Burattini di Cecchetto

18 Novembre 2014 di Stefano Olivari

Mille presentazioni di libri pallose, con quattro presenti fra amici e parenti dell’autore, ci hanno permesso di mettere nella giusta prospettiva lo show che sabato scorso Claudio Cecchetto ha messo in piedi al Museo della Scienza e della tecnica di Milano per il suo In diretta. Il Gioca Jouer della mia vita (Baldini & Castoldi), insieme a Max Pezzali e (in collegamento via Skype da New York) Jovanotti. Si presentava l’autobiografia del d.j. (‘Deejay’ fu una sua invenzione), produttore, talent scout, presentatore, imprenditore di origine veneta e milanese (dall’età di 3 anni) di adozione: nonostante la pioggia battente la sala era strapiena, con una nostra stima per difetto di almeno 500 persone (fra cui due inviati di Indiscreto). Tanti aneddoti strepitosi e poca nostalgia, visto che quasi tutti i personaggi citati sono pienamente operativi o che comunque si sono ritirati per propria volontà. Recensiremo il libro dopo averlo letto, per il momento ci basiamo soltanto su sensazioni e sul modo in cui è stato presentato: un monumento di Cecchetto a se stesso, come del resto sono quasi tutte le autobiografie, alternando aneddoti e filosofia di vita, con tante storie interessanti sul mondo dello spettacolo (in particolare musica e radio) degli anni Settanta-Ottanta-Novanta, raccontate dal punto di vista di un personaggio capace di creare personaggi. Artisti che possono piacere o non piacere, ma ai quali non si può non riconoscere una loro unicità: da Gerry Scotti a Fabio Volo, passando per Jovanotti, Fiorello, gli 883, Sandy Marton, Taffy e tantissimi altri.  Anche Linus, che fu portato proprio da Cecchetto a Radio Deejay (adesso diretta proprio da Linus), che al di là dei singoli rimane la sua creazione più geniale: un misto di coraggio (Cecchetto quando nel 1982 la fondò aveva già condotto tre Sanremo ed era il presentatore RAI emergente), intuito e capacità di cogliere lo spirito del tempo, che chiedeva una quarta via fra la radio impegnata di nicchia, quella localissima e quella magari metropolitana ma intimamente provinciale delle dediche. Cecchetto creò tutto questo, per poi venderlo dopo 12 anni al Gruppo l’Espresso, quasi vergognandosi di averci guadagnato dei soldi, fondare Radio Capital e far ripartire la giostra (venduta anch’essa allo stesso gruppo). La radio era il centro di un sistema dove tutto si teneva: scopriva i cantanti, li promuoveva, aveva margini finanziari (si era pur sempre negli anni Ottanta) tali da poter avere spazi di tendenza e non solo mainstream, aveva con 20 anni di anticipo capito che lo sbocco televisivo era necessario (una generazione è cresciuta con Deejay Television), ma soprattutto creava personaggi ai quali il pubblico si affezionasse a prescindere dalla radio stessa. Non prodotti copiati, ma talenti guidati da un manager non invidioso del loro talento. Burattini, come ha genialmente detto Jovanotti, ma consapevoli e contenti di esserlo.

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