Carisma sconcertante

18 Maggio 2009 di Francesco Gentile

di Francesco Gentile

L’Inter è per la quarta volta consecutiva campione d’Italia e adesso a detta di tutti – su giornali, radio e tv – non avrebbe potuto finire diversamente. C’è chi pensa che sia merito soprattutto di un organico troppo superiore e chi pone l’accento sullo strapotere economico morattiano che il gap tecnico ha creato. C’è anche un’ampia schiera di “demeritisti”, di chi cioè dà molto peso alle colpe degli avversari, nessuno dei quali era attrezzato per superare l’inverno nella scia dei nerazzurri. Dibattiti più o meno interessanti, in cui il tifo si mescola alla buona o mala fede: alla fine, come al solito, ognuno rimane della propria opinione. Il minimo comune denominatore del maggio 2009 però è sempre lo stesso, per tutti noi esperti del giorno dopo: non poteva che andare così.
Curioso, perché a inizio stagione la banda Mourinho non aveva queste maggioranze bulgare e c’erano molti pronti a scommettere che il poker tricolore non ci sarebbe stato. Le correnti dell’opposizione erano fondamentalmente due: quelli che “le altre si sono rinforzate” e quelli che “Mourinho e’ arrivato perché Moratti vuole la Champions”, quindi il campionato lo snobberà. Tifosi pro o contro, si potrebbe pensare. E invece non parliamo dei tifosi, ma del gotha del giornalismo sportivo italiano, quello che dovrebbe fare opinione. Dallo “one man Sky” Caressa al presidente Ferrajolo, da Maida a Mura. E non c’e’ stato angolo di penisola esente, dalle diverse sponde del Tevere di Vocalelli e Palombo, su fino al foggiano Franco Ordine passando per gli Appennini cari a Zazzaroni e Sconcerti. Tutti loro e tanti altri, interrogati dal Guerin Sportivo per il più classico dei quesiti di fine estate italiana, avevano dimenticato l’Inter tra le squadre in lotta per il titolo. Dimenticanza tanto più curiosa se si considera, almanacco alla mano, che ne aveva appena vinti tre. Ne’ si può dire che Moratti avesse trascorso l’estate a smantellare e far cassa, tutt’altro. Poi a posteriori gli acquisti si sarebbero rivelati disastrosi (Mancini e Quaresma), ma sulla carta non lo erano.
Eppure la prima “Special Inter” per molti partiva dietro, per diverse ragioni. Per il presidente della stampa sportiva, Ferrajolo, la Roma era “finalmente matura per vincere lo scudetto”. Non si capisce perchè non lo fosse l’Inter, forse era stata così a lungo matura negli anni precedenti dal risultare ormai marcia? Maida ne faceva invece una questione di “potere legato alle classifiche delle tv”, pronosticando quindi Milan seguito da Juve. Passi per il Milan, vicino alle televisioni per ovvie ragioni, ma la Juve in materia è più avanti dell’Inter? Gianni Mura vedeva bianconero perché “è l’unica che ha operato con logica nel mercato” (Poulsen e non Xabi Alonso, logicamente) e come concorrenti si lanciava nel proporre il coraggioso duo Fiorentina-Napoli. Talmente coraggioso da sembrare provocatorio. Onore al merito, la prima firma sportiva di Repubblica aveva invece visto lungo stroncando la Roma (“ha fatto di tutto per perdere il ruolo di antagonista”). I giallorossi piacevano invece molto a Franco Ordine, che li considerava i veri rivali del Milan in campionato. Perché tanto Milan? Qui la ragione è semplice, non aveva la Champions. E’ un argomento comune a quasi tutti, anche a Palombo e Vocalelli, che lo quantifica come vantaggio in “almeno 10 punti in classifica”. Non potevano sapere che le Champions non sarebbe durata troppo anche a quelli che l’avevano, schiantati dai club inglesi (secondo questo ragionamento l’Inter per il suo quarto scudetto di fila dovrebbe quindi ringraziare il Manchester United che l’ha eliminata).
Per come è andato il campionato, viene allora da pensare a quel diffuso convincimento discriminatorio presente e silente in più o meno tutte le redazioni italiane, secondo il quale gli “sportivi” sono giornalisti di serie B. Che sia un pregiudizio lo dimostra però un dato: tra i 50 interpellati dal Guerino ce n’erano tre che col calcio hanno a che fare solo marginalmente, Liguori, Mimun e Zucconi. Il primo diceva Milan-Roma-Juve, il secondo invertiva solo l’ordine degli addendi (Roma-Juve-Milan), mentre Zucconi vedeva i campioni uscenti dietro la Juve, senza nascondere troppo le ponderate ragioni: “Qualunque squadra va bene, basta che non sia ancora l’Inter”. Un pensiero che sicuramente avranno condiviso i direttori dei tre quotidiani sportivi, per non veder scendere troppo le copie vendute. Anche la Gazzetta, che dei tre è certamente il meno penalizzato dai trionfi nerazzurri, quest’anno ha disperatamente tentato di tenere vivo un campionato che era già sepolto. Le bastava mezzo passo falso dell’Inter di primavera per rilanciare continumente la “pazza idea” che il tricolore fosse ancora in gioco e che quindi valesse ancora la pena di passare in edicola.
Non è però di un giornale il record di resistenza allo strapotere interista. Il primato appartiene a un’emittente radiofonica che è nata qui a Roma ma che ormai si può considerare di respiro quasi nazionale, anche grazie al satellite che la trasmette sul bouquet di Sky, facendone una via di mezzo (o la somma, se preferite) tra una radio e una tv. La dirige Ilario Di Giovanbattista, che conduce le due lunghe strisce quotidiane sul calcio nelle quali intervengono fior di opinionisti: Ferrajolo, Maida, Melli, Ordine, Palombo, Sconcerti, Vocalelli, Zazzaroni e ogni tanto pure Liguori. Notate niente di strano? Come una sensazione di deja lit? Già, per una curiosa coincidenza tutti e nove avevano escluso l’Inter dalla corsa scudetto. Neanche ad Arcore sarebbero riusciti a organizzare un simposio così compatto di pensatori schierati in una posizione con pochi appigli nel mondo reale.
Sarebbe il 100% se a evitare l’unanimità dello scetticismo verso la Beneamata non avesse pensato l’unico giornalista che, pur essendo di nota fede juventina e pur intervenendo di frequente a Radio Radio, si faceva sin da agosto portatore della solitaria seguente convinzione: “L’Inter è la favorita. Le concorrenti si sono rafforzate nel tentativo di ridurre il gap, ma i nerazzurri dispongono ancora del migliore organico di A. Al quale aggiungono l’esperienza di un grande allenatore”. Anche Lapalisse, di fronte a un concetto così, fosse stato romano e vivo avrebbe chiosato ironicamente “mei cojoni” a sottolineare l’ovvietà del pensiero. I pronostici sono poco più di un gioco, se fossero facili i giornalisti si dedicherebbero solo alle scommesse, e nel 99% hanno un difetto: privilegiano quelli più forti nel presente o nel recente passato. Qualunque esperto di tennis vi direbbe che al Roland Garros il favorito è Nadal, ma anche che il Federer visto a Madrid potrebbe fare la sorpresa. E qualche creativo azzarderebbe un colpo di Murray o Djokovic. Discorsi scontati, ma anche diversi. Invece nel caso del campionato ci è sorto un dubbio, prevenendo gli interventi di qualche tifoso nerazzurro che si sente vittima di un complotto (tutti i tifosi sono vittima di un complotto, per definizione). Il dubbio è che tutti si siano passati a inizio anno il compito sbagliato, come capitava delle volte a scuola. E chi è allora il secchione che ha tradito? Noi un nome ce l’avremmo, di uno che esercita
sul pubblico e forse anche sui colleghi un fascino da prima donna. Uno per intenderci, che fa opinione, che scriva o che parli. Leggete cosa sosteneva ad agosto (non vi diremo chi è perché il suo carisma vi condizionerebbe): “Favorito è il Milan. Si e’ rafforzato notevolmente con innesti importanti in ogni reparto. Poi c’è la Roma, che si conferma la squadra più equilibrata dell’intero torneo: produrrà un gioco bello come quello dello scorso anno. Un attento mercato l’ha completata, riproponendola come pretendente al titolo”. Sconcertante.
Francesco Gentile
(in esclusiva per Indiscreto)
Ps: a salvaguardia del buon nome della categoria dei giornalisti sportivi e’ bene precisare che – radioradisti a parte – il risultato finale del sondaggio sentenziava Inter-Milan-Juve, cioè ci azzeccava. Se poi guardiamo ai singoli, a salvaguardia del buon nome del Guerino si può anche annotare che il suo direttore, Marani, aveva visto giusto.
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