Destro della Schiavone

9 Febbraio 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

1. Non è il primo ex campione, nemmeno restringendo il discorso all’Italia, ad arrivare ai vertici del suo sport (per quanto assurdo possa sembrare, il discorso riguarda anche il Franco Carraro di quasi mezzo secolo fa, nello sci nautico, senza andare per forza alla scherma o all’atletica) ma Dino Meneghin è senz’altro il più popolare di tutti. La vera novità della sua elezione alla presidenza della federbasket è in fondo questa, poi il suo lavoro andrà valutato sui risultati. La retorica giornalistica sui campioni da coinvolgere nella gestione dello sport è spesso da libro dei temi, ed anche vagamente offensiva per le migliaia di dirigenti a titolo gratuito che hanno un’idea dell’organizzazione sportiva più realistica di quella di chi era bravo a portare blocchi e prendere rimbalzi. Poi a parità di competenza meglio Meneghin di un oscuro cospiratore da corridoio. Ma appunto, a parità di competenza.
2. Un po’ come per la Nazionale. Troppo facile parlare male della RAI, azienda di tutti e di nessuno, piuttosto che di Mediaset o Sky che possono fartela pagare in vari modi (di solito riducendo la pubblicità: per questo anche su giornaloni si leggono recensioni entusiastiche a telefilm che guardano quattro gatti sul canale 2456 del decoder). Però…però non è possibile che nel 2009 il servizio sulla serie A del TG1 della domenica sera sia un susseguirsi di immagini scolorite e sgranate, da purissimi anni Settanta, o da facce ipercolorate (quella di Ranieri sembrava uscita da un forno) da tv color (99 canali! Che tenerezza quelle pubblicità…) di era preistorica. E non è possibile che, passando alla radio, in collegamento da Orleans l’inviata Rai alla Federation Cup descriva così le fasi decisive di un incontro: ”Destro della Schiavone, sinistro della Cornet…”. Dubitiamo che ci sia un secondo livello di lettura, come quando Gianni Clerici definiva destro e sinistro i due colpi da fondocampo di Monica Seles. Poi dentro l’azienda c’è di molto meglio (ci abboneremmo ad una pay tv con solo le telecronache di BragagnaMonetti, FioravantiSacchi, MascoloBonamico, Bizzotto, tanto per non citare altre persone validissime che però conosciamo di persona), generalizzare è sbagliato, ma negli errori c’è spesso una supponenza da ex monopolisti che è impossibile da disincrostare. L’Italia non è più quella di Campanile Sera o del maestro Manzi, ma in molte sue parti è sempre quella delle raccomandazioni.
3. Ammettiamo di esserci entusiasmati, ieri pomeriggio, quando arrivando al Palalido per Armani-Eldo Caserta abbiamo visto i botteghini chiusi con tanto di cartello ‘Palazzetto esaurito’. Non esiste solo il calcio (nemmeno nella città di Inter e Milan), finalmente la gente ha capito che contano i progetti e l’identificazione più delle vittorie (che si possono sempre rubare), e altri pensieri di simile spessore. Poi siamo entrati ed il tutto esaurito non c’era, anche se effettivamente ad occhio il 90% dell’impianto era pieno. Strategia di marketing? Induciamo la gente a credere che la quantità disponibile di un bene-servizio sia scarsa, così a questo bene-servizio verrà dato in futuro più valore. Magari più semplicemente qualche collo di bottiglia nella vendita dei biglietti, visto che dopo tempo immemorabile abbiamo visto i bagarini (rispettato il luogo comune: erano tutti napoletani) ad una partita di basket, oltretutto non di cartello.
4. Uno dei nostri tanti limiti è che non riusciamo farci piacere il rugby, proprio inteso come gioco: non abbiamo retto più di un minuto della partita a Twickenham contro l’Inghilterra, ma è colpa nostra. Però apprezziamo tutto quello che gli sta intorno, a partire da una cultura della sconfitta che non è solo teoria ma un comportamento concreto e ben visibile dopo le sconfitte stesse. L’addetto stampa della federtennis si è lamentato del trattamento mediatico riservato agli azzurri della racchetta paragonato a quello di altre discipline che ad alto livello collezionano solo disfatte, come appunto il rugby. C’è un fondo di verità in questo ragionamento, nel senso che molti inviati sul rugby ci ricordano quelli improvvisati per Tomba o Luna Rossa: entusiasmo da neofiti (magari ispirato da qualche sponsor) e senso critico vicino allo zero. Però è vero che una cultura non si applica per decreto: se un appassionato di tennis fin da bambino si sente dire, dagli addetti ai lavori e non al bar, che il numero 30 del mondo è uno sfigato poi da grande contesterà il Seppi della situazione che strappa ‘solo’ un set a Nadal.
stefano@indiscreto.it
(apuuntamento a domani, verso mezzogiorno)

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