Baustelle, lo stile detestato dagli indie perdenti

17 Aprile 2018 di Indiscreto

Andando a un concerto dei Baustelle si ha la sensazione che il 99% dei loro fan abbia 30 anni, non uno di più né di meno. L’essere fuori target non ci ha però impedito di apprezzare anche l’altra sera all’Alcatraz la musica del gruppo toscano (scritto così sembra un’agenzia immobiliare), che riesce nella difficile impresa di sembrare alternativo soprattutto agli occhi di chi alternativo non è, nonostante da almeno dieci anni, dai tempi di Amen, sia uno dei gruppi di maggior successo in Italia con canzoni che almeno una volta avrebbe ascoltato nostra nonna. Da Charlie fa Surf (amatissima dal grande Tommaso Labranca) ad Amanda Lear, da Colombo a Il Vangelo di Giovanni, da Baudelaire alla recente Veronica n.2, i concerti potrebbero reggersi di pura storia personale senza infliggere la totalità dell’ultimo album, L’Amore e la violenza vol.2, in tutto e per tutto (ne discutevamo ieri con un altro loro seguace) un lato B di L’amore e la violenza. E a casa nostra B è ancora peggio di A…

Al di là della dozzinale birra alla spina da 8 euro e di un uso degli smartphone ormai fuori controllo, tutte cose che non dipendono da Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini, il problema del concerto dell’altra sera è che alla proposizione quasi completa dell’ultimo poco indovinato disco si è unita ad un’esecuzione da compitino, con poca interazione con il pubblico e nessun guizzo. Qualche concessione alla piazza (Monumentale e Romantico a Milano), pochi pezzi forti (Amanda Lear, Il Vangelo di Giovanni) e una durata del concerto inferiore all’ora e mezzo, entrando in scena oltretutto quasi alle 22 rispetto alle previste 21. Adesso non è che si pretenda il sangue alla Springsteen, ma un’ora e mezzo di concerto la si può concedere soltanto a cantanti ottuagenari o, per motivi di repertorio, alle Lollipop. Insomma, meglio ascoltare il CD in auto.

Detto questo e considerando ridicolo il dibattito su indie-non indie (se venivano considerati indie i Thegiornalisti bisogna dare la tessera anche a Roby Facchinetti) che appassiona gli indie perdenti, quelli che non vendono, i Baustelle rimangono una delle poche realtà pop interessanti in Italia. Con citazioni interessanti soprattutto nei testi, più che nella musica che ha un già sentito evidente (gli scontatissimi Pulp, con Bianconi che di Jarvis Cocker copia anche vestiti e atteggiamenti) ed influenze numerosissime, dai banali Battiato e Mozart che possiamo notare anche noi al bar a sconosciutissimi gruppi indie-rock da segaioli che vedono il plagio in ogni nota. I Baustelle non sono affatto originali, è vero, ma hanno uno stile e non è cosa da poco. Soprattutto hanno un pubblico, composto in prevalenza da giovani donne ma anche con uomini convinti e non per forza servidellaglebizzati. Molto bravo Francesco De Leo come supporter, anche se una parte becera dei presenti non l’ha capito: sembrava un alieno venuto a rovinare una liturgia, la messa cantata che sono diventati un po’ tutti i concerti, e l’abbiamo apprezzato da subito.

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