Copyright e snippet, cosa cambia in Europa

26 Marzo 2019 di Stefano Olivari

Copyright, snippet, link, lobby: dovrebbe essere finita, ma è probabilmente soltanto cominciata. Il Parlamento Europeo ha infatti approvato la nuova direttiva per il diritto d’autore sul web, ispirando post di giornalisti-tifosi, manco stessimo parlando di Calciopoli. Da una parte molti giornalisti ed editori per così dire tradizionali, che esultano e arrivano con sprezzo del ridicolo a titolare ‘Il lavoro si paga’, loro che pagano i corrispondenti 3 euro ad articolo. Dall’altra vecchi bimbiminkia, alcuni dei quali in Italia hanno parlato per voce dei Cinquestelle, timorosi di non poter più condividere su Facebook la ricetta del pollo alla cacciatora o un articolo sulle scie chimiche. Detto che l’approvazione della direttiva dell’Unione Europea non è stata scontata (348 voti a favore, 274 contrari, 36 astenuti), in quale modo questa riforma del copyright cambierà nella nostra vita quotidiana?.

Intanto il testo dovrà essere recepito entro due anni dai paesi membri dell’Unione Europea, quindi fino al 2021 sarà difficile che che cambi qualcosa. In secondo luogo le Facebook e le Google della situazione con questa nuova formulazione diventano a livello di copyright responsabili di tutto quanto viene pubblicato sulle loro piattaforme: difficile che possano impedire preventivamente al ragazzino di caricare le immagini di Inter-Lazio registrate da Sky, non possono avere moderatori in carne ed ossa per miliardi di account ma solo filtri tecnologici (che già funzionano abbastanza bene), sicuro che la procedura di rimozione su richiesta degli aventi diritto dovrà diventare più celere di quanto sia adesso. Tutto abbastanza fumoso, tante enunciazioni di principio: di base le aziende più incisive nel minacciare azioni legali saranno sempre quelle più tutelate. Nella realtà Rai e Mediaset hanno su You Tube, per fare esempi concreti, quasi soltanto ciò che vogliono diffondere su You Tube attraverso i loro canali ufficiali: la Rai spesso trasmissioni complete, Mediaset estratti e trailer.

Uscendo dai massimi sistemi, rischiamo qualcosa a condividere contenuti pubblicamente su Facebook? La risposta è no, se lo facciamo come privati e se condividiamo l’articolo-video-canzone originale e non quelli mediati da una piattaforma-sito con fine di lucro che non ne detenga i diritti. Se andiamo sul sito di Sky e condividiamo il video di Juventus-Fiorentina femminile lì presente non rischiamo niente, se invece andiamo su TeleVicolo e condividiamo il link alla visione completa di un film di prima visione allora potremmo, in teoria (molto in teoria), passare un guaio. Ma questo già con la precedente normativa…

I giornali sono tutto un altro discorso, legato ai mitici snippet. Cioè quegli estratti di testo che compaiono sotto al titolo quando effettuiamo una ricerca e che spesso sono l’unica cosa che leggiamo davvero, essendo il click effettuato da una minoranza. Leggendo solo gli snippet si rimane ovviamente in ambiente Google, non si porta traffico ai siti originari (mettiamo il New York Times o Indiscreto), quindi la vera materia del contendere è questa. Essendo la pubblicità online in Europa quantificabile intorno ai 50 miliardi di euro annui, il sogno dei grandi editori tradizionali è quello (semplifichiamo) di farsi considerare da Google, Facebook, eccetera, come Spotify e Deezer considerano una casa discografica.

Il nostro giudizio a caldo, in attesa di leggere tutti i dettagli e i tanti esentati (in particolare le start-up), è che la direzione sia filosoficamente giusta ma che dalla parte di Google e Facebook ci sia un’arma letale e soprattutto legale: quella di escludere dalle ricerche i siti e gli editori con cui non trovano un accordo per la gestione degli snippet. Scomparire dalle ricerche e dal circuito delle condivisioni sarebbe la morte per quasi tutti, tranne che per alcuni siti di grande qualità e/o con utenza professionale. Di sicuro gli editori che si lamentano della new economy (che termine vecchio…) sono i primi ad applicare ai loro sottoposti e collaboratori meccanismi schiavistici. Nella direttiva, fra l’altro, c’è un passaggio che dice che chi scrive sul web o cose riprese dal web deve essere remunerato dal proprio editore, che a sua volta deve ricevere un indennizzo dalla piattaforma. Ma in quale sogno?

E quindi? La nostra idea è che il giornalismo, con poche eccezioni (tipo il B2B, quindi qualità in cambio di soldi: come per l’informazione finanziaria o quella politica di nicchia), sarà possibile soltanto se fatto per hobby o se finanziato dall’oggetto del giornalismo stesso. Insomma, dilettanti allo sbaraglio o professionisti della marchetta. Per quanto riguarda invece l’intrattenimento una maggiore tutela del copyright potrà migliorare di molto la situazione di chi lavora. Nessuna rivoluzione e nessuna censura, in definitiva, ma qualche passo avanti. I soldi di Google e Facebook fanno gola a tanti: li arrafferanno prima gli stati con la tassazione o gli editori con qualche accordo?

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