Arturo Di Napoli e il livello degli anni Novanta

Intervista all'ex calciatore di Inter, Messina e di tante altre squadre, la cui esplosione fu in parte limitata dal livello altissimo del calcio italiano degli anni Novanta e inizio Duemila

5 Febbraio 2021 di Gianluca Casiraghi

Arturo Di Napoli

Chi è il re del gol in Serie A del Messina? Totò Schillaci, l’idolo del Celeste e poi di Italia ’90? No, lui in A con il Messina non ci ha mai giocato. Il re del gol del Messina è Arturo Di Napoli, il Re Artù beniamino del San Filippo ora stadio Franco Scoglio. Arturo Di Napoli da Rozzano, provincia di Milano, cresciuto tra la seconda metà degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta nelle giovanili dell’Inter: 24 centri in A nel Messina, 46 in totale tra  A, B e Coppa Italia, alla pari proprio con Schillaci nella classifica all time giallorossa.

Di Napoli avrebbe potuto fare qualcosa in più di una rispettabile carriera con 51 reti nel massimo campionato italiano?

Ho sicuramente commesso degli errori durante la mia carriera. Avrei dovuto avere più pazienza ed essere meno diretto nei rapporti interpersonali, ma a me interessava giocare. Bisogna anche considerare cosa era la serie A negli anni Novanta e Duemila, con il meglio di una generazione d’oro di italiani e la maggior parte dei migliori calciatori mondiali. Ed era un calcio in cui c’era poco spazio per i giovani”.

I primi passi su un campo di calcio dove li hai mossi?

Da Pulcino ho giocato due anni nella squadra del mio paese, il Rozzano, dopo sono passato all’Inter e ci sono rimasto sino alla Primavera. Ricordo ancora i tanti calci nel culo presi da Sandro Mazzola, che mi hanno fatto crescere soprattutto come uomo”.

Le prime esperienze da professionista però le fai lontano da Milano, Acireale in Serie B e Gualdo in C1.

Sono andato a farmi le ossa in provincia e sono state entrambe esperienze formanti. In Sicilia ho vissuto una stagione di grande passione per il calcio come solo al Sud sanno fare e dare. Mentre al Gualdo in C1, con Novellino allenatore, sono stato ancora più protagonista segnando 10 reti e sfiorando la promozione in B, battuti soltanto  dall’Avellino ai calci di rigore nella finale playoff”.

Acireale, il Sud, gran parte della tua carriera si è svolta al di sotto di Roma. Quali sono le differenze tra Nord e Sud, a parte lo stereotipato “calore dell’ambiente”?

Potrà essere anche uno stereotipo, però è la realtà. Al Sud c’è una passione esagerata, si vive tutti i giorni per la squadra della propria città. Faccio un esempio: nella mia carriera ho vinto due campionati di Serie B, il primo al Venezia, il secondo al Messina. A Venezia abbiamo festeggiato negli spogliatoi e quando siamo usciti dallo stadio non c’erano tifosi ad aspettarci. A Messina non so ancora come abbiamo fatto a rientrare negli spogliatoi del Celeste, quando siamo usciti non ti dico quanti tifosi c’erano e fino all’una di notte c’era qualcuno che girava per la città suonando il clacson e sventolando una bandiera giallorossa”.

Nonostante la delusione per la sconfitta nei playoff per la B, nell’estate del 1995 approdi in serie A.

A vedere la finale contro l’Avellino c’era Gigi Pavarese, direttore sportivo del Napoli, che pochi giorni più tardi mi chiamò e mi propose di andare a Napoli. Prima cosa, mi disse: mi piace come giochi. Seconda cosa: mi sei simpatico perché hai sbagliato il rigore nella serie finale contro il mio Avellino. La seconda affermazione specificò fosse una battuta, ma non ci credo molto. Comunque Inter e Napoli sottoscrissero la comproprietà del mio cartellino”.

Grande piazza per partire in Serie A.

Io sono di origini napoletane e anche per questo fu una enorme soddisfazione esordire in A con la maglia azzurra. In più a dicembre segnai il primo gol nel pareggio 2-2 a Genova contro la Sampdoria”.

A gennaio 1997 l’Inter ti riporta a Milano. Seconda esperienza che dura soltanto sei mesi, come mai?

Giocai sei partite con Hodgson senza segnare, poi in estate all’Inter arrivò Simoni, ma soprattutto arrivò Ronaldo e pensai che il mio spazio sarebbe stato ancora minore. Mazzola e Oriali fecero di tutto per convincermi a restare ma io volevo giocare di più. Col senno di poi forse non fu la scelta migliore, però non la rinnego”.

È complicato per un giovane cresciuto in un club importante come l’Inter affermarsi in Prima squadra, anche quando si avrebbero le qualità per farlo?

“Non era semplice negli anni Ottanta e Novanta emergere in una squadra come l’Inter, c’erano state le eccezioni di Bergomi, Zenga, Ferri e poco altro. Il calcio stava andando in una certa direzione e non c’era spazio per i giovani. Inoltre, se venivi dal settore giovanile di una società top come l’Inter, tutti erano convinti che in serie B o C dovessi sempre fare la differenza, probabilmente c’erano troppe aspettative. In questi ultimi anni le cose sono cambiate e i ragazzi del vivaio trovano più spazio, vuoi anche perché, e non me ne vogliano i calciatori di oggi, il livello del calcio italiano è un po’ inferiore a quello dei magnifici anni Novanta”.

Prima stagione da titolare in A con il Vicenza, poi una stagione all’Empoli e per la prima volta vai in doppia cifra nei marcatori con 11 reti, che non bastano a evitare la retrocessione.

La partita chiave di quella stagione fu la sconfitta casalinga contro il Venezia di Maniero e Recoba, vincevamo 2-0 e al 90′ abbiamo perso 3-2”.

Nel 1999 l’Inter ti cede definitivamente, al Piacenza.

Il Piacenza spese ben 12 miliardi di lire per me. Un bel segno, direi. Al Piacenza ho avuto l’onore di incontrare come allenatore Gigi Simoni, una grande persona, che sembrava pacato ma quando si arrabbiava erano dolori, anche se lo faceva con i suoi modi garbati. Peccato che anche lui non facesse giocare molto i ragazzi”.

Arrivi a Venezia e vinci la B, come hai già ricordato, e poi devi seguire il presidente Zamparini a Palermo.

Fu un trasferimento forzato per la maggior parte di noi perché il Venezia non poteva più permettersi il peso economico dei nostri contratti. Zamparini era uno che faceva sul serio, aveva un bel po’ di soldi e, infatti, diceva sempre “Articolo quinto: chi ha i soldi in mano ha vinto””.

Come è stato il rapporto con un vulcano come lui?

Ottimo, perché siamo due persone schiette. Lui non poteva vedere le partite allo stadio, glielo aveva proibito il medico, e se le guardava registrate a casa. Se aveva visto qualcosa che non gli andava, il giorno seguente sparava a zero su questo o quell’altro giocatore sui giornali. Immediatamente i giornalisti chiamavano chi era stato preso di mira per una risposta e il segreto era di non ribattere mai sulle colonne dei giornali ma di persona. Se gli avevi risposto tramite i quotidiani eri un uomo finito, venivi messo fuori squadra. Lo fece una volta con Maniero, però si dimostrò un grande presidente perché gli fece firmare il rinnovo del contratto quando era ancora fuori rosa”.

A gennaio 2003 risolvi il contratto con la società rosanero e inizia il periodo più bello per te, sempre in Sicilia con la maglia giallorossa del Messina, vittoria del campionato di B, promozione in A e la stagione dei record con il settimo posto in A.

In realtà avevo prima provato a trasferirmi all’estero, a Glasgow, ma l’offerta economica dei Rangers non era soddisfacente, poi a Istanbul al Galatasaray di Lucescu ma non mi piaceva la città. Così dopo pochi giorni rientrai in Italia e firmai per il Messina. Eravamo un’ottima squadra, con un pubblico trascinante, nell’anno del record allo stadio San Filippo c’era, praticamente, il tutto esaurito in ogni partita casalinga. Su una capienza di 42mila posti 24mila erano occupati dagli abbonati, il massimo che si poteva fare”.

In panchina c’era un allenatore del profondo Nord, il bergamasco Bortolo Mutti: quale è stata la sua ricetta segreta?

Nessuna magia, Mutti non inventava nulla, il difensore per lui doveva fare il difensore, il centrocampista il centrocampista e l’attaccante l’attaccante. I suoi segreti erano l’equilibrio e la tranquillità che trasmetteva alla squadra; era capace di non esaltarsi per le vittorie e di non deprimersi troppo per le sconfitte, questo lo percepivamo e in campo volavamo”.

Tre campionati e mezzo tra B e A, un settimo posto storico, 43 gol in totale di cui 22 in A, che fanno di te il miglior goleador nella massima serie del Messina. Perché ti trasferisci nel 2007 in C1 alla Salernitana?

Il presidente Franza nell’estate del 2007 mi fece chiaramente capire che di lì a poco le cose sarebbero cambiate in peggio nel Messina: una mia cessione avrebbe portato soldi freschi nelle casse societarie e avrebbe giovato anche a me. Avevo ancora due anni di contratto col Messina, la Salernitana mi offriva un triennale a cifre migliori e il progetto ambizioso di tornare in A dalla C1. A convincermi furono il tecnico Agostinelli e il direttore  sportivo Fabiani che era stato il mio ds in giallorosso. Quest’ultimo mi disse: “Vieni a Salerno che ripetiamo la favola Messina”. Accettai, consapevole che fossero le mie ultime cartucce buone da sparare da professionista. Infatti trionfammo nel campionati di C1 del 2007-2008 e con 19 reti mi laureai capocannoniere del girone B. La stagione successiva contribuii con 13 segnature alla salvezza In B”.

Dopo il secondo anno alla Salernitana decidi di concludere la tua vita da calciatore nei dilettanti in Serie D tra Messina, Venezia e Caronnese. Poi nel 2012 stacchi la spina dell’agonismo sul rettangolo verde e passi subito ad allenare.

Era mia intenzione insegnare ai giovani e provare ad arrivare in serie A anche da tecnico. Comincio dall’Eccellenza alla guida del Rieti, poi in D con il Riccione e poi passo in Lega Pro al Savona”.

In Liguria accade l’incidente di percorso del calcioscommesse, la squalifica della giustizia sportiva, onta lavata dal proscioglimento davanti al tribunale civile per non avere commesso il fatto.

Infatti, non lo chiamerei proprio calcioscommesse. L’episodio incriminato è una telefonata prima di Savona-L’Aquila con Ercole Di Nicola, in cui abbiamo parlato del pagamento della cessione di alcuni calciatori che L’Aquila ancora doveva alla mia società. Di Nicola ha trasformato questa telefonata in informazioni per gli scommettitori e sono stato squalificato per tre anni e sei mesi. Tra l’altro come avrei potuto indirizzare il risultato di una partita senza parlare e mettermi d’accordo con i miei giocatori? In campo ci dovevano andare loro e non io. Pochi mesi prima, inoltre, alcuni miei ragazzi erano stati contattati per combinare un partita, mi avevano subito telefonato, io avevo riferito al mio presidente che aveva denunciato tutto alla Procura sportiva. Stavo cercando di costruirmi una carriera da allenatore professionista, potevo essere così stupido da rovinarla in partenza con una partita venduta? La cosa più importante è che davanti alla giustizia ordinaria sono stato assolto per non aver commesso il fatto, il Gup de L’Aquila nel 2017 ha sentenziato che non c’era stato nessun illecito e a contribuire al mio proscioglimento è stata proprio la testimonianza di chi aveva indagato per la procura sportiva”.

Prima dell’assoluzione avevi deciso di scendere addirittura in Prima categoria per guidare il Cologno, mi ricordo la tua sofferenza di dover dare consigli alla squadra da un’impalcatura dietro le panchine dello stadio Brusa di Cologno Monzese, costruita apposta te; come mai questa scelta drastica?

Schifato da ciò che mi era successo avevo scelto di respirare un po’ di aria pulita tra i dilettanti, dove girano pochi soldi o addirittura niente. Ho sposato il progetto del presidente del Cologno Giancarlo Patera e della sua famiglia e sono diventato allenatore del Cologno. Una rosa allestita quasi interamente con i ragazzi del vivaio, nessun rimborso; ho allenato il primo anno in Prima categoria, il secondo interrotto a febbraio 2020 in Eccellenza dopo aver acquisito il titolo dal Brugherio e a settembre avevo iniziato la terza stagione in Promozione con la speranza di fare bene. Mi dispiace per questo altro stop per il Covid, perché avevo già deciso che sarebbe stato il mio ultimo anno al Cologno. Ringrazio Patera e famiglia per l’occasione datami e per loro ci sarò sempre. È giunta l’ora di riprovarci ai piani superiori”.

Hai già la squadra per la stagione 2021-2022?

Ho più di una proposta per allenare o in Serie C o in D, sceglierò il progetto che mi darà più garanzie e non è detto che sia in C. Ho ancora l’ambizione, un giorno, di sedermi su una panchina di serie A“.

Chiudiamo tornando al Di Napoli calciatore. Chi è stato il difensore più arcigno che hai affrontato?

Posso farti un elenco di fenomeni, Baresi, Maldini, Nesta, Cannavaro, però dico Vierchowod che è stato anche mio compagno nel Piacenza. Quando ci giocavi contro non ti faceva vedere il pallone, a Piacenza facevo di tutto per stargli vicino e imparare, e lui mi aveva preso sotto la sua ala protettrice. A 41 anni non gli stavi dietro nella corsa, un vero professionista. Un aneddoto: abitavo nell’appartamento sopra il suo e una sera stavo cucinando e non avevo l’olio, sono sceso da lui per chiederglielo. Erano le 20.30 e l’ho svegliato, era già a letto”.

Invece chi è stato il tuo gemello del gol?

Pippo Maniero: calciatore tecnico, col fiuto del gol e anche altruista, merce rara per un attaccante; a Venezia, sopratutto, lui era il classico “9”, io più un “10”. Invece un compagno che ricordo con piacere, anche se non giocava in attacco come me, è Javier Zanetti, da ammirare per la dedizione fuori e dentro il campo. Nella mia stagione in Serie A con l’Inter alla Pinetina ero in camera con Zamorano e durante i ritiri ero sempre con lui nella stanza di Zanetti”.

Che tipo di giocatore eri e come saresti trasportato nel calcio di oggi?

Avevo buone qualità tecniche e segnavo abbastanza, anche se qualcosa in più avrei potuto portarla a casa. Ero un giocatore croce e delizia per allenatori e tifosi. Poi un calciatore si deve impegnare al massimo e sacrificarsi per i pochi anni che dura una carriera, altrimenti finito il calcio diventa dura. Se giocassi adesso potrei salire qualche gradino nella scala dei valori e, soprattutto, potrei avere una chance in più per vestire la maglia della Nazionale. Ai miei tempi la concorrenza era spietata: Baggio, Del Piero, Totti, Montella, Del Vecchio, solo per citarne alcuni, la strada in attacco era sbarrata”.

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