo piano…) non è troppo diverso da quello per le periferie trumpiane. Comunque pretendiamo Diavoli 3, sperando che si ritorni a shortare a tempo pieno.

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