Cristiano Minellono, le canzoni come un film

10 Febbraio 2022 di Paolo Morati

Su Indiscreto ci piace raccontare la storia di chi sta dietro alle canzoni, cioè gli autori. Le persone che contribuiscono con la loro creatività ed il loro talento ai successi che rimangono nella memoria collettiva, ma che troppo spesso hanno poco spazio, visto che di solito si cita solo chi canta. Abbiamo quindi parlato con Cristiano ‘Popi’ Minellono, in principio giovanissimo attore (a 9 anni sul palco con Ernesto Calindri), poi per breve tempo cantante e infine, appunto, autore di enorme successo per la musica e la televisione. Nel mentre anche pilota automobilistico e di aereo. Figlio di Carlo Minello e Maria Pia Arcangeli, attori di cinema e teatro, ha condiviso con noi tanti ricordi e considerazioni, a cominciare dagli inizi della sua carriera di autore…

È un mestiere che non pensavo di fare. Accadde che nel 1968, trovandomi alle edizioni Curci per le quali ero sotto contratto come cantante, Tony De Vita mi disse che non sapeva a chi far scrivere il testo di un brano richiestogli da Shirley Bassey. Io gli risposi che se si fidava me ne sarei occupato. Il testo piacque sia a De Vita sia alla Bassey e così nacque il brano ‘È giorno’. Da lì iniziai dapprima a tradurre le canzoni straniere di cui la Curci era sub-editore per l’Italia. Fu il caso ad esempio di Crimsom and Clover di Tommy James and the Shondells diventata Soli si muore per Patrick Samson. Contemporaneamente Mario Lavezzi, tornato dal militare, scoprì che i Camaleonti lo avevamo lasciato a piedi. Era disperato e gli dissi di lasciar perdere e di provare invece a pensare a dei brani, suggerendogli qualcosa nello stile di A Whiter Shade Of Pale dei Procul Harum. Lui compose Il primo giorno di primavera della quale scrissi il testo, firmata anche da Mogol che con Battisti era produttore dei Dik Dik. Entrambi i brani finirono in testa alle classifiche di vendita. Era un periodo molto stimolante e potevo lavorare a fianco di grandi già affermati come Giorgio Calabrese, Alberto Testa, Luciano Beretta, Luigi Albertelli.

Come si scrive il testo di una canzone? Si lavora di più sulla musica oppure al contrario si immagina un testo che poi viene musicato?
Io ho sempre scritto sulla musica, tenendo conto che se non mi piace allora rinuncio. Per un musicista è invece più difficile partire da un testo per poi musicarlo. Posso dire che scrivo nonostante me, in quanto non parto mai da un’idea preconcetta o da annotazioni che ho preso. Ascolto la musica un paio di volte, ho un lampo e scrivo per poi al massimo cambiare una parola. Sono sempre stato molto rapido e lo stesso Roberto Vecchioni nel suo ultimo libro ha riconosciuto questa mia caratteristica. Faccio qualche esempio. I testi dell’album Soli di Adriano Celentano, uscito nel 1979, li ho scritti tutti in un pomeriggio. Quello di Ci sarà che ha vinto Sanremo nel 1984 l’ho inventato al telefono con Al Bano. In generale i testi delle mie canzoni sono come dei piccoli film. Descrivo l’ambiente, il tempo che c’è fuori, costa sta accadendo.

Relativamente alle cover, qual è il metodo utilizzato per gli adattamenti in italiano?
In un solo caso ho rispettato il testo originale perché me lo chiese Burt Bacharach per Raindrops Keep Fallin’ on My Head diventata Gocce di pioggia su di me e interpretata tra gli altri nel 1970 da Patty Pravo. Negli altri casi sono stato lasciato libero. Del resto Crimson and Clover, che significa Cremisi e Trifoglio, non si poteva tradurre letteralmente per cui è diventata Soli si muore. O ancora Let it be l’ho tradotta come Dille sì sempre per Samson oppure Run To The Sun è diventata Mai come lei nessuna per i Nomadi. Il segreto sta nel rispettare la metrica e metterci la sonorità giusta (A Minellono dobbiamo anche il testo italiano di un noto spot che recitava “Vorrei cantare insieme a voi…” n.d.a).

Abbiamo citato l’album Soli di Adriano Celentano, che ha le musiche di Toto Cutugno così come Un po’ artista un po’ no che include Il tempo se ne va. Come è nata questa collaborazione che ha poi portato a tanti successi di cui probabilmente il più clamoroso è L’Italiano?
All’epoca ero direttore delle edizioni Curci e Toto era un nostro artista. Lui mi chiese di fare un pezzo insieme e, visto che ero il paroliere di Celentano lo coinvolsi per tutto l’album Soli. Qualche anno dopo abbiamo scritto per Adriano proprio L’Italiano. Lui non la volle cantare considerandola troppo banale, non capendone, come tanti, il vero senso. Di fatto si tratta di una fotografia molto critica dell’Italia. Perché “con l’autoradio nella mano destra” significa un Paese di ladri, “con troppa America sui manifesti” significa un Paese privo di identità, “con sempre più donne e sempre meno suore” un Paese privo di vocazioni, “con la bandiera in tintoria” un Paese di opportunisti. Anche “il partigiano come Presidente” è critica, perché essere un partigiano non significa per forza essere a priori un buon Presidente della Repubblica. I giudizi sprezzanti su canzoni come L’Italiano arrivano da un certa intellighenzia dei salotti di sinistra, detto che in Italia non ne esiste una di centro o di destra, premettendo che io non ho un’identità politica, sono un anarchico individualista, come mi definì una volta Fabrizio De Andrè.

L’Italiano ha fatto il giro del Mondo e ancora oggi ha un successo clamoroso…
Il fatto che Celentano la rifiutò fece sì che Toto la presentasse a Sanremo nel 1983, con tutto quello che poi ne conseguì. Ad oggi sono oltre 120 le versioni in tutto il mondo e ha venduto in tutti i Paesi per una cifra intorno a 35 milioni di copie. Il problema è che ci sono zone come Sud America, Russia, Cina, India che nella pratica non pagano quasi niente in termini di diritti d’autore. Un esempio: in Russia lo scorso anno le mie canzoni hanno registrato più di un miliardo di visualizzazioni e ho incassato se va bene circa 7.500 euro.

Le canzoni firmate Minellono sono state anche tra i pilastri dei successi della Baby Records e delle grandi hit degli anni Ottanta prodotte da questa casa discografica… cosa possiamo raccontare di quel periodo?
La Baby Records, fondata da Freddy Naggiar, era nata sostanzialmente a metà anni Settanta con produzioni come quelle del musicista americano Stephen Schlaks. Un giorno parlando con lui feci questa riflessione: il problema di un artista è prima di tutto affidargli una bella canzone, ma poi anche farlo conoscere alla gente. Se noi prendiamo artisti conosciuti siamo già a metà dell’opera e si tratta solo di creare un grande prodotto. Ecco che Freddy mise sotto contratto i Ricchi e Poveri e Al Bano e Romina, artisti in quel momento con uno scarso successo, e da lì è poi nato tutto. Da Felicità a Mamma Maria a Come vorrei a Ci sarà a M’innamoro di te. Un’esplosione di hit una dietro l’altra.

Qual è stato il segreto?
Dobbiamo pensare anche al periodo storico in cui ci trovavamo. A quel tempo in tutto il mondo si faceva la disco e allora io pensai di fare le canzoni italiane, quelle vere, distinguendoci dagli altri. Grandi canzoni con musiche di Dario Farina, il miglior compositore con cui abbia lavorato, scrivendo tanti successi compresi Se mi innamoro che ha vinto Sanremo nel 1985, e Mamma Maria, nata da una mia richiesta: gli avevo detto infatti di fare un riff alla Barbara Ann dei Beach Boys. Sulla sua musica poi ho scritto un testo internazionale, a partire dal titolo che univa due parole italiane conosciute in tutto il mondo e quindi cantabili anche da chi non comprendeva tutto il significato del brano.

Quali sono le ragioni per cui canzoni come questa fanno fatica ad essere riconosciute come di valore da una certa critica?
Tutto sta nel fatto che alcuni vogliono fare gli intellettuali e passare per persone intelligenti. Appartengono a quella stessa intellighenzia di sinistra a cui facevo riferimento prima e che vuole semplicemente darsi un tono.

Viviamo una fase storica in cui anche in Italia si sono affermati fenomeni come la trap che ha dominato gli ultimi anni soprattutto fra i più giovani. Che giudizio si può dare dello scenario odierno?
Prima di tutto va detto che la trap non è un genere italiano e questo vuol semplicemente dire che la musica italiana era morta. Dico era perché oggi sta un po’ risorgendo, qualcosa spunta, ma c’è un problema di base. Non esiste più la discografia italiana, essendo tutto in mano a tre multinazionali. In secondo luogo sono spariti i parolieri e i compositori veri. Oggi parliamo di ragazzini che fanno tutto da soli o con qualche amico: produttore, compositore, paroliere, art director. Per cui sono sparite determinate professionalità che permettevano di realizzare produzioni di qualità. Faccio un esempio. Ai tempi della Baby Records avevamo Dario Farina, il più grande compositore italiano, il sottoscritto, il più grande paroliere italiano a livello di vendite, Freddy Naggiar, in quel momento il più grande discografico italiano, Jürgen Koppers al mixaggio che aveva lavorato con i Bee Gees, Donna Summer e molti altri, gli arrangiamenti di Giampiero Reverberi, il più grande in Italia. Mettendo insieme i migliori è uscito il prodotto migliore e costruito per andare sul mercato internazionale. È qualcosa che oggi non avviene più.

Quali sono le ragioni?
Una delle ragioni è che i guadagni sono finiti. Con un singolo di successo si incassavano 20 milioni di lire ai tempi in cui un appartamento ne costava 7. Io con la vittoria dello Zecchino d’Oro, e parliamo di 20 anni fa, ho guadagnato circa 5 mila euro. Oggi il mercato, visto che non si vendono più i dischi e le persone di una certa età non hanno dimestichezza con i computer, lo fanno i ragazzini con le visualizzazioni, gli ascolti, eccetera. Ecco che quando ho sentito nelle presentazioni a Sanremo che tale artista aveva ricevuto 17 dischi di platino, mi è venuto in mente che una volta a un disco di platino corrispondevano 1 milione e mezzo di dischi venduti. Adesso si parla di 15 mila copie che in realtà sono streaming. Aggiungo che parliamo di musica che non resta: chi ricorderà fra due anni una canzone di questi trapper? Ecco perché adesso per conservare il successo si sono messi anche loro a fare i reggaeton estivi, tutte canzonette tipo Donna Felicità, qualcosa tuttavia che in Italia già si faceva 60 anni fa.

E il fenomeno dei Måneskin?
Hanno conquistato i giovani uscendo probabilmente nel momento giusto e con il supporto giusto, un po’ come accaduto con Il Volo presso un pubblico più adulto. Adesso dobbiamo aspettare e vedere cosa accade con i prossimi dischi. Trovo che non si possano ancora fare paragoni con band come gli Abba che vinsero anche loro l’Eurovision Song Contest. È ancora presto per dirlo.

Ci sono delle canzoni firmate Minellono che non hanno avuto il successo che meritavano?
La prima è Potrei, una canzone incisa dagli Idea 2 (Gian Piero Ameli e Gino De Stefani, quest’ultimo tra i co-autori di Felicità, n.d.a.), due ragazzi che producevo ma che poi per divergenze tra loro non hanno più proseguito la carriera insieme. E poi Sei la sola che amo del 1982, cantata da Dario Farina. Che tra l’altro aveva una voce molto bella.

Quando parliamo di voci quali sono quelle italiane che preferisci con cui hai lavorato?
Oltre ad Al Bano, ne cito tre: Eduardo De Crescenzo, Fausto Leali e Angelo Sotgiu dei Ricchi e Poveri. Quest’ultimo va come un treno, ma facendo parte di un gruppo pochi se ne sono veramente accorti. È uno che emerge rispetto alla maggior parte dei cantanti italiani.

Passiamo al mondo della televisione. Quando e come avvenne l’ingresso a Canale 5?
Tramite Valerio Lazarov, allora direttore di Videotime e regista principale di Canale 5. Mi chiamarono proponendomi di scrivere storie per la televisione, forte del successo di quelle delle mie canzoni. Ecco che il primo programma fu Premiatissima capace di battere Fantastico nella prima serata del sabato. Qualcosa di impensabile all’epoca. Ho poi proseguito a fare tanti programmi fino all’altro grandissimo successo di Buona Domenica con Marco Columbro e Lorella Cuccarini, superando Domenica In: un precedente programma di Maurizio Costanzo con lo stesso titolo non aveva registrato gli stessi numeri.

Come si costruisce una trasmissione di successo? Premiatissima, presentata da Claudio Cecchetto e Amanda Lear, tra l’altro era caratterizzata da effetti speciali all’avanguardia per l’epoca…
Ma non c’era solo quello. C’erano Amanda Lear con i suoi sketch, Nadia Cassini che ballava, Gigi Sabani che faceva le imitazioni, Gigi e Andrea come comici. Insomma era un grande varietà, complesso e completo, oltre al concorso canoro. E se per la prima puntata non avevamo uno sponsor, successivamente erano tutti a fare la fila dietro la porta. La stessa cosa per Buona Domenica.

Com’è cambiata oggi la TV commerciale?
Molto semplice. A dirigere le reti e i capi delle produzioni ci sono persone che non conoscono la televisione e non sanno come farla. Per cui prendono format dall’estero e li ripropongono in Italia. Non esistono più programmi creati da noi. Oggi ho una decina di idee, ma le tengo nel cassetto. Racconto un episodio. Sono andato a parlare con un direttore di rete a cui era piaciuta una fiction che avevo proposto. Gli ho detto che prima di iniziare la produzione dovevamo fare un grande casting avendo bisogno di caratteristi di livello. Lui mi ha chiesto cosa intendessi per grandi caratteristi e gli ho fatto l’esempio di Aldo Fabrizi. Mi ha chiesto chi fosse. A quel punto mi sono alzato e sono uscito. Aggiungo che oggi gli attori bravi non si trovano perché non ci sono registi bravi. Li trovavano Scola, De Sica, Germi, Fellini. Una volta il padrone di un programma televisivo erano gli autori coordinati da un regista. Il padrone di un film era il regista il quale, partendo da sceneggiatura e soggetto, sceglieva il direttore della fotografia, il produttore, gli attori, la location. Oggi non è più così. Adesso chi mette i soldi decide tutto. Inoltre certe professioni non ci sono più e vengono prodotti film mediocri con sempre gli stessi quattro o cinque attori senza una grande regia, una grande recitazione e una grande sceneggiatura.

Qual è invece il ruolo delle radio quando si parla di musica?
Una volta il disck jockey trasmetteva quello che voleva, mentre oggi è più un rapporto commerciale e ciò che viene trasmesso è deciso dal proprietario della radio. Il loro ruolo è comunque ancora importante a livello promozionale, più di quello della televisione, dove sono sparite trasmissioni come Discoring, Popcorn, Festivalbar. Quella era la vera musica in televisione.

Torniamo da dove eravamo partiti. Dagli inizi. Proviamo a fare un bilancio…
Io mi considero un uomo clamorosamente fortunato visto anche che sono un pigro e ciò che ho fatto mi hanno sempre obbligato a farlo. Aggiungo che non sono mai andato a proporre niente a nessuno. Fin da bambino la cosa che ricordo è il palcoscenico. Una sera c’era a cena Macario, una sera Totò, quella dopo Walter Chiari. Ho quindi vissuto subito questo ambiente. Poi ho iniziato a fare teatro e le persone che frequentavo erano Giorgio Strehler, Giorgio De Lullo, Mauro Bolognini. Ho lavorato con attori come Eduardo De Filippo, Rossella Falck, Gianni Santuggio, Lilla Brignone, Laura Adani, Nino Taranto. Per cui mi sono fatto una cultura enorme su cosa sia lo spettacolo, cosa sia la recitazione, la comicità e i suoi tempi. E questo pur decidendo di non proseguire gli studi, fermandomi alla quinta elementare. Del resto sono contro il nozionismo, che significa semplicemente sapere le date esatte di un avvenimento storico, e al contrario sono per aprirsi alla vita.

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