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Editoria

Brutti giornali e poveri digitali

Marco Lombardo 05/02/2014

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Il direttore di questo sito non lo sottolinea abbastanza, ma in rapporto alle forze Indiscreto è un vero successo. Almeno a giudicare dai numeri di utenti unici e contatti (certificati). Gli unici dati, dicono quelli che snocciolano statistiche Ads e Audiweb come se piovesse, che contano. Purtroppo però questo sito non ha corrispondente successo con la pubblicità e d’altronde, logicamente e nel pieno diritto dei pubblicitari, Indiscreto spesso può non piacere, perché qui si scrive liberamente. Non la verità assoluta, per carità, ma la verità personale e parziale degli articolisti, lasciati liberi di esprimere giudizi personali, in modi e tempi ovviamente che non contrastino con la legge italiana e una minima sensibilità. Così, su questo sito, si può liberamente scrivere – bene o male – di Moratti o Galliani (perfino di Thohir), di iPhone o Galaxy, dell’ultimo disco degli U2, bello, bellissimo, ma che non è ancora quello che ci aspettiamo da loro. Tanto gli U2 non querelano e il disco ce lo compriamo lo stesso. Dite che anche sugli altri giornali si possono criticare quel cellulare, quell’auto, quella pay-tv? Ve ne assumete la responsabilità…

Tutto questo pistolotto autocelebrativo per segnalare l’interessante pezzo scritto sul suo blog dal collega Dario Torromeo del Corriere dello Sport, che analizza la situazione dell’editoria in Italia sfatando il mito che il giornali non vendono più “perché c’è internet”. Neanche quello, appunto, e lasciando alla lettura la disamina di Torromeo, possiamo aggiungere un paio di considerazioni. La prima è che i giornali in Italia sono mediamente brutti, ormai spesso poco curati nei contenuti e graficamente interessanti solo nelle pagine che si ritiene siano “di lettura”, come se il resto dei fogli (con quello che costa la carta) servissero solo, come da sempre si sostiene, per incartare il pesce (ormai nemmeno più per quello, se le pescherie osservassero tutte le norme igieniche di base). La seconda è che le aziende sono piene di manager che pensano di sapere tutto del giornalismo e della sua trasformazione digitale parlando ogni minuto del mitico “verticale” e di giornalisti che ritengono che la trasformazione digitale leda il loro diritto di visibilità della firma. Dimenticando che una ricerca fatta qualche anno fa a proposito di chi scrive un articolo ha dato come risultato che 7 lettori su 10 non sanno chi sia l’autore di un pezzo neanche dopo averlo finito, due si sforzano di informarsi sulla firma ma se la dimenticano subito e solo uno legge perché conosce l’autore. Questo per dire dell’efficacia dei cosiddetti ‘scioperi delle firme’…

In pratica: i due mondi – carta e digitale, giornalisti e manager – fanno fatica a parlarsi e soprattutto vanno avanti per la loro strada come se nulla fosse accaduto in questi anni. I manager tagliano, i giornalisti si arroccano e si va avanti così, dicendo genericamente che “la gente non legge più”. La gente legge, invece, e sarebbe interessante aprire (anche qui) un dibattito vero tra colleghi, tra dirigenti di aziende editoriali, tra entrambe le categorie per trovare una via d’uscita che non sia la solita. Perché – secondo una stima spannometrica – ad esempio un quotidiano per vivere senza pubblicità dovrebbe costare circa 4 euro, mentre i siti – secondo una stima reale – sono tutti in perdita. Dopodiché tra poco ci sarà da rinnovare il contratto di lavoro dei giornalisti: vuoi mai che poi ci tolgano qualche privilegio?

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