Cosa importa a Friedkin della Roma

6 Agosto 2020 di Stefano Olivari

Dan Friedkin è il nuovo proprietario della Roma, dopo l’accordo raggiunto con James Pallotta ed i suoi soci: 500 milioni fra copertura dei debiti e buonuscita per i vecchi soci, e altri 90 per completare l’aumento di capitale in corso e mettere liquidità nella deficitaria gestione corrente del club giallorosso. E quindi? Prendiamo i vecchi articoli su Zhang, Singer, lo stesso Pallotta, eccetera, e facciamone una cover, così sintetizzabile: cosa importa a Friedkin della Roma?

Visto che non è cresciuto (è nato nel 1965) con in camera il poster di Bruno Conti, Pruzzo o Di Bartolomei, è evidente che abbia intravisto nella Roma un buon affare. Quel buon affare che alla fine non hanno fatto Pallotta e soci, in sella dal 2011 (sindaco di Roma era Alemanno e il nuovo stadio sembrava cosa fatta…), all’inizio con presidente DiBenedetto, e che fra aumenti di capitale e finanziamenti vari in 9 anni hanno messo nel club circa 350 milioni di euro. Forse speravano di uscirne con un guadagno, facendo il colpo dello stadio, ma per i motivi più vari e in città anche molto diverse in Italia queste ambizioni vengono spesso stoppate. Per loro una perdita di almeno 100 milioni di euro, abbiamo letto valutazioni anche superiori ai 150, comunque non una buona fine.

Non è detto che Friedkin costruisca ciò che non sono riusciti a fare nemmeno Dino Viola e Franco Sensi, ma è probabile che la Roma aumenti nei prossimi anni il suo valore e non di poco. Se Pallotta e soci ci hanno perso un po’ di soldi, ma non tantissimi dividendoli per stagione, vendendola nel momento peggiore dell’economia mondiale, perché non dovrebbe guadagnarci fra un po’ di anni Friedkin?

Il punto è un altro: in un grande club di Serie A è arrivato l’ennesimo imprenditore straniero per il quale vincere o non vincere è più o meno la stessa cosa. Discorsi che peraltro valgono anche per gli italianissimi Lotito (che solo quest’anno ci ha un po’ creduto, sia pure senza fare investimenti veri), De Laurentiis e ovviamente Cairo.

Poi ci si chiede perché vincano la Juventus e Agnelli: al netto dei soliti comportamenti della casa, Agnelli è l’unico che metta la vittoria al primo posto (nell’ultimo decennio la famiglia ha messo nella Juventus molti più soldi di quanti ne abbia incassati, con buona pace dei giornalisti-commercialisti CEPU che sdottorano di calcio-azienda: i ricchi vincono più dei poveri) e soprattutto, questo il vero punto, che abbia la chiara percezione della storia del club che dirige. Conclusione? A Sensi di espandere il brand e la presenza sui social network, di fare player trading e di rivendere il club guadagnandoci importava meno di zero.

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