Con Radwanska e Grissin Bon ha perso il Bene

9 Luglio 2015 di Stefano Olivari

Sono passate quasi due settimane, ma non ci siamo ancora ripresi dalla sconfitta nella finale scudetto contro Sassari. Non siamo reggiani e nemmeno tifosi di alcuna squadra di basket in particolare (nell’iscrizione a NBA League Pass abbiamo messo Lakers, giusto in omaggio agli anni Ottanta), ma soltanto del gioco. Che quest’anno la squadra di Menetti ha mostrato, in un campionato dove c’erano avversarie con un livello individuale medio più alto: i campioni d’Italia di Sacchetti, ovviamente Milano, secondo noi anche Brindisi e Venezia. Siamo in zona Trento o Cantù, pur con tutte le differenze ambientali e di altro tipo. Al netto dei discorsi sull’utilizzo degli italiani, spesso demagogici (gli italiani ‘protetti’ costano di più di un americano di pari valore), e degli infortuni che possono sempre capitare (ma la Grissin Bon è stata particolarmente sfigata, fra Mussini e tutti quelli che hanno giocato le finali su una gamba sola, da Lavrinovic a Diener), Reggio Emilia ha mostrato una pallacanestro di squadra in attacco, sopperendo al poco talento diffuso, ma soprattutto in difesa con zone commoventi nel loro anacronismo e nella loro capacità di cambiare pelle a seconda delle situazioni, quasi cancellando gli evidenti mismatch con i più atletici e talentuosi giocatori della Dinamo. Niente di straordinario, per chi ha una certa età o ha frequentazioni con le minors, molto di straordinario per chi è abituato al basket bullistico (cit. Oscar Eleni) degli isolamenti o a quello degli infiniti pick and roll con le scelte difensive degli allenatori che si riducono a ‘passa sopra’, ‘passa sotto’ e ‘cambia’. Il basket europeo e italiano è infestato di squadre in mano a guardie che fanno e disfano (come i Dyson-Logan-Sosa di Sassari, ma quasi sempre meno brave), supportate da lunghi che devono saper fare bene due cose (Lawal sembrava Wilt Chamberlain) e da atipici atletici alla Sanders che un allenatore intelligente come Sacchetti sa mettere in funzione al momento giusto. Però questo basket da pensiero unico è un cesso, per usare la famosa definizione di Recalcati (che si riferiva a una certa NBA di stagione regolare, ma la definizione sarebbe andata bene anche alle sue ultime Italie o a questa Venezia), guardabile soltanto da tifosi, da tossici come noi e da chi in periodo di carestia calcistica si è appassionato a serie dall’esito incertissimo, con il boom di garasette della finali su RaiTre.  Ma perché parliamo fuori tempo massimo del sogno di Reggio Emilia, che difficilmente avrà una replica a questo livello? Ci è venuto in mente vedendo soccombere Agnieszka Radwanska nella semifinale di Wimbledon contro la solita ragazzona che sa fare due cose ma a velocità superiore, senza offesa per la Muguruza che è ormai nelle prime dieci del mondo e può arrivare anche subito dietro Serena Williams. Non sapremmo definire il concetto di Bene nello sport, ma solo fare degli esempi: ecco, lo spirito di Reggio Emilia e il rovescio di controbalzo in spaccata della Radwanska sono il Bene.

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