Colpo vincente a Tortona

6 Settembre 2022 di Fabrizio Provera

Mischiare (per le signore, a noi piace e da sempre il ben più adatto ‘cazzeggiare’) coltamente, o simil tale, le due materie preferite dal popolo di Indiscreto i film d’annata, dai Vanzina a Gigi e Andrea per andare a ritroso, assieme alla pallacanestro ‘territoriale” e lontana dalle grandi ribalte, ci terrebbe impegnati senza sosta. Da qui la scelta, in apparenza e forse non solo senza senso, di mettere in (cor)relazione l’appassionante cavalcata nel basket che conta del Derthona Basket, la squadra di Tortona, provincia d’Alessandria, 26.713 residenti, Wikipedia dixit, con una pellicola nel cuore di ogni amante del vero basket: Colpo Vincente, il leggendario Hoosiers, pellicola datata 1986. Gli anni nei quali in Europa si scontravano in Coppa Campioni i titani del Cibona e quelli dello Zalgiris, ossia Mozart contro Principe.

Hoosiers è la riproduzione filmica della storia, vera, di una piccola high school dell’Indiana che nei primi anni Cinquanta vince il campionato liceale dello stato dove la palla a spicchi assume un aspetto più legato alla mistica che alla narrazione. Due candidature agli Oscar, uno straordinario Gene Hackman, un altrettanto superbo Dennis Hopper come attore non protagonista, la riproduzione del misticismo (rieccoci) che la pallacanestro acquisisce nei contesti rurali del cuore d’America, lontano anni luce dalle luci di New York come dalle soleggianti coste californiane.

Questo vero e proprio azzardo ci è stato innescato da Gianmaria Vacirca, professione visionario, producer e ispiratore di molte cose fichissime realizzate con Federico Buffa, Sky, Barracuda, telecronista, scout, giornalista, marketing manager, amico di Drake Diener (‘Good coach, good food‘, scrisse in un messaggio al cecchino in predicato di giocare a Reggio Emilia, interrogato sul tema ed il contesto), ideatore del fichissimo (ci piace sempre omaggiare Jerry Calà, Abatantuono e i Vanzina…) blog BasketKitchen. Quel Vacirca grande occasione mancata, a dire dello scrivente, di Legabasket, oggi pienamente dentro, da scout e non solo, questa clamorosa storia sportiva, territoriale e identitaria, di una squadra che ha le stimmate della grandezza costruita e forgiata tra le minors. Con Petar Naumoski passa dalla C2 alla C1 prima degli anni Dieci del terzo millennio, salto in A2 battendo i Legnano Knights di Marco Tajana, cuore grande come il Pil della Lombardia dove da anni, stretto tra Milano, Varese e Cantù, fa vivere il grande basket ai confini dell’Impero.

Il 23 ottobre 2018 sulla panchina di Derthona (che è anche un vino, straordinario e bianco, la risposta del Piemonte Orientale al Montrachet…) arriva Marco Ramondino, mente fervida, che da allora associa il suo nome alla prepotente scalata di Tortona dall’A2 all’ A1, battendo Torino in una rocambolesca gara 5 di playoff e capace, nella prima stagione della storia nel basket dei grandi, di raggiungere la semifinale playoff cedendo solo alla Virtus, dopo aver ottenuto lo scalpo della già scudettata Reyer.

Siamo stati a Casale  Monferrato, dove il Derthona ha giocato campionato e playoff in attesa che la nuova cittadella-palazzo riporti la squadra a casa, proprio in occasione della serie contro la Virtus di Teodosic e Shengelia. Il clima è quello della partita come occasione collettiva di festa, di rito condiviso, di corsa al palazzo dopo i tiri nel campetto dell’oratorio o dei campetti all’aperto. Ramondino che arriva a piedi con polo societaria e zainetto sulla schiena, due tifosi lo salutano chiamandolo Mister, lui sorride.

Classe 1982, nato nella capitale irpina già patria di Ciriaco De Mita, dove alle prossime Politiche il centrodestra presenta Gianfranco Rotondi (è impossibile NON morire democristiani, foggia antica e stile di altro tempo, rispetto ai Toninelli, Dadone e compagnia di giro), Ramondino è uno dei più interessanti virgulti della scuola cestistica italiana. Padre di famiglia, curioso, attento, lettore onnivoro, presente, ha divorato tutti i testi sacri dedicati al coaching Usa (dal basket al football, passando alla dinastia dei college: per gli appassionati del genere citiamo The hot hand, Implacabile, Win Forever, The film doesn’t lie, Uomo a tutto campo); una sorta di Andrea Trinchieri del Sud, capace di andare ben oltre le colonne d’Ercole della palla a spicchi (chi sa solo di basket, non sa nulla di basket).

L’innata ironia campana e le colorite espressioni gergali (che l’hanno reso celebre durante le ultime Final Eight di coppa Italia) del coach, la capacità societaria di realizzare nei fatti l’aspirazione di cui su queste colonne si parla da anni (l’identità tra una squadra e il luogo dov’è nata e cresciuta), l’identità tra franchigia e territorio. Poi non guasta, eccome se non guasta, una proprietà solida che ha come principale obiettivo quello di varcare il puro mecenatismo.  Il Gruppo Gavio, co-protagonista di questa esemplare storia di basket in provincia, è diventato main sponsor del Derthona Basket con il marchio Bertram Yachts a partire dalla stagione 2017/18. Il marchio Bertram è rimasto legato ai colori bianconeri anche negli anni successivi. A partire da luglio 2021, con il passaggio al professionismo e il cambio di denominazione sociale (Derthona Basket s.s.r.l.), il Gruppo Gavio ha acquisito il 51% delle quote del capitale sociale del Club, diventandone azionista di controllo della società.

Beniamino Gavio, 57 anni ancora da compiere, è oggi al timone di un gruppo il cui fatturato – nel mondo del basket italiano – è attualmente secondo solo a Giorgio Armani, sopravanzando la Segafredo di Massimo Zanetti e l’Umana di Luigi Brugnaro. Figlio di Marcellino Gavio, nome legato all’impetuosa ascesa del gruppo di famiglia nel grande risiko infrastrutturale tra Piemonte orientale e Lombardia, grandi uomini nelle terre del grande Pil, sta impostando la crescita della società analogamente alle dinamiche delle aziende illuminate. Niente fretta, spese accorte (ma crescenti: gran bel colpo, Leo Radosevic), grandi progetti, capacità di pensare il futuro.

Tortona cresce, e lo farà ancora, per ora immune all’ansia spasmodica da risultato (e libera dalla dittatura del presentismo). Marco Ramondino forse non ha nulla da spartire con Norman Dale, coach di Hickory, o forse tantissimo. Quando percorri il tratto autostradale che dalla Lombardia conduce a Casale ed al Monferrato, immediati ti sovvengono Franco Nicolazzi (epico ministro socialdemocratico che rese Gattico importante come Berlino, collegata con i grandi centri che oggi sono messi in relazione dalle autostrade del gruppo Gavio) e i paesaggi rurali dell’Indiana. Per fortuna dei monferrini si produce anche dell’ottimo vino, a differenza dei sodali americani. Per una cena coi fiocchi, prima che Derthona torni a casa, andate senza remora all’Osteria Bar Sport, regno di un prodigioso cuoco di provincia, sempre in tema di omaggi a Jerry Calà e Lino Banfi.

Ramondino, coach Dale, l’Indiana, Gianmaria Vacirca, l’ex giocatore di basket Beniamino Gavio. E un’altra, sintomatica correlazione che ispira: Jimmy Chitwood, il prodigioso tiratore bianco degli Hoosiers dedito a Dio e al tiro dall’angolo, rassomiglia a JP Macura, fluente chioma biondo-rossa, paladino del PalaFerraris e volto buono, da ragazzo della pubblicità Kinder di tanto tempo fa. Trattasi di storia intrigante, ed Indiscreta. Anche se per ora non ci sono grandi coppe alzate, nulla vieta che un giorno possa accadere. Del resto, in una bella intervista al Foglio, Beniamino Gavio si è definito costruttore di sogni, oltre che di strade. Tortona come Hickory, Derthona come Hoosiers. Per tutto il resto, c’è una larga parte della pallacanestro italiana (anche di vertice) che ha orizzonti temporali analoghi a Impegno Civico.

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