Il Cigno Nero, sopravvivenza nell’Estremistan

18 Ottobre 2017 di Indiscreto

Nessuno è in grado di prevedere un futuro i cui grandi cambiamenti avvengono per salti e non come evoluzione di passato e presente. Sembra una banalità, invece quasi tutti noi viviamo come se il mondo fra cinque anni fosse soltanto una versione migliorata o peggiorata di quello di oggi. Questa non accettazione dell’incertezza, per non dire dell’ignoto, è di sicuro tranquillizzante, porta ad alzarsi alla mattina con meno ansia ma anche ad enormi errori negli investimenti finanziari e nelle scelte di vita. È questo il cuore di Il cigno nero – Come l’improbabile governa la nostra vita, il libro di Nassim Nicholas Taleb (scritto nel 2007, in Italia pubblicato da Il Saggiatore) che ci sentiremmo di consigliare a chiunque voglia fermarsi qualche ora a riflettere senza però rifugiarsi nei massimi sistemi scientifici e religiosi, dove tutto torna e gli stupidi siamo noi che non capiamo o non crediamo.

Il pensiero del filosofo-trader libanese, che avevamo amato nel più leggero Giocati dal caso e che ci ripromettiamo di cercare in Antifragile (libro che qualche anno fa ha generato grande dibattito negli Stati Uniti, citato anche nell’eccellente Billions, ma qui in periferia non abbiamo la pretesa di arrivare prima), è tutto tranne che accademico. Fondamentalmente perché mette in discussione molti modelli degli economisti, non per la loro evidente incapacità di prevedere il futuro ma per la consapevole arbitrarietà delle loro premesse, dalla razionalità dei consumatori al progresso scientifico passando per mille altre.

Taleb ha vissuto e vive la finanza sul campo, il suo approccio è naturalmente empirico e per lui i cigni neri, cioè quegli eventi non prevedibili né in modo deduttivo né induttivo, non sono il male assoluto (anzi, spesso hanno il volto dell’innovazione tecnologica) ma sono una sciagura per banche e investitori convinti di vivere in un immaginario paese chiamato Mediocristan, dove tutto aumenta o cala in maniera aderente a modelli e toccando alcune leve si ottengono effetti certi sul sistema: in questo senso molte discussioni fra economisti sono solide dal punto di vista matematico ma come utilità hanno il valore di affermazioni da bar. Gli stessi effetti, mettiamo il calo della disoccupazione, sono stati anche nel passato recente generati da scelte politico-economiche opposte. L’esempio del tacchino è perfetto: il tacchino viene nutrito e cresciuto giorno dopo giorno, non può percepire il pericolo perché non è che venga ammazzato in maniera graduale. Ingrassa costantemente e pensa che in fondo andrà così per sempre, non è mai stato in un supermercato. Però un brutto giorno il suo cigno nero arriva ed è la fine. Ecco, i tacchini siamo noi e non dovremmo ridere troppo quando milioni di persone in cambio di interessi risibili corrono rischi molto più che proporzionali rispetto alla remunerazione. Certi prodotti strutturati proposti dalle banche, con interessi simili a una normale obbligazione (quindi da non far scattare campanelli d’allarme nemmeno nei mediamente acculturati), dovrebbero scatenare il Paddock che è in noi ma invece tutto va avanti per il bene di un presunto ‘sistema’: cosa vi ricorda?

Taleb passa con destrezza da argomentazioni scientifiche ad altre psicologiche, senza dimenticare una storia che dovrebbe essere maestra di vita: non per indicarci quale azione comprare domani ma perché il nuovo Hitler, per dire, sarà come i cigni neri un prodotto dell’Estremistan. E non sarà nemmeno un nuovo Hitler, perché la sua presa del potere magari si baserà su presupposti diversi di una guerra persa, del nazionalismo o dell’inflazione. Tutta colpa della cosiddetta fallacia narrativa: intorno a fatti passati costruiamo storie e schemi, che pensiamo di applicare al futuro. L’unico approccio possibile diventa così quello empirico, una sequenza infinita di tentativi e fallimenti che aumenta di molto la probabilità di intercettare i cosiddetti cigni neri positivi. Per questo Taleb, libanese ma di formazione francese, degli Stati Uniti apprezza soprattutto questo atteggiamento diffuso: l’imprenditore che fallisce non è considerato un fallito nella vita, come in molte culture orientali, né uno che in qualche modo debba nascondere il fallimento come in Europa. ma uno che ci riproverà. Stesso discorso per il medico, lo scrittore, il politico che vogliano proporre qualcosa di innovativo. Dieci anni fa chi avrebbe immaginato i Cinque Stelle primo partito d’Italia o giù di lì? Di più: quale politologo avrebbe immaginato un partito slegato da qualsiasi schema destra-sinistra? Non stiamo dicendo che Grillo sia il bene, ma soltanto che tutto questo era imprevedibile anche da parte di persone intelligenti che avevano studiato politica tutta la vita.

Personalmente abbiamo trovato fortissimo il discorso sui lavori e sulle azioni che Taleb definisce ‘scalabili’. All’inizio della propria carriera, o di una nuova fase della vita, tutti dovremmo chiederci se vogliamo migliorare gradualmente all’interno di un percorso disegnato da altri o se vogliamo darci una possibilità (non significa che ci riusciremo, anzi) di creare qualcosa che generi un risultato più che proporzionale. Qualcosa di unico, di utile, di brevettabile o nella peggiore delle ipotesi di riconoscibile. Il Mediocristan ci consente di vivere meglio, con tutte le sicurezze di un mondo al cui interno la distribuzione gaussiana (la curva a campana, in parole povere) spiega quasi tutti fenomeni. L’Estremistan è purtroppo invece la realtà: puoi risparmiare sputando sangue per comprarti la licenza di tassista, ma poi arriva Uber.

Il tono di Taleb è al solito spiritoso e con riferimenti multiudisciplinari, anche matematici (ma alla portata di tutti), con il punto debole di non rendersi conto che in buona parte del mondo i modelli gaussiani possono raccontare le vite  dalla nascita alla morte e quindi chi non ha un talento, un progetto o anche solamente un’idea può considerare l’Estremistan qualcosa che riguarderà sempre gli altri. Il punto di forza è che Taleb non propone ricette per cavalcare il cambiamento, chi per miracolo le conoscesse (lui per primo) le terrebbe per sé. Se il funzionario di banca intuisse davvero, anche con approssimazione, l’andamento dei mercati, non farebbe il funzionario di banca. La tesi di Taleb è che l’inaspettato, il Google della situazione, sia da considarsi onestamente inaspettato e che l’unica risposta sia nella forma mentale e in una cultura pronta ad accantonare anche i modelli che questa cultura hanno contribuito a formare. Socrate c’era arrivato prima, ma si muoveva in un mondo privo di modelli econometrici e dell’ossessione per il controllo.

Azzeccato il riferimento all’antibiblioteca teorizzata da Umberto Eco, cioè all’importanza dei libri non letti ma comunque a disposizione, più che di quelli letti. Un libro, questo, da far leggere ai giovani perché decidano consapevolmente il modo in cui spendere la propria vita. Un inno alla cultura come atteggiamento verso il mondo. Poi Taleb ha scritto tanto anche di finanza, opzioni e matematica, ma chi davvero ha letto i suoi libri non gli chiederebbe mai cosa comprare e preferirebbe sbagliare con la propria testa.

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