Da Wenger ad Amedeo Goria

26 Giugno 2012 di Dominique Antognoni

Gli stranieri che vengono ad abitare in Italia hanno rispetto agli italiani diversi handicap, ma  almeno un vantaggio gigantesco: non sono cresciuti guardando i programmi della Rai. Non essendo legati a quelli di un passato mitizzato, nemmeno dal punto di vista affettivo, non tollerano nemmeno quelli del presente. Probabilmente non esiste nulla di più lontano dal 2012 della redazione sport del carrozzone statale, secondo chi è costretto a guardarli i programmi di approfondimento sono qualcosa di obbrobrioso, un misto micidiale fra il tavor e la sagra degli orrori che va al di là anche della bravura di alcuni (pochi) singoli. Certo, nessuno ne parla male pubblicamente perché i ‘colleghi della carta stampata’ ancora ambiscono ad una collaborazione, un invito, un commento, un’assunzione, per cui cane non morde cane. Visto che nessuno della Rai ci chiamerà mai (ci sentiremmo offesi se solo pensassero di rivolgersi a noi), possiamo parlare serenamente e dire che per fortuna sulla piattaforma Rai ci sono le reti tedesche Dar Este e Zdf che trasmettono le partite. Fidatevi, le immagini sono le stesse, Cristiano Ronaldo segna uguale con il commento in tedesco oppure in arabo. A proposito di arabo, qualche giornio fa in Marocco seguivamo le partite degli Europei su Al Jazeera, che punta tantissimo sullo sport. : Al di là dell’entusiasmo quasi infantile dei commentatori (al gol di Pepe non smettevano mai di dire ‘Pepepepepepepepepepepepe’) siamo rimasti choccati nell’intervallo di una delle tante gare quando abbiamo visto in studio niente meno che Arsene Wenger e Arrigo Sacchi. Che, incredibile, analizzavano le partite e proponevano le loro chiavi di lettura. Abituati all’Italia e alla Rai, visto che le partite dell’Europeo in italiano le danno solo lì, l’entusiasmo infantile si è impadronito anche di noi. Wenger e Sacchi che parlano di calcio! Il confronto con gli opinionisti Rai, da Collovati a D’Amico, è stato imbarazzante. E parliamo dei concetti espressi, non del nome o del curriculum. Non avevano davanti una specie di madonnina illuminata, come in Rai, ma un normale giornalista in giacca e cravatta. Non si stupivano delle prove di Lewandowski o di chiunque altro perché, incredibile, conoscevano i giocatori delle 16 nazionali in campo. Azzardavano giudizi, più o meno interessanti ma pur sempre qualcosa che andasse oltre la partita. Detto questo, adesso che siamo tornati in Italia e abbiamo ripreso il solito tran tran televisivo, ci rendiamo conto che il problema dello sport Rai non sono gli opinionisti, per quanto tristi siano (l’unico vivo è Zazzaroni): quelli si possono sempre cambiare in un minuto, se ce ne fosse la volontà. Il problema della Rai è l’inamovibilità di giornalisti che non sembrano più bravi di quelli della più scalcinata tivù locale: ci rifiutiamo di credere che in Italia non si trovi niente di meglio di Varriale o Amedeo Goria.

Dominique Antognoni, 26 giugno 2012
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