Televisione

Cobra Kai non muore mai

Stefano Olivari 26/02/2025

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Siamo arrivati un po’ sfiniti al termine della sesta stagione di Cobra Kai, 15 episodi divisi in 3 blocchi da 5, l’ultimo appena finito guardare su Netflix. Ci siamo riusciti grazie alla nostra assoluta devozione alla saga di Karate Kid e anche per l’ottima idea di partenza di Cobra Kai, cioè quella di utilizzare gli stessi personaggi e gli stessi attori 35 anni dopo, attualizzando temi e ideologia. Perché nel Karate Kid originale il bullismo veniva combattuto opponendogli, di fatto, la forza (sia pure infiocchettata con la filosofia del maestro Miyagi), mentre in Cobra Kai il messaggio è che si può anche non combattere, anzi è la cosa migliore. Tutto molto bello, alla Pizzul, ma 65 episodi totali sono troppi e raccontare storie di liceali con attori ormai quasi trentenni, alla Dylan-Luke Perry (citazione cinefila obbligata: “Adesso me la ciula quello li!‘), era sempre meno credibile.

Cobra Kai non muore mai? Il motto del dojo fondato da Kreese e rivitalizzato dal nostro idolo Johnny Lawrence, censore di fighette e rammolliti purtroppo molto edulcorato dagli sceneggiatori, è fondato. Perché la storia principale si è completata, ma sono già stati annunciati spin-off con singoli personaggi che faranno altre cose, comunque legate al karate, in un un altro ambiente. Ad esempio in Karate Kid: Legends, che uscirà il prossimo 30 maggio e che sarà a tutti gli effetti il sesto film del franchise (di cui cancelleremmo soltanto il quinto, quello con il figlio di Will Smith, mentre quello con Hilary Swank ci piace), degli attori di Cobra Kai ci sarà il solo Ralph Macchio, in una storia che da quello che è trapelato sembra una cinesata alla Jackie Chan, che riprende il suo ruolo da pseudo Miyagi del film del 2010.

Tornando a Cobra Kai 6, bisogna dire che non tutto è noioso e stiracchiato, con overdose di gusto fumettistico. Il sottoutilizzato Kreese è al centro della parte più commovente, Sam è quella che fa le vere scelte post-adolescenziali, Daniel è intelligente e miyagiano nel fare un passo indietro. Però rimane la sensazione che l’ottimo materiale di base e una fanbase fedelissima, di giovani anni Ottanta e giovani di oggi, siano stati sprecati con trovate sempre più demenziali e inverosimili, dal Seikai Taikai a Barcellona a quello nella Valley, con cambi di regolamento e di squadra indegni anche di un torneo aziendale. Per non parlare della scomparsa quasi totale dei cattivi, visto che in fondo nemmeno gli Iron Dragons lo sono: Axel ha dubbi, Zara fa l’influencer, Wolf alla fine dimostra sportività, Silver semplicemente è pazzo. Per questo la sfida finale, una sorta di spareggio, non emoziona più di tanto.

stefano@indiscreto.net

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