Di Luca e le motivazioni degli altri

24 Luglio 2009 di Stefano Olivari

Leggendo l’autodifesa di Danilo Di Luca, una prima domanda sorge spontanea: perché chiediamo ad un atleta professionista di essere più onesto della media dei suoi concittadini? Forse perchè essendo la media dei concittadini schifosa pretendiamo che lo sport non sia un’isola di purezza ma almeno l’unico posto in cui i meriti vengono premiati ed i demeriti puniti. Un posto dove non contino le raccomandazioni, le conoscenze, o anche solo il semplice ed osceno ‘saperci fare’, perchè il padre famoso può farti entrare nel settore giovanile importante o nella squadra di ‘giovani’ (nel ciclismo non mancano i figli d’arte mediocri, ma fanno meno strada di quelli Tg5-Sky-Rai) ma niente di più. Sappiamo benissimo che Di Luca ha fatto agli italiani mille volte meno danni di quelli di un Tanzi qualunque, e che nemmeno avrà un figlio senza vergogna che chiederà di essere ammesso nei creditori privilegiati del Giro, per non andare sull’attualità di grandi banche che si sono fatte imbrogliare da un immobiliarista ammanicato e che staranno in piedi scaricando sulle vecchiette la loro merda strutturata. La seconda domanda è ugualmente da bar, ma ha una risposta più concreta. Perché nel ciclismo, uno dei pochi sport che affronta seriamente il discorso (gli altri stanno ad esaltare i motorini del centrocampo, le ‘motivazioni’ ed il peperoncino), ci si continua a dopare pur essendo i controlli ad un livello di invadenza ed invasività anche psicologica da Gestapo? Senza addentrarci nel medichese (il Cera in vena è meno visibile di quello somministrato per via intramuscolare, al di là del fatto che potrebbe benissimo esserci un mercato parallelo che venda la sostanza senza marker: nelle case farmaceutiche lavorano tante persone…), perché il rischio è sempre calcolato su base statistica. Di Luca è stato sottoposto negli anni a centinaia di controlli (15 solo durante l’ultimo Giro), ma solo per due volte è stato beccato. Il suo vero problema è che è più conveniente parlare di lui piuttosto che di Zunino: per il solito genio che pensa che i ricchi italiani abbiano voglia di vivere in periferia (quando invece da millenni ci stiamo noi), e per i suoi finanziatori neo-graziati dal decreto anticrisi, quasi zero titoli. Le ‘motivazioni’ degli editori sono sempre chiare.

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