Bernard Hinault e il tifo degli avversari

11 Novembre 2014 di Simone Basso

Tre giorni e il 14 Novembre, compleanno di altri sfregaselle notevoli (Adorni, Nakano, Nibali), Bernard Hinault compirà i suoi (primi) sessant’anni. Nessuna agiografia per festeggiarlo, solo un amarcord che racconta – a chi non lo vide in diretta – uno dei campionissimi del Novecento ciclistico. Bernard è nato a Yffiniac, Bretagna, ed è diventato il culmine di una grande tradizione di quelle terre battezzata da un “argentino”, Lucien Mazan, che ebbe un caposcuola del livello di Louison Bobet. Hinault, figlio orgoglioso di contadini, che in giovinezza cominciò con la corsa campestre, sta già tutto nella sua primissima gara in bici. Quando un enfant du pays, col quale condivise l’azione decisiva, gli chiese di lasciarlo vincere. Bernard acconsentì e poi, all’arrivo, spietato, lo infilzò come un tordo: quel pomeriggio nacque il mito del Tasso. Che, sul finire dei Settanta, mise le unghie sul ciclismo mondiale.

Non si può però separare la sua storia da quella di Cyrille Guimard, il diesse che lo crebbe, da pro, nella maniera giusta: bastone e carota. Lo presentò alla Grande Boucle solo nel 1978, nell’anno dei ventiquattro, dopo la trafila al Nord sulle cotes e le pietre. Pastore di anime e di atleti, Cyrille era anche lui una capatosta e immaginarli discutere animatamente, un po’ su tutto, non è difficile. Il binomio, finchè resse, fu irresistibile. Guimard, alla Renault, all’ombra della chioccia Hinault, allevò una nidiata (straordinaria) di talenti. Villemiane, Bernaudeau, Fignon, Lemond, Jules, i fratelli Madiot, Mottet, Gayant…

Il patto con Guimard andò in frantumi nel 1983, l’estate dei delfini, di Fignon in giallo ai Campi Elisi e di Lemond iridato ad Altenrhein, col fuoriclasse francese operato al ginocchio. Allora un altro Bernard, Tapie, faccendiere ancor più anni Ottanta del nostro (?) utilizzatore finale brianzolo, creò per lui Le Vie Claire. E fu ancora un successo, sportivo, economico, d’immagine e popolarità, soprattutto quando – al ritorno, nel 1984 – si trovò a recitare (vernice mai più ripetuta) la parte poulidoresca del perdente, opposto all’ex luogotenente Fignon. Nell’86 la banda Tapie si era fagocitata la crema; Hinault – alla ricerca del sesto trionfo nella Grande Boucle – imbastì un duello senza esclusione di colpi col coéquipier LeMond. L’americano, con un contratto principesco in tasca, più fresco, subì il carisma del vecchio (…) re. Una situazione assurda: gli stranieri della squadra con Greg, i francesi (compresi i meccanici) per Bernard. Fecero fuori il pericoloso Zimmermann in discesa, scendendo il Télégraphe, e improvvisando un Trofeo Baracchi fino a L’Alpe d’Huez. “Hi-Nault! Hi-Nault!” urlava, all’unisono, la folla che gremiva la Croix de Fer: LeMond, intimorito dal pubblico e dal baobab, se ne stava dietro… Il dì dell’ultima crono, al traguardo, con la vittoria addosso, il biondino pianse a dirotto: si era dovuto fermare, due volte, ad aggiustare una ruota ballerina, sabotato dai suoi… Non avremmo mai più rivisto, tranne che con Indurain, l’intero plotone struggersi del secondo posto di un avversario, tale era il rispetto per il Tasso. Che si ritirò, in gloria, partecipando a un ciclocross bucolico nel suo paesino.

Le immagini, nostre, che lo incorniciano sono due. La stagione dell’addio, il 1986, al Trofeo Luis Puig, a Febbraio, all’abbrivio della gara fu infastidito dall’agonismo assente. Per mostrare come corrono i campioni allungò, minaccioso, e non lo rividero più: 140 chilometri di fuga solitaria. L’ultima polaroid è al funerale di Laurent Fignon, rivale (o complice) di tante battaglie. Non lo avevamo mai visto piangere: in quell’attimo, mentre le lacrime gli solcavano le rughe, belle come la fatica vera, gli abbiamo voluto ancor più bene. A la santé, Bernard.

(in esclusiva per Indiscreto)

Share this article