Di Coco si può dire

11 Novembre 2008 di Stefano Olivari

Pur essendo abituati al saputellismo di chi vive davanti al computer e ascoltando al telefono i pettegolezzi più improbabili su chiunque (l’architrave ideologica del perfetto gossiparo è che tutti i calciatori siano bisex: da lì mille variazioni sul tema, la più recente è un martellamento da Trigoria), sabato scorso ci è venuto un colpo leggendo sulla Gazzetta dello Sport questo articolo a firma di Antonello Capone. Uno di valore, che di solito si occupa di argomenti pesanti fra economia e politica sportiva: cose magari trascurate da chi aspetta dodici finali o crede allo scambio Trezeguet-Aguero, ma che nella rassegna stampa dei presidenti occupano giustamente un posto d’onore. L’articolo di sabato, dicevamo.

«Acquistai per 30 milioni più 6 di Iva foto di Coco nell’ interesse suo e del Milan. Non gli dissi nulla. Detrassi i soldi dallo stipendio. Quando il giocatore venne a lamentarsi gli diedi la busta: “Guardale, se ritieni di protestare ancora, torna. Non tornò». Galliani depone al processo Corona («Ma lui non mi chiese mai nulla, acquistai dal fotografo che me le segnalò, un amico, Chiarini di Olympia Fotocolor») e non gli è facile raccontare cosa impressionavano, quando lo chiede la presidente della V Penale: «Sul ponte di una barca alle Baleari, nel 2001, c’ erano tre ragazzi in piedi senza costume e tre sdraiati. Coco era in piedi».

Senza entrare nel dettaglio, due modeste considerazioni. 1) I processi penali sono pieni di racconti di particolari scabrosi, che possono essere utili ai magistrati ma giornalisticamente aggiungono poco alla vicenda. Sapere che quelle di Coco erano genericamente ‘foto compromettenti’ o che riguardassero sesso orale in barca (abbiate almeno il coraggio di farci il titolo) non è poi così diverso: pubblicare o non pubblicare i particolari è solo una scelta della testata. Guarda caso per Coco si propende per il sì, con firma di un giornalista di punta (quando sarebbe bastato il copia & incolla della testimonianza di Galliani fatto da uno stagista): va ricordato che i fatti riguardano un ragazzo famoso ma fuori da ogni giro, oltre che inviso per motivi diversi ai dirigenti delle due squadre milanesi che tengono in piedi la Gazzetta con dvd sempre meno venduti. Chissà le risate, leggendo la rassegna stampa…2) Nemmeno per un istante i fotografi italiani pensano di vendere i loro scoop (di qualsiasi genere) ai loro naturali datori di lavoro, cioé i giornali. Non perchè si tratti di gente strutturalmente sporca (a volte sì, in proporzione come i medici o i fruttivendoli), ma perché i giornali sono quasi tutti controllati a monte dagli oggetti principali dei possibili articoli. Non solo con la proprietà diretta, ma con la pubblicità, le iniziative commerciali ed altri mezzi meno sottili. Quindi è logico che il fotografo nemmeno si illuda di poter vedere pubblicato il suo lavoro, come è successo di recente per immagini riguardanti Ancelotti. Qui volevamo solo dire che se Coco giocasse ancora, magari anche solo nel Livorno, queste poche righe sarebbero magari state sostituite dal racconto di una qualche sua iniziativa benefica. E anche un’altra cosa: il pettegolezzo è un genere giornalistico da trattare senza snobismo (come filosofia non è più stupido del calciomercato, del giro di pareri su chi vincerà lo scudetto o dei mock draft) perché fa vendere più giornali, ma quando si fa in maniera selettiva, solo su Beckham (cioé quello lontano che tanto non ti querela) o sull’ex calciatore in disgrazia diventa qualcosa di vomitevole.

stefano@indiscreto.it

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