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Cuore di Casalini

Oscar Eleni 29/07/2022

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Una notte sbagliata fra tuoni e fulmini e si è fermato il cuore di Franco Casalini, allenatore con una radiosa alba ed un veloce tramonto, dopo aver vinto fra il 1987 e 1989 Coppa Intercontinentale, Coppa campioni e scudetto con l’Olimpia Milano che gli davano orgoglio come i 4 titoli giovanili nel regno di Rubini prima e Cappellari poi, nobile cavaliere a difesa del castello nell’età dell’oro di Dan Peterson. Aveva 70 anni, milanese, nato il 1° gennaio del 1952. Se ne è andato da solo perché gli piaceva il suo eremo, se ne è andato senza un abbraccio, ma era nella sua natura dolce, gentile, ma protetta dall’armatura che si era inventato con ironia come quando lo invitarono ad una festa di carnevale in costume e lui accettò: mi vestirò da ex allenatore. Ironia, classe, un pregio, una condanna.

Lo possiamo dire per avergli inflitto la sventura di essere stati fra i suoi allenatori alla Canottieri Milano, una squadra di guastatori da dove è uscito anche qualche discreto giocatore. Lui, però, era già allenatore nell’anima, l’unico che riuscisse a sopportare e, magari compatire, il giovane tecnico che riportandolo a casa se la prendeva con  “Franccoo” urlato bello forte per le colpe dell’intera squadra. A 19 anni si era già impegnato ad eslporare con i ragazzi della Social Osa la vita affascinante e difficile in panchina. Il suo modo d’insegnare, imparato  bene nella scuola di Mario Borella sui Navigli, gli aprì subito le porte del regno rubiniano, taciturno come il suo amico e compagno di lotta Guglielmo Roggiani, fedele nella difesa della stanza dove il Principe Rubini relegava i turchi fumatori in via Caltanissetta, con Faina e Cappellari che si bruciavano i vestisti pur di negare che stavano peccando.

Un generale che sapeva  vivere la battaglia e  la gioia della trasferta, carte in  mano, appunti presi in fretta, gara meravigliosa di battute con Dino Meneghin, pensieri lucidi per ridare a Mike D’Antoni la gioia di andare sul podio e dirigere il concerto di quella squadra che prima di arrivare alla felicità  aveva passato ore a rimuginare aspettando l’alba sul Naviglio mentre Sergio, il padrone del Torchietto, sfinito, lasciava le chiavi per la chiusura del locale a quella banda di sognatori infelici. Dal commiato di Meneghin, Premier, del D’Antoni che lo considerava uno di famiglia con la sua Laurel, si capisce tutto.

Non tremò quando Dan Peterson, l’uomo di Evanston che lo aveva aiutato a capire come fosse diversa la vita da sognatori magari un po’ perdenti, ma da cancellare per stare in quella di pragmatici vincenti, già ad una finale giovanile nel Veneto aveva deciso che la sua storia in panchina era finita. Non aveva più energie il nano ghiacciato, che tanto ghiacciato non era, si fece da parte, ammettendo solo molto più tardi il suo errore. Cappellari si chiuse in una stanza e non sprecò tante parole: ”Franco tocca a te, la società farà muro, tu vai tranquillo e in squadra la trimurti del successo, D’Antoni, Meneghin, McAdoo,  ti  aiuterà”. Lo fecero Premier e gli altri fino alla notte di quello scudetto livornese che fu il grande dolore di Bucci e De Raffaele, ma anche l’ultimo urrah per quella Olimpia. L’anno dopo Zorzi lo mandò fuori negli ottavi dei playoff a Reggio Calabria il vero muro come gli aveva predetto Peterson lasciandogli la panchina: ”Adesso sono cazzi tuoi”.

La grande saga era finita e anche per lui la vita di allenatore anche se fra il ’99 e il 2000 ha vinto due coppe svizzere con il Vacallo dopo tormenti senza estasi a Forlì e Roma aveva coinvolto il Pippo Faina con cui ha fatto tanta strada, riconoscente verso un gentiluomo che gli aveva aperto la porta e che non fece una piega quando il sottoposto di un tempo lo volle come assistente anche per l’ultimo ritorno nella casa Olimpia, la sua famiglia. Studi, televisione, ironia e nuovi termini inventati per divertire, divertirsi, dire la verità mascherata nei momenti di “broccaggine” di una partita, una delle tante invenzioni lessicali come ci ha ricordato Bartezzaghi, come potrebbe raccontare Mamoli che prima è stato suo allievo sul campo e poi guida nelle avventure televisive a SKY. Vita randagia, amori trovati e perduti. Per salutarlo le parole di Ettore Messina che ci ricorda la dolcezza,  grato, gratissimo, come dicevano in un film perché il quasi esordiente Casalini dell’Olimpia che sta vincendo tutto in poco tempo volle proprio lui,  appena lanciato da Porelli sulla panchina della Virtus, come assistente alla partita delle Stelle che a quei tempi aveva un senso, un’anima.

Caro Franco dormi tranquillo e al risveglio saluta tutti i nostri amici che troverai  nel campionato di basket fra angeli e diavoli, abbracciali tutti cominciando dal Giancarlo Sarti che ci ha lasciato qualche giorno fa, chiedendo alla tua amica Bruna Heidempergher di spiegarti come si vive lontano da questa immondizia.

info@indiscreto.net

 

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