Associazione vittime del WTO

25 Ottobre 2012 di Stefano Olivari

Edoardo Nesi ci ha fatto venire in mente quelle frasi fatte che tiriamo fuori in automatico, tipo ‘le grandi squadre sono fatte da grandi giocatori’ o ‘la mentalità internazionale non si inventa’. La frase da discussione su Nesi e sul suo Storia della mia genteLa rabbia e la l’amore della mia vita di industriale di provincia (Bompiani) è questa: la vera narrativa oggi è la saggistica. Peccato che Nesi si autodefinisca e venga venduto come un romanziere, perché in realtà i suoi libri sono giornalismo puro. In particolare quello vincitore del Premio Strega 2011, racconto autobiografico con sullo sfondo il declino dell’industria manifatturiera del pratese e in generale di tutta quella italiana esposta alla concorrenza cinese e non solo. Nesi, terza generazione di una famiglia di industriali tessili, descrive benissimo il passaggio psicologico suo personale e di una intera nazione dalla condizione di giovin signore con aspirazioni artistiche a quella di incattivito osservatore degli effetti della globalizzazione, avvertiti prima degli altri grazie al senso di realtà imposto dalla sua condizione di imprenditore: nipote di suo nonno e figlio di suo padre, certo, ma pur sempre costretto a confrontarsi con prezzi e richieste del mercato. L’industria tessile, non solo quella di Prato e dintorni, è stata schiantata dalla concorrenza cinese: non è una tesi originale, ma un dato di fatto. Che Nesi accetta senza vittimismo, anche perché lui e la sua famiglia si sono liberati dell’azienda nel momento giusto, ma con una rabbia impotente contro tutti quei dogmi da editoriale di ispirazione bancaria e confindustriale che per decenni hanno lavorato ai fianchi le nostre capacità di analisi. Primo fra tutti quello del libero mercato totale, con liberissima circolazione delle merci: nei settori in cui il costo del lavoro è decisivo, ed il tessile è di sicuro uno di questi, chi può far lavorare le persone in condizioni di semi-schiavitù ha un vantaggio competitivo che potrebbe essere compensato solo da dazi pesantissimi. Piccoli industriali e artigiani toscani ringraziano sentitamente il WTO, che nel 2001 ha ammesso la Cina fra i suoi membri. Il secondo dogma da editoriale anni Novanta e inizio Duemila era quello dell’innovazione e del marchio, come se ogni persona per sopravvivere a casa sua fosse costretta ad essere Steve Jobs (con gli iPhone comunque prodotti dalla Foxconn) o Armani. Dopo secoli, preindustriali ma anche industriali, in cui per avere un relativo successo era sufficiente fare bene il proprio lavoro protetti da Stati protezionisti, in pochi anni interi territori hanno scoperto che non ci sono innovazione o marchio che tengano per sostenere un’occupazione di massa: in Italia può rimanere la progettazione e l’amministrazione, ma tutto il resto se ne sta andando fuori o paradossalmente sempre in Italia ma con manodopera straniera (e i cinesi di Prato sono schiavi quasi come quelli che producono in patria). Il terzo dogma che Nesi affronta con forza è quello dei confronti fra generazioni: quella che è cresciuta subito dopo la guerra ha avuto tantissima voglia di lavorare ma anche opportunità irripetibili in un mondo relativamente piccolo e protetto, che in molti casi non richiedeva particolari competenze ma solo l’intuito per agganciarsi al treno giusto. Molta mitologia riguardante il boom economico è, appunto, mitologia. Il punto debole di questo saggio, che di romanzato ha davvero poco, è quello politico: Nesi oscilla fra un paraleghismo che in fondo è nel Dna toscano (questo era il PCI ‘sul territorio’ ed in parte ancora è il PD) e discorsi da sinistra salottiera (quello su Jerry Calà o sulla volgarità della Capannina di oggi è involontariamente ridicolo; invece quella di ieri, signora mia…), per arrivare a suggerire un soluzione molto di destra ma ammantata di tecnicismo (chi vi ricorda?). Un superprotezionismo, per dirla in breve, con azioni a livello europeo per fare gli interessi dell’Italia a scapito di quelli di paesi fuori dall’Unione Europea. L’incompiutezza del libro sta secondo noi in questo: l’economia non è un gioco a somma zero, ma in situazioni statiche il nostro benessere corrisponde necessariamente al male o al minore benessere di qualcun altro. L’operaio della Foxconn sull’orlo del suicidio vive leggerissimamente meglio dell’operaio suo padre e del contadino suo nonno e non è molto turbato dal fatto che Nesi non possa sempre fare serata alla Capannina. La parte personale del libro è commovente ed in fondo quella di tutti noi fino a qualche anno fa, con genitori convinti che i figli avrebbero fatto meglio di loro. Citando ‘Via col vento’, possiamo dire che Nesi e altre decine di milioni di italiani rimpiangono la serena sicurezza di Tara. C’è chi reagisce con rabbia, chi teorizza il downshifting, chi a cinquanta anni si vede proporre stage. Qualcuno ha speranze e sogna una reazione, in troppi si crogiolano nel declino ritenendolo ineluttabile. Nesi non pone la domanda, ma in quasi ogni riga la suggerisce: voi da parte state?

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