Con Gravina tempi duri per Mancini

22 Ottobre 2018 di Stefano Olivari

Gabriele Gravina è il trentacinquesimo presidente del calcio italiano, contando una volta sola chi lo lo è stato più volte (anche come commissario) tipo Carraro o Franchi, e saranno contenti quelli che quando c’è una competizione elettorale vera straparlano di ‘paese diviso’. Il leader della derelitta serie C era il candidato unico ed ha vinto contro nessuno ottenendo il 97,2% dei voti, all’assemblea di Fiumicino (presieduta da Mario Pescante, per dire…) hanno votato per lui anche i calciatori di Tommasi. Insomma, la solita democrazia applicata allo sport del mondo CONI, dove uno non varrà mai uno. L’unico aspetto positivo è che l’era Malagò-Fabbricini si sia chiusa, dopo un anno di gestione approssimativa (si pensi solo a come si è arrivati alla B a 19, o all’introduzione a fari spenti delle seconde squadre) e di episodi ridicoli, come l’ipotesi di Martina Colombari alla guida del calcio femminile, con la politica estera di fatto subappaltata alla Juventus.

Il sistema elettorale è tale che Gravina sarebbe stato eletto anche soltanto con l’appoggio di Serie C e Dilettanti, ma alla fine la Serie A l’ha accettato in cambio, immaginiamo, di una riforma futura definita pomposamente ‘golden share’ e che per quel poco che è trapelato assomiglia a un diritto di veto delle singole componenti. In sostanza per la nuova FIGC non sarà possibile fare cambiamenti ‘contro’ la serie A, ad esempio incidendo sul numero delle squadre, se non con il benestare della serie A stessa. Di certo con Gravina e la relativa stabilità dei prossimi due anni la Serie A avrà il tempo di organizzarsi in autonomia, che significa non toccare lo status quo fino alla scadenza degli attuali contratti televisivi.

Gli addetti ai livori dicono che Gravina non sia un fan di Mancini, anzi. È vero, le cose stanno proprio così. Di sicuro non ha approvato per niente la modalità con cui si è arrivati alla nomina: la sua idea è quella di un Club Italia con un dirigente forte, il presidente federale stesso oppure il Marotta della situazione (nome che Gravina stesso ha speso, ma con un futuro ancora misterioso), una struttura in cui l’allenatore torni ad essere qualcosa di simile al vecchio allenatore federale. Potrebbe essere una buona idea, però Mancini ormai c’è e non è che lo si possa esonerare prima di un eventuale fallimento a Euro 2020: in ogni caso un’altra brutta eredità del commissariamento.

Come tutti sanno, Gravina è il presidente del cosiddetto ‘Miracolo del Castel di Sangro’ (fra l’altro dal libro di Joe McGinniss esce male, e non è il solo), quella clamorosa serie di promozioni che portò una squadra di Seconda Categoria abruzzese fino alla serie B, con una incredibile salvezza firmata da Osvaldo Jaconi: conosce insomma bene il calcio minore e gli ingranaggi della politica federale, dove è inserito da almeno un ventennio e dove dopo diversi tentativi (memorabile quello di un anno e mezzo fa in tandem con Abodi, dopo essere stato per tanti anni legatissimo ad Abete) è riuscito a prendere il posto del rivale Tavecchio, uno con una storia non troppo lontana dalla sua. Dire che sarà un grande riformatore è un atto di fede, anche se gli annunciati ritorno del semiprofessionismo in C e flessibilità dei contratti in caso di retrocessione sono misure prendibili da subito.

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