Armani e soddisfazione preventiva

24 Aprile 2014 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla casa di Amleto dove il bardo gli faceva urlare “Essere o non essere”, come se avesse avuto davanti questo Emporio Armani che esce all’ultima curva dell’eurolega e pensa di farsi assolvere anche da quelli che sono nelle liste di proscrizione, da quelli che sembra più facile cacciare, escludere, delle avversarie trovate di volta in volta sul campo. Vi diciamo subito che insieme a quei tifosi che ancora aspettano il rimborso Armani per la finale di coppa Italia (era scritta, impossibile non vincerla, diceva il coro a Stratford-upon-Avon), ai moltissimi che  avevano in tasca il biglietto per gara cinque col Maccabi, il treno dei desideri per arrivare ad una finale a quattro dove non poteva fare paura neppure il CSKA messo in graticola dal Panathinaikos, dove il Barcellona, il Real o, magari l’Olympiakos, danno l’impressione di avere tutto, ma non certezze, a questa moltitudine d’infelici per le troppe incompiute dovete aggiungere le cure per i nervi di chi deve raccontare le partite dell’Emporio.

Non puoi mai fidarti. Tanti inizi, tante chiusure buttate via, peggio se per le partite che, come sapete, si giocano sempre ad orari velenosi per i giornali, ma neppure  comodi per chi il giorno dopo va a lavorare, per le famiglie alla domenica. Sei pronto al peana e loro cadono nella voliera di Sacchetti, cerchi le parole giuste per quella che sembra un’impresa a quasi tutti (anche se stonava un po’ quell’attacco dove in pratica segnava uno solo, il Keith Langford che ama recitare tante parti in commedia, salvo perdere le battute iniziali o finali), ma ecco la crisi d’identità. Uno schiaffo in più del previsto. Occhi smarriti a cercare un giudice che non c’è mai stato nelle partite in trasferta, figurarsi nelle coppe europee dove mandano in pista arbitri di ogni genere e chi ha sentito e subìto il tedesco Lottermoser a Capodistria può capire di cosa stiamo parlando, chi ha memoria per i Van der Willige della situazione non si stupirà di nulla.

Ci viene il dubbio che la super corazzata Armani, buona per questo piccolo mare che ci separa dal gioco dei grandi come ha detto spesso Pianigiani passando dalla Mens Sana ad Azzurra Tenera, sfugga al controllo del suo ammiraglio. Non per mancanza di fiducia o di fede. Lui è bravo, lavora bene, il suo staff appassionato, competente. Però prevale la natura scorpionica di chi nei finali punto a punto non sente la panchina, non parla con i compagni, non vede dove va messa la palla, cioè nelle mani giuste, meglio ancora nel canestro nei tempi stabiliti. Per questa delusione che ci ha fatto rotolare fra le lenzuola anche se la colpa vera sembra dello sciatico, abbiamo vegliato con il gioco del vero o falso, tanto per aspettare l’alba che sembrava tragica come tante  volte quando ci si allontanava dal Torchietto dopo le stagioni che non finivano bene, ce ne sono state. D’Antoni, all’inizio, era convinto che aleggiasse la maledizione e adesso, vedrete, verrà fuori che gli ultimi veri successi  del basket milanese sono stati celebrati al Torchietto della famiglia Ragazzi, quella del nottambulo Sergio che adesso si è pure risposato a Cuba, ha girato per il Sudamerica, ma ogni tanto torna, disperato come molti per la perdita di quel rifugio sui Navigli che adesso si lega alle maledizioni strane del mondo sportivo, un po’ come quella di Bela Guttman, l’ungherese visto anche al Milan, dopo l’anatema contro il Benfica che non gli aveva concesso l’aumento, come quella storica di Babe Ruth ai Boston Red Sox che solo dopo tante lacrime hanno ritrovato successo e fiducia.

Vero  che vincere allo Yad Eliyahu è sempre stata un’impresa, ma contro altri tipi di Maccabi, perché nella stagione 1986-87, ultimo successo di Milano in Israele, culminata nella vittoria di Losanna proprio contro gli israeliani, era davvero inferno fuori e splendore dentro le righe. Quella serata magica fiorì dopo un allenamento della vigilia dove nessuno, ma proprio nessuno, si sarebbe sognato di dire ‘Abbiamo già fatto tanto ad essere qui’, una  sessione che divenne magica quando Sugar Ray Richardson, il grandissimo, anche nei peccati, sospeso dalla Fiba e dalla NBA, parcheggiato proprio a Tel Aviv, chiese di potersi allenare con il suo amico McAdoo. Lui in jeans, gli altri prima curiosi, poi conoscendo tipi come Meneghin e D’Antoni, ecco nascere la guerra anche per una semplice rimessa. Livello dell’allenamento salito almeno del 20 per cento come velocità di esecuzione perché Richardson era un diavolo. La sera dopo lo si vide benissimo in quella Tracer diventata splendida nella finale di Losanna e che poi l’anno dopo si ripetè come Philips guidata da Casalini dopo l’addio del nano ghiacciato.

Falso che ci si debba accontentare di aver fatto bella figura in Europa se ti chiami Armani. Forse è vero che consideriamo un po’ troppo i giocatori di Banchi. D’altronde, cara gente, tre più l’allenatore vengono da uno scudetto vinto, Gentile è la stella nascente del sistema, Melli ha fatto passi  in  avanti sostanziosi, Jerrels è un terminale, Wallace arriva dal grande Barcellona, Lawal aveva fatto volare Roma, Samardo Samuels è invidiato da mezza europa, Cerella è il corazon che mancava l’anno scorso.

Vero che all’inizio, vista la carestia scudetti, nessuno chiedeva a Banchi qualcosa in eurolega, ma poi, acquistando Daniel Hackett, lavorando bene e scoprendo che in Europa non tutti erano gatti soriani, è arrivata la voglia di provare e in questo la squadra ha risposto bene perché la seconda fase ha dato grandi soddisfazioni e scalpi nobili, anche se, come succede quando si tira a canestro, lo scalpo come il centro hanno valore reale se viene fatto quando conta. Nelle qualificazioni capita di trovare gente meno motivata. Il Barcellona, l’Olympiakos davano questa impressione, i greci poi sembravano davvero meno belli rispetto al doppio successo per la gloria, non veniteci a parlare del Fenerbahce o di altre cose turche. Comunque sia, quando arrivi vicino al sole non puoi più dire che preferisci chiuderti nella cabina delle passioni locali.

Falso sostenere che questo era un Maccabi super dotato. Dai. Il professor Smith, Blu, quel finto straniero che è Ingles, non veniteci a dire che Pnini è uno da storia maccabea, lo stesso colosso Schortsanitis che può stare in campo per cinque sei minuti alla volta perché 160 chili non si portano bene anche se hai i piedi di Nureyev, pensiamo al Tyus che appariva già sfinito quando giocava in Italia. Insomma non potevano e non dovevano fare paura.

Vero che David Blatt ha mosso le sue truppe meglio del Banchi tradito dal solito attacco che comincia troppo tardi ogni  azione, perché manca la vocazione ed il coraggio di correre per limitare così le palle perse e, quindi, rendere più pulite le cifre da presentare al momento dei contratti, ma ingannato anche dalla organizzazione difensiva. Contro il pick and roll israeliano sembrava di vedere la gente scappare e non tamponare. Certo che si doveva fare a schiaffi visto che arbitracci di complemento permettevano che sotto fosse  tonnara. Per picchiare, però, bisogna essere affamati,  perché andare in campo sapendo che comunque ti faranno una carezza diventa letale. Difficile spiegarlo a chi ne ha sentito soltanto parlare in pizzeria.

Vero che l’assenza di Alessandro Gentile ha reso più prevedibile  l’attacco al momento della paura, ma con Sassari Gentile c’era, spesso la coppia dei matamoros scoppiava per golosità e vanità. Poi non veniteci a dire che il Maccabi era al cento per cento e il tampone Zizis sembrava più che altro una palla al piede.

Vero che in trasferta hanno sofferto tutti, anche i colossi. Ma, credeteci, eravamo fiduciosi nel colpaccio di Milano proprio perché nessuno ci aveva dato l’impressione di essere davvero superiore. Perché il Real si è involuto, imborghesito, perché non c’è cosa peggiore per allenatori esigenti come Ettore Messina che lasciar girare voci su un disempegno a fine stagione e al CSKA accade questo. Ora diteci voi se il Barcellona con Tomic, Marcelinho, il Lorbek usurato può essere considerato imbattibile? Insomma c’era tutto per non arrivare a consolarsi dicendo: abbiamo fatto già più di quello che la gente aspettava  da noi. Siamo sicuri che l’altezza dell’asticella è soltanto quella del campionato italiano? Non è una fuga dalle vere responsabilità? Vero che il CSKA costa 48 milioni, ma l’Emporio non è  tanto lontano dal budget di Barcellona, Real, di sicuro costa come il Maccabi, l’Olympiakos e il Panathinaikos o il Galatasaray.

Aspettando chel’Armani torni a giocare con gli altri suoi “pari” di casa nostra, ma dai,  stelle filanti dal mondo intorno a noi.

Bravo il Custer Trinchieri che arrivando in finale con Kazan si è preso anche il titolo di allenatore dell’anno fra i tecnici  che lottano per  la seconda coppa europea.

Bravissimo Capobianco che a Mannheim sta facendo cose eccellenti, che con gli azzurrini del 1996 sta correndo come ai tempi in cui il nostro vivaio offriva grandi talenti per lo Schweitzer. Squadra con tre giocatori sopra i 2 metri, ma non oltre i 2,03, gruppo tosto col Fiaccadori ala di Bergamo con mano buona, il Donzelli ala di Casalpusterlengo con buon talento e il Mussini di Reggio Emilia già visto in serie A, in coppa, uno che sa dirigere le orchestre.

Dicono che va tutto bene anche se uno come Daniele Cinciarini, dopo una stagione straordinaria a Montegranaro, è costretto a chiedere che i tifosi vadano al campo per vedere la Sutor perché l’incasso servirà almeno a coprire le spese vive di chi non vede stipendi e deve pagare al supermercato.

Dicono che Messina possa andare nella NBA, primo europeo capo allenatore. Utah, Atlanta, Brooklyn. Sarà vero? Se invece fosse davvero stanco e, magari, avesse in mente, di rifare con Villalta la vera Virtus?

Agitazione nel campo di Agramante per questo conflitto fra Minucci e Petrucci. Da Bologna e Roma suggeriscono candidati pronti alla sostituzione: chi dice D’Antoni, non Mike ovviamente e purtroppo, chi dice addirittura Bottai, poi c’è il suggerimento Domenicali, ex dominus Ferrari che giocava a basket per Imola, esiste sempre la corrente pro Galliani che non si perde una partita al Forum. Sarà meglio riconvocare questo terzo stato del basket italiano per capire dove vuole andare e cosa cerca, almeno per appoggiare il progetto “Tv autogestita” perché senza le Leghe si andrà molto vicino alle trasmissioni di Telescimitarra.

Siamo incuriositi dai messaggi disperati dei giocatori che chiedono spesso al pubblico di non abbandonarli.  Forse la gente abbandona  chi non merita di essere sostenuto. Vero che in passato anche i meno dotati godevano dell’affetto di chi ama una squadra a prescindere, ma è anche vero che in giro non c’era questa puzza di contagio da professionismo mal vissuto.

Ripetiamo che nella Lombardia Felix affidata al Mattioli sempre in gamba c’è stato un tripudio di tornei giovanili che meriterebbero un premio federale più alto di quello per cui sbavano certe società sapendo di mentire.

Chiudiamo avvisando i poveri Iago del sistema, quelli che sanno come far ingelosire gli Otello mutuati da mondi lontani, che fanno da badante agli avidi, che a Liverpool, dove i Reds stanno correndo forte verso l’impresa nel calcio inglese, non hanno alcuna vergogna a dichiarare che fra i collaboratori di Brendan Rodgers c’è anche lo psicologo Steve Peters, uno che sa sussurrare ad ogni tipo di cavallo se davvero ha cambiato la vita anche di un genio dello snooker come Ronnie O’Sullivan.

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