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Svegliarino

Arte dell’addio

Stefano Olivari 26/06/2008

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La partita, dicevamo. Al netto delle enormi emozioni, cioè la cosa più importante, 90 minuti di livello tecnico medio-basso e di arbitraggio agghiacciante anche senza discutere dei rigori non dati. Lo svizzero Busacca non ha comunque colpe del fatto che solo Schweinsteiger, e nemmeno dall’inizio, sia stato all’altezza dell’impresa compiuta contro il Portogallo nei quarti. Loew ha confermato Podolski sulla sinistra, ma l’attaccante del Bayern è stato molto più indisciplinato che nelle precedenti partite, fornendo pochi cross (sul primo, rasoterra, ha segnato Schweinsteiger) e rendendosi pericoloso solo in un’occasione da contropiede. Con Ballack punto di riferimento poco ispirato, anche per i calci di Mehmet Aurelio, il più grande creatore di gioco tedesco è stato Lahm: cross dalla sinistra, lanci, sovrapposzioni ed ovviamente il gol-vittoria all’ultimo minuto, che ha fatto dimenticare una difesa (‘fase difensiva’, in allenatorese) approssimativa dovuta anche alla prestazione di Kazim Richards. Tremendi i portieri, non solo su alcuni gol (quelli di Klose e Semih, in particolare) ma per la sensazione di insicurezza che emanavano, la Turchia ha dato l’impressione di giocare meglio perchè ha dominato le fasce. In particolare quella destra, dove Sabri e Kazim hanno in fase propositiva fatto il fattibile, ma anche a sinistra, dove Ugur Boral ha spesso puntato Friedrich, la squadra di Terim è passata più volte. Alla fine l’amarezza della sconfitta onorevole ed ai punti ingiusta, ma anche la consapevolezza di avere tirato fuori il massimo da un gruppo nemmeno paragonabile a quello che arrivò terzo al Mondiale 2002. Non tanto per il talento, quanto per la personalità di alcuni singoli, da Tugay a Basturk passando per Hakan Sukur e Alpay. Non a caso i reduci Emre Asik e Nihat, ieri assenti, sono stati i trascinatori di questa ultima versione della Turchia. Che ha molti uomini chiave intorno ai 25 anni, quindi avrà ancora qualcosa da dire. Senza Terim, probabilmente, che questa mattina avrebbe comunicato alla sua federazione l’intenzione di tornare al calcio di club: meglio lasciare da fenomeno, bravo lui che se lo può permettere. Quanto alla Germania, non facciamo il solito discorso sul Dna, la tradizione, eccetera. Anche con un livello medio dei singoli sempre più basso riesce ad arrivare in fondo: forse si chiama cultura, nel nostro bar diciamo attaccamento alla maglia.

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