Buoni motivi per guardare l’Urania e la A2

25 Ottobre 2019 di Stefano Olivari

Stasera andremo al Forum per Olimpia-Fenerbahce di Eurolega e domani saremo al Palalido per Urania-Ferrara di A2. E dando per scontato il ‘Chi se ne frega’ volevamo condividere con altri appassionati di pallacanestro il nostro disagio. In sintesi: al di là del tifo per una squadra, e in entrambi i casi citati questa spinta ci manca, non riusciamo a trovare motivi per guardare la nostra Serie A. Da qualche settimana ci stiamo provando, almeno su Eurosport, ma senza andare oltre i 5 minuti consecutivi di pick and roll di sconosciuti.

Se il confronto con l’Eurolega, la cui stagione regolare è nettamente più interessante anche di quella NBA, è scontato, un po’ meno lo è quello con la A2. Che fino all’anno scorso abbiamo seguito in televisione e sul web ma che adesso abbiamo a mezz’ora da casa. Grazie all’Urania Milano, che con le sole promozioni sul campo è passata dall’essere una squadra da oratorio (in senso stretto) ad una quasi al vertice della piramide.

Certo dietro ha Ettore Cremascoli, cugino della Anna Cremascoli che bene ha fatto a Cantù (tranne la vendita a Gerasimenko, e non è poco) e che forse farà qualcosa anche qui, ma vedendo le partite dal vivo la cosa davvero interessante è il coinvolgimento del settore giovanile. 500 ragazzi, i loro genitori, gli amici, gli amici degli amici: gente di basket che unita a qualche appassionato puro e anche a un minimo effetto Palalido (nella zona si respira sport e noi in quell’impianto vedremmo di tutto, dalla boxe alla Next Gen) sta portando sulle 2.000 persone a partita (osservate con i nostri occhi contro San Severo e Udine) a vedere una pallacanestro che è parente stretta di quella che abbiamo amato, da metà anni Settanta fino al 1996 quando la nefasta ma giusta sentenza Bosman ha distrutto lo sport europeo ‘medio’.

Due stranieri, quasi sempre americani, più otto italiani, un mercato giocatori molto limitato: in teoria aperto tutto l’anno con varie finestre, ma di fatto ben lontano dai rimescolamenti della categoria superiore. Rimescolamenti dovuti ai sei stranieri, senza entrare nel merito della naturalizzazione di tanti italiani, nel senso che costano così poco che non è raro vederli da noi soltanto per qualche settimana, prima di essere sostituiti o al limite ‘venduti’ (con buy-out) a club più ricchi.

In altre parole, nella A2 italiana non giocano i Lakers e nemmeno squadre da media Serie A, ma in poche giornate si fa in tempo a conoscere squadre e giocatori, con gli italiani che a parte qualche eccezione non sono tanto peggiori di quelli della serie A (spesso solo specialisti, non certo le terze opzioni della squadra) e gli stranieri che vengono presi per giocare in teoria almeno un anno.

Un discorso a parte merita la realtà dell’Urania, che opera in una città dove i media quasi compatti propagandano l’ideologia del ‘Qui bisogna vincere’ tranne che nel calcio, dove guarda caso c’è sempre un presunto progetto per infinocchiare i tifosi. Invece questo club sta dimostrando che per esistere non serve ingannare la gente, ma soltanto avere una identità. L’identità vale 2.000 spettatori?

Questo è il basket: l’ultima squadra milanese (non le varie Arese e Desio modificate) diversa dall’Olimpia in Serie almeno A2, cioè l’Amaro 18 Isolabella 1979-80, alla fine aveva un migliaio scarso di spettatori, noi fra di loro. Comunque adesso al Palalido c’è di sicuro un buon clima, diverso da quello da Milano da bere che in parte si vive all’Olimpia e proprio per questo degno di nota.

Troviamo sbagliato giocare alle 20.30, invece che alle 18 come quasi tutto il resto della A2: per chi fa il giornalista ogni orario va bene, anche il mattino, ma un ragazzo normale che abita dall’altra parte della città non può essere costretto a tornare a casa a mezzanotte. Comunque onore al merito per avere evitato operazioni nostalgia: Chuck Jura per sempre nel nostro cuore, ma ormai ha 69 anni e noi suoi cultori non tanti di meno, al di là del fatto che la società fosse un’altra.

Seguiremmo l’Urania se fosse in Serie A? Non che ci sia il rischio che ci vada quest’anno, anche se la squadra costruita da Luca Biganzoli ha un senso, rapportata al budget e alla categoria: per fortuna nel roster di coach Villa non c’è il classico panzone quarantenne di nome che viene ad arraffare gli ultimi soldi ma giocatori adeguati alle aspirazioni come Raivio, Lynch, Pagani, Piunti, Montano, Bianchi, Negri, Pagani, più i figli d’arte, sia pure di arti diverse, Benevelli e Sabatini (in tribuna freme il padre Claudio, ex patron della Virtus Bologna).

La risposta alla domanda ‘Seguiremmo l’Urania in A?’ è: probabilmente no. Senza essere in qualche modo attratti dall’atmosfera è meglio guardare Warriors-Clippers o Barcellona-Real Madrid. Comunque ciò che volevamo dire con questo post è sintetizzato dal nome e dal cognome del direttore sportivo della Ferrara che vedremo domani: John Ebeling.

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