Il coraggio di Tramezzani e quello di Kolarov

17 Ottobre 2014 di Stefano Olivari

Tutti abbiamo visto le immagini di Serbia-Albania, la partita di qualificazione europea nata e giocata a Belgrado martedì scorso in un clima di intimidazione, fino ad esplodere definitivamente dopo l’atterraggio in campo del famoso drone con la bandiera della cosiddetta Grande Albania (cioè Albania più Kosovo e parti anche di Montenegro, Macedonia e Grecia). Bandiera strappata da Mitrovic, con reazione dei giocatori albanesi, invasione di campo, Cana che butta giù un ultras serbo, eccetera. Immagini totalmente serbe anche a livello amatoriale, va detto, anche perché poliziotti e steward di Belgrado appena la situazione è degenerata hanno sequestrato ai giornalisti e ai pochi albanesi al seguito telefoni e telecamerine. Giovedì prossimo la UEFA deciderà sanzioni ed eventuale ripetizione della partita, magari senza Ivan Bogdanov fra gli spettatori (paganti o pagati?). Per saperne qualcosa di più abbiamo telefonato a Paolo Tramezzani, dal 2011 vice di Gianni De Biasi alla guida tecnica della nazionale albanese, uno dei pochi a poter raccontare davvero tutto ciò che è successo visto che è stato l’ultimo a lasciare il campo.

Tramezzani, dalla tivù è sembrata una battaglia più che una partita. Ha avuto paura fisica?

Dal di dentro devo dire che per 38 minuti si è giocato a calcio e che è stata una partita tirata, bellissima. Nessun problema, nessuna situazione diversa da quelle che si subiscono in altre trasferte. A fine partita ci hanno tradotto il contenuto dei cori del Partizan Stadium, in alcuni casi davvero orrendo, ma al momento per noi erano cori normali. È insomma stato calcio, mentre a non c’entrare con il calcio sono stati di sicuro il prima e il dopo.

Ecco, il dopo. Dopo la bandiera strappata si è vista una rissa generale, lì si che avete rischiato.

Non è stato sottolineato a sufficienza che quando il drone e la bandiera sono atterrati il gioco era già stato fermato da Atkinson da 3 minuti, prima per un infortunio e poi per il lancio in campo di tutto: bulloni, sassi, vetri, fumogeni. Insomma, la situazione era già degenerata prima dell’episodio della bandiera. Tanto è vero che mentre il drone stava atterrando il quarto uomo e il delegato UEFA stavano già discutendo della sospensione della partita: ero a 2 metri da loro. Poi al rientro negli spogliatoi, sfruttando la confusione, alcuni steward ci hanno messo le mani addosso e insieme loro anche personaggi non identificati. Lì sono stati molto coraggiosi, davvero molto coraggiosi, i calciatori serbi che ci hanno protetto accompagnandoci negli spogliatoi. In particolare dobbiamo ringraziare Kolarov, ma tutti sono stati splendidi. Kolarov poi insieme a Matic, Nastasic ed altri compagni è venuto nel nostro spogliatoio a sincerarsi che tutto andasse bene.

Veniamo al ‘prima’. Vi siete accorti subito che non sarebbe stata una partita come le altre?

Purtroppo sì, dalla quantità di poliziotti che ci aspettava in aeroporto. E poi nei 10 chilometri che ci separavano dal Crowne Plaza ho visto misure di sicurezza tipo quelle che si vedono per il presidente degli Stati Uniti. Nessun incidente, ma proprio perché tutto era militarizzato: un’organizzazione perfetta, evidentemente la polizia serba aveva avuto informazioni su quanto alcuni tifosi stavano progettando. Quando poi siamo andati allo stadio, l’accoglienza riservata al pullman, con bulloni e sassi, ci ha fatto capire che sarebbe stata una serata difficile. Senza usare parole grosse, tutta l’atmosfera che si respirava a Belgrado faceva pensare che si trattasse di molto più di una partita di calcio.

Cosa si augura che decida l’UEFA? Anche in vista della partita di ritorno, per quanto lontana…

Non faccio previsioni, anche se ho la sensazione che stiano per arrivare sanzioni pesanti. Mio parere personale: spero non ci diano i 3 punti a tavolino, ma di rigiocare la partita magari in campo neutro o comunque in un clima più tranquillo. Lo meritano i calciatori serbi e lo meritano anche quelli albanesi, che si sono davvero fatti onore.

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