Brexit, a Wimbledon con il passaporto

27 Dicembre 2020 di Stefano Olivari

Nel giugno 2021 faremo di tutto per andare a Wimbledon per assistere al trionfo di Sinner, sempre che il torneo di tennis più prestigioso del mondo si giochi, usando il passaporto invece della carta d’identità. Adesso che la Brexit è cosa fatta, dopo l’accordo fra il Regno Unito e l’Unione Europa che diventerà operativo del primo gennaio 2021, si scoprirà che nella vita delle persone e delle aziende italiane cambierà pochissimo. Semplicemente uno stato, appunto il Regno Unito del vituperato Boris Johnson, ha scelto di recuperare il 100% della propria sovranità. Una cosa enorme, ma solo ideologicamente.

Non cambierà niente per le aziende italiane e dell’Unione Europea, grandi o piccole che siano: per le esportazioni (e ovviamente le importazioni, anche dei nostri insostituibili Walkers) nessun dazio sulle merci, nessuna situazione di transizione, solo qualche (anzi tanti) documento in più. Il futuro a medio termine dei pescatori del Nord della Francia interessa il giusto, a noi che senza l’intervento di Putin non avremmo salvato nemmeno quelli di Mazara del Vallo. Certo sul piano formale non si parlerà più di mercato unico e di unione doganale, quanto ai servizi e alla finanza Londra era già di fatto indipendente.

Cambierà pochissimo per le persone, per gli italiani che risiedono in UK, ma un po’ di più per quelli che hanno intenzione di risiedervi in futuro. Per chi per ragioni di lavoro o di studio fa parte della prima categoria, italiano o di altro paese UE, il diritto a risiedere permanentemente nel paese che ha scelto è garantito se la residenza è in essere da almeno 5 anni e di fatto garantito (con lo status di pre-settled) anche con meno di 5 anni. Il piagnisteo di presunti cervelli in presunta fuga, costretti a tornare su un carro bestiame a Garbagnate o a Locri, è insomma infondato.

La questione cambia per chi voglia compiere questa scelta di vita a partire dal 2021: ci vogliono vari requisiti, fra quelli che abbiamo letto i più significativi sono la conoscenza dell’inglese a livello B1 (non certificato dall’università di Perugia) e nella sostanza un lavoro già garantito, con un’offerta di almeno 25.600 sterline all’anno. Traduzione: chiunque si potrà trasferire, a patto che abbia un discreto stipendio. Traduzione della traduzione: il Regno Unito vuole attirare solo lavoratori qualificati, non chi si adatta a lavoretti sottopagati. I disoccupati già con diritto di residenza permanente del resto non gli mancano. Traduzione della traduzione della traduzione: non possiamo né soprattutto vogliamo accogliere tutti ed è del resto per questo che abbiamo messo in piedi questo casino della Brexit.

Chiaramente si potrà continuare a studiare in Inghilterra, con un visto speciale, anche se con rette da stranieri veri: a parità di livello, in una grande università si spenderà non molto meno che in un college statunitense. Certo il Regno Unito non farà più parte del programma Erasmus, che sembra l’unica cosa che appassioni i giornalisti italiani: il Vittorio Feltri di una volta, ma forse anche quello di adesso, avrebbe scritto un editoriale dal titolo ‘Ragazzi, scopate al vostro paese’. Nulla cambierà per i turisti: chi vuole vedere castelli tutti uguali e case di scrittori dimenticati potrà continuare a farlo, e nessuno toglierà mai il diritto di assistere ad Arsenal-Burnley.

Ci piace scherzare su tutto, ma non vogliamo minimizzare l’importanza, in positivo o in negativo, della Brexit, anzi siamo convinti che in prospettiva aprirà la strada all’indipendenza scozzese e al ritorno dell’Irlanda unita. Però l’Italia non ne sarà travolta. È una questione di idee e di ideali, oltre che di storia: chi per mille anni ha versato il proprio sangue per la propria terra, scegliendosi le guerre da combattere, ragiona diversamente da chi lo ha fatto per 150 e quasi sempre da follower. E poi il pensiero unico che considera l’accoglienza sempre un valore non è evidentemente così unico.

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