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Dai Kraftwerk agli Alphaville, quando l’Europa ascoltava i tedeschi

di Paolo Morati

Pubblicato il 2015-07-15

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Il rigore tedesco, argomento di discussione di questi giorni (anzi diremmo mesi, se non anni) relativamente al salvataggio economico della Grecia, è lo spunto per alcune riflessioni musicali da bar, ma non troppo. Vi chiediamo cinque minuti del vostro tempo provando a partire dalla musica elettronica i cui padri arrivavano guarda caso proprio dalla Germania. Parliamo dei Kraftwerk. Asciutti, freddi e senza fronzoli nella loro proposta originale che fece poi scuola, difficilmente replicabile, con ripetizione di parole (repetita iuvant anche in politica economica?) e trovate geniali come in Trans Europa Express o la celebre Pocket Calculator, ma anche con qualche concessione morbida come nel primo singolo Radio-Activity. Una musica ipnotica, certamente poco mainstream (se ai tempi, siamo negli anni Settanta e a seguire i primi Ottanta, si poteva già usare questo termine) che però riuscì a sfondare commercialmente. Politicamente quasi un presagio il brano Europe Endless, tra eleganza e decadenza citata e invocata in un più ampio lavoro dal filo conduttore continentale.

Un’altra band importante che arriverà dopo i Kraftwerk è quella degli Alphaville. Guidata da Marian Gold e tuttora attiva, si meritò un articolo su Indiscreto anni fa ma la cosa importante è che l’evoluzione dell’idea elettronica in synth pop trovò nella sua proposta una gustosa ricetta con testi immaginifici e non banali che perlomeno nei primi tre album seppe mantenere le promesse di hit come Big in Japan senza ripetersi, per poi andare a sperimentare anche altri generi e suoni con buona qualità. Altra produzione tedesca irrinunciabile quella dei Propaganda, anche loro sintetici e melodici figli dei Kraftwerk, vedendo nel periodo con Claudia Brücken alla voce quello più florido in termini di riscontri. Duel e p:Machinery sono certamente due pietre miliari di un’era dal sound poderoso e marziale che fece il giro del mondo.

Solo di formazione tedesca è invece il rumeno Michael Cretu, musicista mitteleuropeo, martellante nella sua hit Samurai così come nelle produzioni per la moglie Sandra (da Maria Magdalena in poi) fino al progetto Enigma con il quale mise intelligentemente insieme suoni di varia origine, apportando nuova linfa al metro della New Age. Eravamo sempre negli Ottanta, con tutto che ruotava ancora una volta attorno all’elettronica, ai campionamenti e quindi ai sintetizzatori dei quali chi arriva dalla Germania sembra avere da sempre una padronanza rigorosa.

Virando verso altri lidi citiamo infine i berlinesi The Twins che, se con il primo singolo Runaway e i brani contenuti in Passion Factory dimostrarono di aver imparato bene la lezione dei Kraftwerk ma anche di quanto arrivava dal Regno Unito, si fecero poi più ricevibili per le orecchie spensierate fino alla loro più grande hit: Face to face, heart to heart. Ci fermiamo qui con questi brevi spunti anche se si potrebbe ancora dire molto cambiando genere su artisti come Nena, Nina Hagen, o addirittura mutare completamente prospettiva andando sul più che popolare schlager, intreccio di parole e suoni sentimentale e per certi versi apparentemente ed erroneamente poco teutonico. Perché alla fine, ricordiamocelo, anche i più duri hanno un cuore.

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