Commentare l’Ansa su Sterling e Fognini

1 Maggio 2014 di Dominique Antognoni

Li aspettavamo, prevedibili come la nebbia a fine novembre in Val Padana. Non importa che si tratti di doping, discriminazioni, razzismo, religioni, Balotelli. Loro sono lì, pronti a scattare e a scatenare la guerra santa dell’ovvio. Scrivono sempre lo stesso pezzo, con il ditone intriso nel grasso della retorica, si esaltano nel vergare papiri di frase fatte, è il tripudio del trito e ritrito, la festa della noia baldanzosa.

Donald Sterling non ha fatto in tempo a finire la frase che loro, i tronisti della retorica, avevano l’editoriale pronto. Sono sempre gli stessi, personaggi grigi che non hanno mai dato una notizia ma che campano sulla faciloneria del politically correct. Si sentono onnipotenti quando scrivono ovvietà, solitamente sono pallidi ma la battaglia del dejà vu li esalta a tal punto da farli tornare vivi. Che sia chiaro, il vecchio Tokowitz (questo il vero nome del magnate americano, multimiliardario che ha sempre badato ai soldi e solo ai soldi) l’ha fatta fuori dal vaso, mica lo difendiamo. Consapevole oppure no, ha detto alla sua accompagnatrice (…) una fesseria.

Punto e stop, anche se ci sarebbe da parlare del diritto di una persona di avere opinioni private: non è una cosa da poco visto che il cento per cento di noi dice cose diverse in pubblico rispetto a quello che pensa per davvero a casa sua. Cose terrificanti su amici, colleghi, parenti, conoscenti, che hanno però sempre una loro versione ‘pubblica’. Poi in Italia la stampa non osa dire parola sui colleghi che fanno il doppio lavoro di ufficio stampa per calciatori e nello stesso tempo scrivono dei giocatori stessi che rappresentano (anche oggi un interessante esempio, su un ex grande giornale lanciato verso il fallimento). No, quello va bene: al massimo alzano le spalle dicendo un “vabbé, mica puoi andare contro un collega”. Ci mancherebbe, mica puoi pretendere la schiena diritta. L’hombre vertical vale solo in base alle circostanze, è una verità vecchia come il cucco. E poi nemmeno Cuper era così vertical, come si è visto.

Difatti appena uno si comporta fuori dalle righe (vedi il caso Fognini) si svegliano miracolosamente, mettono cuore ed energie che mai avevano messo nel cercare notizie esclusive. Sentono odore di sangue e diventano all’istante i paladini di qualsiasi causa, basta che ci sia di mezzo la facile retorica e il consenso sovietico, quella fiamma che accende gli applausi facili, il motivo per le lodi sperticate. Coppie di fatto, il crocifisso in classe, epo, non importa: basta che ci sia da fare la morale. Per le notizie bisogna essere capaci, le analisi costano troppa fatica, le inchieste troppo tempo. Meglio il corsivetto, il temino di terza media. Se ti va male ti trascini verso la pensione, se ti va bene diventi Gramellini. Sono i professionisti dell’ovvio, i veri colpevoli della perdita di copie e dell’interesse per la stampa.

Sterling diceva le stesse cose 20 anni fa, non facendo mistero del razzismo nella gestione delle sue proprietà immobiliari, nulla di nuovo: per la cronaca, se abbiamo capito bene con i Clippers ha fatto un affarone, acquistandoli per 12 milioni e vendendoli ora per circa 600, al massimo si frega le mani, mica si dispera. Tornando ai nostri. Perché nessuno gli ha scritto contro tre mesi addietro? Semplice, dovevi informarti: almeno consultare Wikipedia, che poi è il massimo che si può pretendere. Invece così la frase contro le persone di colore è arrivata dalle agenzie, comoda comoda sulla scrivania: te la trovi appena tornato dal pranzo pagato dall’azienda per una finta trasferta. Finita la bufera torna il sereno e per loro inizia l’agonia, il letargo, l’oblio. Fino alla prossima frase buttata lì dallo Sterling o dal Fognini di turno e battuta dall’Ansa, che come Wikipedia tutti copiano senza citare. Ma lo stipendio corre lo stesso, anche se ancora per poco. Però intere generazioni di giornalisti sono arrivate alla pensione presentandosi in redazione alle quattro di pomeriggio, rigirando una notizia d’agenzia e salutando i lavoratori (che in ogni giornale ci devono necessariamente essere) alle sette.

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