Ai confini della realtà

20 Giugno 2014 di Paolo Morati

Twilight Zone

L’estate è il periodo televisivamente migliore dal punto di vista generalista. Perché mette parzialmente fine a mesi di passione dovuti alla rincorsa all’imitazione, al gossip e al caso umano per far spazio a serie dimenticate ma di valore. Un caso è quello di Ai confini della realtà, ripescato dall’inizio del mese su RAI TRE (ogni giorno verso le 20.10 prima dell’immortale Un posto al sole) nella sua versione classica, la prima e originale, in bianco e nero. Tipico esempio di prodotto pionieristico e fantasioso, il telefilm ideato da Rod Serling racchiude in cinque stagioni a cavallo di sei anni (dal 1959 al 1964, in Italia arriva nel 1962) la lezione che ogni sceneggiatore, regista e attore dovrebbe imparare per tenere incollato lo spettatore alla tv. E sono tanti gli episodi entrati nella storia, con il più famoso probabilmente quel Time enough at last, Tempo di leggere, con la tragedia dell’ultimo uomo sulla Terra, e dei suoi occhiali.

The Twilight Zone, questo il titolo originale della serie che identifica sostanzialmente una zona indefinita, di ambiguità (quella del crepuscolo, al di là dell’origine che si fa risalire all’aviazione), ha fatto da caposcuola a quanto sarebbe venuto poi dopo in almeno due decenni di telefilm caratterizzati da un ritmo non eccessivo e da storie di sostanza. Insomma poco fumo e molto arrosto coinvolgendo come creatori di ricette grandi sceneggiatori che nel caso di Ai confini della realtà videro coinvolti oltre a Serling altre firme storiche della letteratura cartacea e di celluloide come ad esempio Ray Bradbury (Cronache marziane, Fahrenheit 451…) o Richard Matheson (Duel…).

Angoscia e timore, curiosità e bizzarrie, ignoto e mistero, sono gli ingredienti del ‘crepuscolo’ dove si svolgono 156 storie con la claustrofobia che regna pur nelle diverse tematiche espresse. Pensiamo a The Chaser (Miele amaro) dove la prigione è l’amore agognato, oppure a A nice place to visit (L’altro posto) dove l’Aldilà si rivela il contrario, e ancora Will the Real Martian Please Stand Up (Chi è il vero marziano?), o The Eye of the Beholder (È bello quel che piace), con le bende rivelatrici di un volto deturpato. Il tutto introdotto da una musica misteriosa e certamente non tranquillizzante. Insomma, ogni giorno si possono certamente dedicare 25 minuti per trasferirsi dove “esiste una regione tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. È la dimensione dell’immaginazione, è una regione che potrebbe trovarsi… ai confini della realtà”. Ne vale la pena…

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