Cani diversi

9 Novembre 2007 di Stefano Olivari

1. Come si spiega il muy triste final dell’Operación Puerto spagnola, in solitaria rispetto ai provvedimenti concordati altrove, conclusa l’indagine per una serie di cause senza nessuna conseguenza? Primo, con i mezzucci della federazione nazionale competente. Secondo, con l’indecisione politica del ministero di riferimento. Altro non è dato sapere, né sulla documentazione richiesta dalle procure del resto d’Europa, né sulle questioni che si pongono gli uomini di mondo (perché Birillo sta scontando una squalifica di due anni, e invece l’amico di Birillo non ha saltato una corsa? La lettura integrale dei fax di Fuentes non è di per sé una pratica abbastanza istruttiva, tale da consigliare almeno l’apertura di un’istruttoria?). Dal demerito della vicenda si desume che non tutti i padroni di cani sono uguali davanti alla legge: per il proprietario di Piti (insieme nella foto) è diverso, e chi non se ne fa una ragione abbaia alla luna. Alejandro Valverde se ne è uscito dicendo che il tempo gli ha reso giustizia. Ivan Basso non rientrerà in gruppo prima della Japan Cup di domenica 26 ottobre 2008. A lo hecho, pecho.
2. Il massimo evento ciclistico mondiale ha apportato dei minimi correttivi alla sua formula classica, nei limiti consentiti dal regolamento Uci. L’edizione 2008 della Grande Boucle fa a meno del cronoprologo e degli abbuoni distribuiti nelle frazioni in linea (all’arrivo e negli sprint intermedi). In più chiederà ai corridori di presentarsi con un passaporto biologico in regola, ai controlli di partenza di Brest. E chiederà ai gruppi sportivi di mostrare un’effettiva volontà di collaborazione, qualora ci fossero da gestire altri casi Valverde e Rasmussen, s’intende anche prima di luglio. Dopo aver ascoltato la dichiarazione d’intenti dell’Aso, non c’è stata formazione che non abbia promesso di comportarsi bene. Johan Bruyneel continua a sparlare della vecchia Astana, ma senza farsi sentire dai tanti reduci che lo circondano. Pochi altri team manager hanno compreso l’importanza della posta in palio, nella contesa tra organizzatori e federazione internazionale: rischiano davvero di dover scegliere con chi stare, senza potersi concedere un doppio gioco. È quella la vera guerra dei calendari, altro che i ciclisti di Graham Watson contro i rugbisti di Steven Klein, e nel mezzo Alessandro Petacchi con Federica Ridolfi.
3. Rho (Mi). Milano perde la Coppa del mondo di ciclocross. In compenso ritrova la pista, dimenticata da decenni in via Arona 19. Quella montata in occasione dell’Eicma misura circa 200 metri, l’inclinazione delle curve sfiora i 50°. Le due tribune che la cingono possono ospitare fino a 2000 spettatori. Chiaro, non avrà la cifra tecnica del Maspes-Vigorelli. Ma i numeri che garantisce sono quelli che bastano, per i tempi bui che corre il settore. Il Bikes4Show non è nemmeno una SeiGiorni, né una sua versione ridotta. È piuttosto un’esibizione molto varia e spettacolare, programmata in favore dei visitatori. Silvio Martinello ha promosso l’evento giusto nel posto giusto. Gareggiano i Bettini, i Ballan, i Pozzato di grido spalla a spalla con un Marco Villa e un Giairo Ermeti, specialisti vecchi e nuovi dell’attività. Visto Danilo Napolitano girare a meraviglia, la gamba grossa e l’occhio fino del velocista puro. Visto Yaroslav Popovych scherzare e farsi scherzare, divertito come non mai. Ostenta lo stesso ottimismo la Predictor-Lotto che l’ha ingaggiato, a far coppia con Cadel Evans: chi lancerà l’altro, al prossimo Tour de France?
4. La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. E al suo fianco realizzeranno una pista ciclabile. Il dèmone della mobilità sostenibile si sta impossessando del pensiero unico dell’amministrazione pubblica: quello che misura il consenso in chilometri di corsie e direzioni obbligate, imposte a chi ha (liberamente) voluto una bicicletta. Però ci sono città che non sono fatte per essere pedalate. Perché sviluppate su diversi livelli. Perché percorse da carreggiate strette, con una banchina ridotta. Perché lastricate di tratti in sanpietrino. Perché segnate dalle rotaie dei tram. E ci sono statali e provinciali percorse da ciclisti da che mondo è mondo, la domenica mattina e nella bella stagione. L’attuale Codice disciplina i loro spostamenti né più né meno come quelli degli automobilisti e dei pedoni, prevedendo una sovrabbondanza di norme e di casi. Quando in mezza Europa si dà pista alla bici dove può trovare spazio (nei parchi, nei centri sportivi, lungo mari e fiumi), tre quarti d’Italia sono già ciclabili nonostante la morfologia del territorio, e data l’attuale rete stradale e sentieristica. Ma cosa diavolo prometterà la prima Conferenza nazionale della bicicletta, il paradiso?
5. Come se Lance Armstrong avesse disputato la maratona di New York rincorrendo il tempo di Laurent Jalabert (2h55’39” nel 2005). Come se il vincitore di sette Tour de France consecutivi – già campione del mondo a neanche ventidue anni, poi vittorioso su metastasi diffuse a testicoli, polmoni e cervello – avesse mai calcolato o degnato di uno sguardo alcun rivale o presunto tale, dal 1990 a oggi. Macché. Il texano dagli occhi di ghiaccio ha chiuso in 2h46’43” promuovendo al meglio se stesso, la sua fondazione, i suoi sponsor. Alla peggio si sarebbe comunque lasciato indietro anche Abraham Olano (2h39’19” a San Sebastian 2006) e Rolf Aldag (2h42’57” ad Amburgo), se solo avesse dovuto inseguire la lepre Filippo Simeoni. Come se lo stesso Laurent Jalabert avesse disputato l’Ironman delle Hawaii “senza spirito agonistico”, lui che battagliava dalla Marseillaise alla Chrono des Nations, tutte le sante stagioni. Risultato: finisce settantaseiesimo in 9h19’58”, quando era ripartito millecentoquarantacinquesimo (!) dopo i 3,8 km di nuoto. Vélo Magazine di novembre gli dedica l’ennesima copertina (à “L’homme de fer”). Rémy Di Grégorio può attendere.

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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