Bello camminare in quel Valverde

2 Maggio 2008 di Stefano Olivari

1. Non avrebbe dovuto correre o non avrebbe dovuto vincere? Alejandro Valverde si è lasciato dietro Davide Rebellin e una scia di polemiche giunte sul traguardo fuori tempo massimo, al termine di una Liegi-Bastogne-Liegi minimo da crisi da crampi e scatti di nervi (media finale appena al di sopra di ogni sospetto, 38,756 Km/h). L’indipendenza di giudizio praticata da troppi critici anti-federali ha colpevolmente trascurato il sempre valido modello Catalano: c’è la possibilità che il corridore che può correre possa anche vincere, almeno in teoria. Quelli delle note a margine e dei corsivi in punta di penna se ne facciano una ragione una volta per tutte, nonostante non abbiano torto. Aso, Rcs e Unipublic si sono riservati il diritto d’invitare alle loro gare le squadre che vogliono, come vogliono e quando vogliono. Gli uni legittimati a promuovere – indifferentemente – gli innocenti e i colpevoli riconosciuti dal Tas di Losanna e bocciati dagli altri. Storie d’anarchia, più che d’amore per la disciplina.
2. Ivan Basso va a nozze con il team Liquigas e il team Liquigas divorzia dall’Associazione gruppi sportivi, prima di licenziarsi dall’Uci ProTour all’inizio del 2009. Dopodiché viva gli sposi e crepi l’avarizia per un ingaggio biennale nemmeno tanto esoso, anzi la metà di quello Usa e getta con gli americani della Discovery Channel (triennale da quasi due milioni di dollari a stagione, subito carta straccia). Il matrimonio d’interessi tra il campione varesino e la società di Paolo Dal Lago celebra il ritorno dell’italianità al potere, andata a male la globalizzazione del ciclismo scaduti i termini della sua sperimentazione. La paura, per il più forte italiano nelle corse a tappe del ventunesimo secolo, si nasconde nel retropensiero che lo immagina escluso dal Tour de France ancora un altr’anno. La speranza lo sogna vincitore di Giro e Tour nella stessa stagione come solo Coppi (due volte), Anquetil, Merckx (tre volte), Hinault (due volte), Roche e Pantani. Magari nel 2010, pagato dazio per l’espatrio.
3. Bergamo. Più spettacolare il townhill (urban downhill) del downhill codificato dalla Federazione internazionale. Ecco la bassa scoperta di Città alta, teatro e terreno di gara della terza edizione dell’evento Nissan, lo stesso main sponsor della Coppa del mondo di mountain bike. La discesa da Piazza Vecchia a Campo Fara ha destato attenzione e mosso la curiosità di semplici passanti, proprio come accade con il ciclismo su strada. Troppe complicazioni nello slopestyle, invece, all’occhio profano di chi ancora considera sacra la bici da corsa, altro che modelli con un telaio da 20 Kg, i freni a disco e i cerchi da motocicletta. In diffusione musica adeguatamente tamarro-hip hop e altri sottogeneri sconosciuti agli stessi freerider, così si chiamano gli esibizionisti del fuorisella e della derapata. Prima o poi potrebbero avere successo e un riconoscimento Cio, chissà. Per ora alle Olimpiadi ci va la Bmx, retaggio sessantottino riesumato per il quarantennale. Pota!

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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