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Svegliarino

Blog personale? No grazie

Stefano Olivari 10/11/2008

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Segnalato dal collega Jvan Sica di http://www.ninjamarketing.it/ un articolo a dir poco interessante della famosa rivista Wired (fra pochi mesi nascerà l’edizione italiana, diretta dall’ex direttore del Romanista Riccardo Luna), scritto da Paul Boutin. Condividiamo 99 parole su 100, ma non per questo molleremo il colpo…Ecco comunque l’articolo.

”State pensando di lanciare il vostro blog personale? Ecco un consiglio da amico: non fatelo. E se ne avete già uno, abbandonatelo. Scrivere un blog oggi non è l’idea brillante di quattro anni fa. La blogosfera un tempo un’oasi poco rinomata di espressione di sé stessi e di pensieri intelligenti è stata inondata da uno tsunami di stupidaggini pagate. Giornalisti di secondo ordine e campagne marketing underground soffocano le voci originali di scrittori dilettanti. È quasi impossibile farsi notare eccetto che dai seccatori. E perché disturbarsi? Il tempo necessario ad elaborare una prosa blog tagliente e spiritosa è impiegato meglio esprimendovi su flickr, Facebook o Twitter.
Se smettete adesso, siete in buona compagnia. Il famoso chiacchierone Jason Calacanis ha ottenuto milioni grazie al suo Weblogs network. Ma ha ritirato il suo blog a Luglio. “Il Blogging è semplicemente troppo grande, troppo impersonale e gli manca l’intimità che mi ha attirato ad esso”, ha scritto nel suo ultimo post. Impersonale è corretto: Fate scorrere la lista dei principali 100 blog e troverete siti personali che sono stati messi da parte da quelli professionali. Si tratta per lo più di giornali online: The Huffington Post. Engadget. TreeHugger. Un singolo commentatore non può competere con un team di scrittori professionisti che sfornano fino a 30 post al giorno.
Nei primi tempi del blogging gli entusiasti avevano successo con post che balzavano presto ai primi posti nei risultati delle ricerche di Google per qualunque argomento, alimentati da molti link di amici blogger. Nel 2002 una ricerca per “Mark” ha posizionato Mark Pilgrim prima di Mark Twain. Quel fenomeno è una parte di ciò che rendeva il blogging così entusiasmante. Non è più così. Attualmente, una ricerca, prendete ad esempio l’ultimo discorso di Barack Obama, darà come risultati una Wikipedia page, un articolo Fox News e alcune voci da siti curati professionalmente come Politico.com. Le probabilità che il vostro intervento intelligente appaia in posizione alta nella lista? Praticamente zero.Detto questo, il vostro blog attirerà la forma di vita più bassa in Internet: il commentatore che insulta. Aprite il vostro cuore in un post e un qualche provocatore anonimo di nome rorschach o foohack sicuramente vi scarabocchierà sotto: “Idiota. Perché non vai a leccare il culo a McCain”. Ecco perché Calacanis si è ritirato in una mailing list privata. Può parlare direttamente con i suoi fan senza dover subire reazioni stupide da parte di anonimi che odiano Jason.Inoltre, i siti Web basati sul testo non costituiscono più oggetto di buzz. Il motivo per cui i blog hanno avuto successo subito e che rendevano la pubblicazione semplice anche per chi non è un tecnico esperto. Quella semplicità era dovuta in parte alla mancanza di supporto per immagini, audio e videoclip. A quei tempi il contenuto multimedia era troppo difficile da caricare, quasi impossibile da riprodurre e troppo affamato per la larghezza di banda.
I siti sociali multimediali come YouTube, Flickr e Facebook hanno da allora reso pubblicare immagini e video semplice come digitare un testo. Più semplice se considerate il tempo che molti blogger impiegano a preoccuparsi delle loro parole. Prendete spunto da Robert Scoble, che si è fatto un nome come blogger “evangelista tecnico” della Microsoft dal 2003 al 2006. Oggi si impegna a inviare video e aggiornamenti Twitter. “Mantengo il mio blog soprattutto per scritture più lunghe”.Twitter, che limita ciascun post di solo testo a 140 caratteri, è l’equivalente del 2008 alla blogosfgera nel 2004. Troverete Scoble, Calacanis e molti altri loro amici dell’età dell’oro. Sostengono che è perché Twitter funziona in modo ancora più veloce rispetto alla blogosfera. E i post di Twitter possono essere ricercati istantaneamente senza aspettare che Google li indicizzi.
Da scrittore però sono consapevole del sistema. Brevità. Oggi ci si aspetta che i blogger scrivano prosa intelligente, perspicace, spiritosa per competere con Huffington e il New York Times. Il limite ai caratteri di Twitter ci porta tutti indietro sulla stessa linea. Permette ai dilettanti di smettere di preoccuparsi di ciò che scrivono e di andare al sodo”.

E adesso torniamo a noi: moriremo con Twitter? Prima di tutto dovremmo capire esattamente cosa sia (una cosa superflua, a prima vista), poi dovremmo avere l’ambizione di tirar fuori soldi dal web (per citare Eros, dove l’aria è popolare è più facile sognare che guardare in faccia la realtà), infine dovremmo avere spento un fuoco non sacro ma comunque acceso per una serie di cose che ci interessano. Di sicuro anche in questa versione spartana non saremo mai un sito personale, del genere ‘Questa mattina sono andato dal panettiere ed ho trovato aumentato il prezzo della focaccia’. Per ricominciare è poco, ma non proprio pochissimo.

stefano@indiscreto.it

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