Bella zio, quando Vitali fa il Bergomi

15 Agosto 2018 di Stefano Olivari

Siamo cattivi recensori di libri perché i libri che non ci piacciono li abbandoniamo dopo poche pagine e quindi non possiamo scriverne, a meno di non copiare quattro frasi dalle alette o dall’introduzione come fanno quasi tutti. Però per ‘Bella Zio – Il mio romanzo di formazione’ (Mondadori) abbiamo fatto un’eccezione, perché gli ingredienti erano per noi troppo interessanti: il calcio e l’adolescenza anni Settanta visti attraverso Beppe Bergomi, la cultura dei ragazzi da oratorio che abbiamo respirato negli stessi anni di Bergomi, gli inizi nell’Inter, il finale da campione del mondo nel 1982, la mano di uno scrittore vero. Insomma, fino all’ultimo abbiamo sperato in qualche pagina memorabile.

Andrea Vitali ha invece messo in piedi una strana operazione, diversa dalla letteratura infilata in bocca ad Agassi da J.R. Moehringer ma anche dalle tante autobiografie che gli sportivi si fanno scrivere dal giornalista amico. Il medico-scrittore di Bellano parla in prima persona come se Bergomi fosse lui, evidentemente su autorizzazione dello Zio, proponendo un’autobiografia che a ben vedere non è auto e nemmeno biografia. Un misto di fatti di dominio pubblico, di racconti di Bergomi e di suo fratello Carlo, di episodi vivisezionati dallo psicologo sportivo Samuele Robbioni. L’autore avrebbe in teoria una funzione unificante, ma non riesce mai a trovare il il tono giusto ed è un peccato, lo ribadiamo, vista la materia prima di grande qualità: una ragazzo normale che poteva far scattare l’identificazione in tutti i ragazzi (o ex ragazzi) normali.

Le parti fondamentali della gioventù di Bergomi non mancano, la morte del padre su tutte, ma anche l’importanza di una giovinezza sana in ogni senso, i sacrifici, la vita parallela con un coetaneo di nome Riccardo Ferri, la precocità in tutto e l’entrata nel grande calcio quasi senza accorgersene, guadagnandosi la fiducia di persone esigenti come Bersellini e Bearzot. Vitali pensa, con qualche ragione, che siano cose stranote e che quindi ci voglia un tocco in più. Ma questo tocco non è il retroscena, che Bergomi non racconta e Vitali non si può inventare, né l’analisi storica perché tutto è una successione di fatti. Quanto alla psicologia sportiva, lasciamo perdere. L’idea di Vitali è di risolvere tutto con lo stile, il suo, ma non riusciamo ad accettare che Bergomi parli come se fosse Piero Chiara. Per molte ragioni, la prima delle quali è che il vero Bergomi non parla così e sarebbe in grado di raccontare la sua storia con la sua voce. In definitiva un tentativo ambizioso da parte di uno scrittore di serie A usando un personaggio di serie A, ma con esiti discutibili. Meglio l’ambizione della sciatteria, comunque. Può piacere ai fan di Vitali, forse anche a quelli di Bergomi, a noi è però sembrata un’occasione persa.

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