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Economia

Comprare certificates conviene?

Indiscreto 07/07/2020

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Conviene comprare certificates? Una domanda che spesso ci poniamo, viste le proposte continue di banche e promotori anche a chi ha due soldi. La risposta generica, che prescinde dal singolo titolo, è sempre la stessa: no in fase di emissione, dipende quando il certificate è già sul mercato anche se quasi sempre siamo per il no. Ma che cos’è un certificate? Non bisogna dare per scontate troppe cose, né avere paura di sembrare ignoranti: non siamo capaci di operare come un chirurgo, né di cambiare un tubo come un idraulico, forse nemmeno di scrivere come giornalisti, figuriamoci comprendere un prodotto complesso come questo.

Prima di capire se conviene comprare il certificate quindi bisogna capire cosa sia il certificate. Il certificate, ma chiamiamolo anche certificato, altro non è che un titolo emesso da una banca (casualmente la banca che ce lo propone) che al suo interno comprende una serie di opzioni di natura diversa su un determinato sottostante (esempi: un indice di borsa, una singola azione, un fondo). L’obbiettivo è fare meglio dell’andamento del sottostante, diversamente sarebbe più intelligente comprare un ETF (ammesso che esista) sul sottostante stesso. Per parlare chiaro: i certificates non sono titoli di debito, non si compra niente di diretto, ma sono titoli derivati cartolarizzati. L’abbiamo sintetizzata brutalmente, così come spesso brutale è il nostro ‘no’ quando ce li propongono. Si possono ovviamente comprare anche sul mercato secondario, quando hanno già ‘scontato’ commissioni e valutazioni varie.

La nostra modesta opinione di lettori di pagine finanziarie, quindi non di addetti ai lavori, è la seguente: i certificates sono generalmente spazzatura, per diversi motivi. In fase di emissione i certificates non ci piacciono per le commissioni molto alte (dal 3 al 4%, nella media), ma per quello che abbiamo visto, almeno con Intesa San Paolo e Unicredit, queste commissioni sono abbastanza trasparenti e quindi è solo questione di libere scelte.

A non piacerci di questo prodotto sono soprattutto altre cose: il difficilissimo calcolo del rendimento, l’alto rischio che ci si accolla (quello del sottostante e anche quello delle opzioni sullo stesso), un mercato secondario che in molti casi è trasparente (“Signora, li può vendere quando vuole!”) ma che anche nei migliori ha uno spread denaro-lettera imbarazzante.

L’asterisco, gigantesco e quindi non tanto asterisco, è che la valutazione di un certificate non può prescindere dalle sue caratteristiche singole, a partire dal grado di protezione del capitale, che può essere totale o nella maggior parte dei casi parziale. All’altro estremo ci sono i certificates a leva, ma in questo caso al funzionario di banca bisogna chiedere perché fare una cosa del genere invece di mettere 100.000 euro su Juventus-Sassuolo.

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