Cristiano Ronaldo nel paese degli Agnelli

3 Dicembre 2020 di Paolo Ziliani

Avete presente i mirabolanti superpoteri dei supereroi di cinema e fumetti? Superman che vola, Spiderman che spara ragnatele e si arrampica sulle pareti dei grattacieli, o anche quelli di supereroi meno famosi come Tempesta, capace nel suo piccolo di controllare il clima atmosferico. Stupefacenti, vero? Ebbene, da quando negli stadi italiani è arrivato lui, CR7 al secolo Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, la vita si è fatta dura anche per loro, i supereroi per cui tutto il mondo delira. E anche se è vero che Ronaldo gode di notorietà planetaria da quasi una ventina di anni, è solo da poco, esattamente da quando è giunto in Italia per vestire la maglia della Juventus, che Superman e Spiderman sono diventati al suo confronto poco più che soldatini di piombo.

Questo almeno a dar retta alla narrazione dei media italiani con i tre quotidiani sportivi (Gazzetta dello Sport, Tuttosport e Corriere dello Sport), molti di quelli generalisti, cento televisioni fra cui la storica pay tv (Sky Sport), mille siti internet intenti ad azionare il turibolo ventiquattr’ore ore su ventiquattro in una non-stop adulatoria che non conosce tregua. È da inizio millennio che Ronaldo fa parte della ristretta cerchia dei migliori calciatori in attività nel pianeta, secondo solo al suo storico rivale Leo Messi, ma mai, nemmeno negli anni gloriosi trascorsi al Real Madrid, il racconto delle sue gesta aveva toccato vette di magnificazione alte come da noi. Un’apologia a tal punto smaccata da provocare in buona parte del Paese un effetto-rigetto istantaneo, sufficiente a guastare il piacere di ospitare, sia pure nel tratto declinante della sua carriera, un campione che avrebbe meritato invece di essere apprezzato al di là di ogni tifo e appartenenza calcistica.

Con una sceneggiatura degna del più riuscito film di Fantozzi i media italioti hanno riportato in vita, a distanza di quasi un secolo, l’Istituto Luce di mussoliniana memoria. Un Istituto Luce 2.0, costituito dalla gran parte dei media italiani, risorto per farsi strumento di propaganda non più del Duce buonanima ma appunto di Cristiano Ronaldo santo (sempre) e martire (ogni volta che serve). Il tutto col paradossale e rovinoso esito di ingabbiare l’incolpevole CR7 in una ridicola capponaia, una vetrina kitsch buona solo a suscitare nell’Italia non juventina, e anche in parte di quella juventina, un senso di fastidio e di rifiuto ogni giorno sempre più marcato, rendendo il fuoriclasse inviso ad almeno mezzo Stivale.

A metà anni Ottanta, come i meno giovani ricorderanno, giunse in Italia, per l’esattezza a Napoli, Maradona, assieme a Pelè il più grande calciatore di tutti i tempi. Era un’altra epoca, c’era poca tv, i social erano ancora di là da venire e tuttavia il paesaggio attorno alla luminosa stella giunta in Italia a dominare la scena non scomparì. E ci fu spazio per continuare a parlare di tutti, di Zico dell’Udinese e di Falcão della Roma, di Platini della Juventus e di Rummenigge dell’Inter e persino del piccolo Verona che in mezzo a tanto ben di Dio nell’anno del debutto di Maradona in serie A riuscì a conquistare lo scudetto. Erano tempi, quelli, in cui stampa e tv non esitavano a biasimare il dio del pallone se i suoi comportamenti extra-calcio, spesso discutibili, prestavano il fianco a critiche o a censure. A Napoli c’era Maradona, certo, ma alla sua corte vivevano e brillavano di luce propria innumerevoli personalità di spicco che l’argentino in primis si premurava di riconoscere, onorare e tenere in palmo di mano. E le attenzioni e le curiosità su di lui erano massime, certamente, ma quel che il Pibe mangiasse a colazione, i suoi tic e le sue manìe, le sue fuoriserie e le sue fidanzate, i suoi look e i suoi modi di esultare (peraltro normalissimi) passarono sostanzialmente inosservati. E i piccoli accadimenti della sua vita extra-calcio vennero annotati e narrati, sì, ma senza essere ammantati da quell’alone di incanto, stupore e magia riservato oggi a tutto ciò che fa, pensa o dice Cristiano Ronaldo.

Maradona trascorse in Italia sette stagioni, le visse da incontrastato numero uno, compì imprese memorabili ma non fece mai ombra al movimento e non ridusse mai i suoi competitor a una pletora di lillipuziani. E i media non fecero mai l’errore di relegare nel sottoscala delle attenzioni il club che lo stipendiava, i calciatori che gli facevano corona, il campionato in cui giocava, il movimento che lo ospitava. In Italia c’era Maradona ma attorno a lui girava un variegato e luccicante mondo abitato da uomini e campioni di prima grandezza, a cominciare dai compagni di squadra che aiutarono Diego a portare a Napoli scudetti e coppe, da Careca a Bruscolotti, da Bagni a Giordano, da Garella a Romano.

Nel preciso momento in cui CR7 ha messo piede a Torino, invece, e cioè durante la calda estate 2018, l’eclisse sulla serie A (includendovi la stessa Juventus) è scattata istantanea, totale e definitiva. Tutto ciò che il calcio made in Italy aveva significato e significava in ogni angolo del mondo ha smesso di colpo di essere, è sbiadito ed evaporato: col tacito consenso in primis della stessa Juventus, caduta letteralmente in deliquio di fronte a cotanta grazia (come se a Torino non fossero mai passati campioni come Sivori e Platini, Baggio e Zidane, Buffon e Del Piero) dopo aver deciso di farsi piccola e di declassarsi a sponsor minore dell’azienda CR7 divenuta, per i tifosi, il primo team per cui palpitare e per gli sportivi il primo motivo d’attrazione di una serie A considerata, fino a pochi anni prima, il più prestigioso campionato al mondo per presenza di campioni, tasso di classe, sofisticazione tattica, concorrenza, equilibrio, rivalità di campanile.

Come a seguito di un improvviso e gigantesco reset, con l’arrivo di CR7 tutto è stato cancellato; un reset che da allora si ripete puntuale ogni giorno. Ogni mattina l’Italia del pallone si sveglia e sente le tv e le radio e vede i giornali e i siti web trasmettere sempre lo stesso brano e scrivere sempre lo stesso articolo: quant’è bravo e bello e unico Cristiano Ronaldo e quanto memorabili sono le sue gesta. Dal luglio 2018 la giornata dei calciofili del Belpaese trascorre sempre allo stesso modo, identica a quella di ieri e a quella di domani, mielosa, ripetitiva e scontata, in un loop quotidiano capace di rincretinire chiunque lasciando spazio solo a discorsi su Ronaldo, e poi su Ronaldo e poi ancora su Ronaldo.

Se un vecchietto di nome Quagliarella vince inopinatamente la classifica dei cannonieri lasciandosi alle spalle il cinque volte Pallone d’Oro, proprio nell’anno del celebrato debutto di Ronaldo nella serie A italiana, la parola d’ordine, onde scacciare il fastidioso contrattempo, diventa subito “negare e rimuovere” affinchè la celebrazione delle imprese di CR7 non abbia mai fine. Se un ex ragazzo del vivaio juventino di nome Ciro Immobile imita Quagliarella e si lascia alle spalle il portoghese nel secondo anno di CR7 in Italia, aggiudicandosi persino la Scarpa d’Oro, trattasi di deprecabile intoppo: e la parola d’ordine resta “negare e rimuovere” per glorificare sempre e comunque il dio degli stadi Cristiano Ronaldo. Che il suo dovere a dire il vero lo fa ancora per intero, essendo un fuoriclasse. Magari concedendosi qualche battuta a vuoto in più, visto che le primavere sul gobbone cominciano a essere tante, battute a vuoto che l’Istituto Luce 2.0 si rifiuta però ostinatamente e pervicacemente di riconoscere.

Il postulato è chiaro: Ronaldo non può perdere, può solo vincere. Stabilito questo, dal corollario che segue si evince che tutto quel che CR7 fa, pensa e dice, in campo e fuori dal campo, nella Juventus o in nazionale e in ogni luogo, godrà sempre del marchio della straordinarietà. Tutto ciò che lo riguarda sarà magico e perfetto, con lui ogni miracolo sarà possibile e ogni sogno destinato ad avverarsi. Qualsiasi sia la competizione cui CR7 prende parte, la classifica cannonieri arriderà a lui. Il Campionato Europeo o il Campionato del Mondo saranno suoi, il Pallone d’Oro anche e i premi di miglior giocatore dell’anno pure. Metterlo in dubbio significa bestemmiare perché Ronaldo è Ronaldo e nel pianeta pallone altri bravi come lui non ce ne sono. Così ogni giorno che il buon Dio manda in terra dall’Istituto Luce 2.0 si levano al cielo le Lodi all’Altissimo: CR7 è santo. CR7 è forte. CR7 è grande. CR7 è l’Onnipotente.

Se poi, inopinatamente, la cruda realtà si premura di arrivare a confliggere con la Verità Rivelata (da quando è alla Juve, per dire, Ronaldo non ha più vinto una classifica cannonieri, una Champions League, un Pallone d’Oro, una Scarpa d’Oro, un Best Player Fifa, un Best Player Uefa), scattano all’unisono gli allarmi a distesa e la contraerea dei meccanismi difensivi. Ronaldo ha perso? Lo si nega e lo si rimuove: magari parlando d’altro. Il riconoscimento cui CR7 tiene di più, il Pallone d’Oro, viene assegnato al suo acerrimo rivale Leo Messi che addirittura lo stacca in classifica per numero di premi vinti? L’Istituto Luce dispone che all’indomani si parli di CR7 premiato come miglior giocatore della serie A affinché sia chiaro che Messi o non Messi il più bravo è e resta lui, il Bambinello venuto da cielo in terra a miracol mostrare. I prestigiosi premi di cui CR7 per un decennio ha fatto incetta, unitamente a Messi, non arrivano più? Scattano in tempo reale le cortine fumogene dei media che giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese ci rammentano che CR7 è il calciatore che ha scoccato più tiri in porta, realizzato più gol consecutivi, segnato più gol nei minuti finali, saltato più in alto negli stacchi aerei, corso più veloce nelle ripartenze, battuto con più potenza i calci di punizione, conquistato più follower nei social, guadagnato più soldi dagli sponsor, flirtato con le donne più belle, comprato le auto più costose. E se la Juventus, a dispetto del colossale investimento fatto per ingaggiarlo, continua nella sua navigazione di piccolo cabotaggio collezionando batoste in Europa e vincendo scudetti che già ieri conquistava con Tevez e Llorente e l’altro ieri con Matri e Vucinic, la parola d’ordine è inneggiare a una Juve miracolata da Ronaldo. Anche se non si capisce perché, visto che tutto avveniva già, facilissimamente, prima.

E insomma, com’è strana la vita. Lanciato a diciassette anni dal club che lo ha allevato e cresciuto, lo Sporting Lisbona, Cristiano Ronaldo ha trascorso dapprima sei stagioni ricche di successi in Inghilterra al Manchester United, poi nove leggendarie in Spagna al Real Madrid, ma è solo al momento del suo approdo alla Juventus con 33 primavere e mezzo sul gobbone che l’Italia ha scoperto attonita il suo stato di deità. L’Arcangelo Gabriele che lo annunzia è il risorto Istituto Luce. È grazie all’Istituto Luce se la natura soprannaturale del Fenomeno, nato al freddo e al gelo di Funchal, Portogallo, in una notte di ritardato Natale, il 5 febbraio 1985, ci è stata rivelata.

Come mai CR7 è diventato il Supereroe dei Supereroi soltanto oggi, una volta messo piede sul suolo italico? La risposta, come diceva Bob Dylan, is blowin’ in the wind, si perde nel vento: in queste pagine noi provvederemo a darvene conto. Quel che è certo è che la grazia di veder disvelato il mistero della divinità di CR7 è toccata all’Italia. Una rivelazione che ha innescato un cortocircuito emotivo senza precedenti portando le folle, sintonizzate sulle lunghezze d’onda degli aedi, a raggiungere uno stato di prolungato e ininterrotto orgasmo mentale attivabile a comando, anche per un semplice gol su rigore segnato da CR7 al Frosinone. Esattamente come la pillola blu del Viagra, la pasticca rosa della Gazzetta (e dell’Istituto Luce nel suo complesso, la Gazzetta è soltanto la testata più famosa fra le tante che citeremo) ha regalato al popolo eletto, folgorato sulla via della Continassa senza nemmeno il tempo di capacitarsene, il paradiso in terra. Lunga vita a CR7, dunque, che si è fatto dio in mezzo a noi, e lunga vita al risorto Istituto Luce che giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto, instancabilmente, alacremente, indefessamente ha operato e opera alla stesura delle Nuove Sacre Scritture. CR7 è tra noi. Noi lo ringraziamo, lo adoriamo, lo benediciamo, gli rendiamo grazie e lo supplichiamo: illuminaci e salvaci dal male come salvasti te stesso nel giorno del primo miracolo della tua vita. Un prodigio alla portata solo del Supereroe dei Supereroi, dell’uomo più forte di tutto e tutti: anche dell’aborto, come vedremo.

Con l’operazione Cristiano Ronaldo la Juventus ha rinnegato la sua storia: mai si era messa al servizio dei suoi campioni, nemmeno dei più grandi, da Sivori a Platini. Erano dipendenti, strapagati e amati dalla proprietà ma pur sempre dipendenti. Invece Cristiano Ronaldo è un’azienda multinazionale che ha stretto un accordo di marketing con un’azienda italiana, con quest’ultima che fin da subito ha dovuto pompare mediaticamente questa operazione dalle devastanti conseguenze finanziarie. Con la Champions League, sfiorata due volte pochi anni prima dell’era CR7, diventata più un’ossessione che un traguardo sportivo. Nonostante le apparenze, in questo libro non si parla della Juventus ed in fondo nemmeno di Cristiano Ronaldo, che non sarà una divinità ma di sicuro è un grande campione, decisivo in Champions League anche da ultratrentenne. Attraverso le cronache (cronache?) sportive riguardanti CR7 si parla del paese degli Agnelli e del modo in cui vicende più serie del calcio vengono raccontate. L’obbiettivo è quello di far sorridere, ma solo pensando al calcio.

Cristiano Ronaldo nel paese degli Agnelli – Il campione della Juventus raccontato dai media italiani, di Paolo Ziliani (Editore Indiscreto), 380 pagine, è in vendita da Amazon (anche in versione Kindle), Hoepli, IBSFeltrinelli e in tutte le librerie indipendenti che lo abbiano richiesto o lo richiederanno a Distribook

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