Da Facebook a Meta, la nostra seconda vita

29 Ottobre 2021 di Stefano Olivari

Facebook, inteso come come gruppo e non come social network, ha cambiato il suo nome in Meta: l’annuncio è stato dato ieri dallo stesso Mark Zuckerberg durante un’ora e un quarto di diretta Facebook in cui ha alternato monologhi e interazioni con collaboratori e dipendenti in posizione fantozziana. Delle novità e delle prospettive di Facebook, o ex Facebook, abbiamo scritto per il Corriere del Ticino e non ci copincolliamo: tutto è online o in edicola. A mente fredda volevamo solo aggiungere qualche altra considerazione.

La prima è che Zuckerberg ha ammesso quello che tutti possiamo osservare e cioè che il mondo di Facebook (quindi anche Instagram e WhatsApp) è percepito un po’ come una cosa da vecchi. Super-redditizio, il che permetterà di buttare nel progetto Metaverse 10 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 senza aspettarsi ritorni, ma privo della capacità di creare il mitico hype. Seguendo tutta la diretta Facebook raramente abbiamo visto gli utenti collegati andare sopra i 25.000, un numero incredibilmente basso: per dire, se Cuadrado avesse parlato in diretta della catena di destra della Juventus ne avrebbe fatti di più. Per questo, anche se non è in apparenza un suo concorrente diretto, è Apple che Zuckerberg davvero non sopporta, oltre a chi sta intercettando i gggiovani come TikTok.

La seconda considerazione è che a Zuckerberg non venga bene filosofeggiare e fare il visionario da Silicon Valley, lui è un grandissimo imprenditore che comprende il presente ed anche il futuro, intercettando i bisogni della gente. Ed Oculus Quest 2 spaccherà nel mondo dei videogiochi, ma anche in quello del fitness, non soltanto quello da palestra ma lo sport in generale: quanto pagheremmo, per tornare al Metaverse, per avere il nostro avatar in campo nella finale di un Mondiale? Non è sfuggita ai più proprio l’enfasi sul fitness, con possibilità un po’ diverse rispetto ai tempi di Jane Fonda. Considerazione nella considerazione: chi ha un marchio se lo tenga stretto, è l’unica cosa che ormai valga.

Infine pensiamo che quella che sarà Second Life con i mezzi di oggi e non del 2003 cambierà il nostro modo di lavorare e di giocare, come è ovvio, ma anche di abitare. Possiamo accettare per un’ora al giorno il lurido trilocale di periferia con amministratore ladro, ringhiera arrugginita, vista sull’edicola chiusa e un centro Tuina, a patto che nelle altre ventitré il nostro avatar possa lavorare e vivere in Polinesia, ma anche essere a San Siro in un attimo e ad Aspen per una sciata subito dopo la fine della partita. Perché dovremmo pagare mezzo milione una casa orribile quando con pochi click potremo avere, nemmeno troppo virtualmente, il meglio? La nostra finezza ci impedisce di scrivere di altre possibili applicazioni, che poi sarebbero le prime a cui abbiamo pensato. La verità non è un valore, se fa schifo, e i grandi del tech l’hanno capito meglio di noi.

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