Aria di Bach

5 Settembre 2013 di Simone Basso

Il 10 Settembre, in quel di Buenos Aires, si eleggerà il prossimo presidente del CIO. Dal 1894 è solamente la nona volta che il Comitato Olimpico Internazionale si riunisce per eleggerlo, malgrado nuove regole che prevedono un “papato” di otto anni estendibile per altri quattro. Jacques Rogge, il presidente uscente, è stato notevole nel gestire l’eredità (impossibile) del caudillo Samaranch. Il CIO, un comitato d’affari, non è quello venduto dall’enfasi decoubertiniana; ecco, il sultanato di Juan Antonio Samaranch – all’ombra del baobab di Horst Dassler – è stato decisivo nell’edificare lo sport iperprofessionistico attuale, con tutti gli splendori e le miserie al seguito. Un’accellerazione centripeta clamorosa dal punto di vista finanziario, guidata (..) da un’organizzazione – culturalmente eurocentrica – costretta a cavalcare l’apertura verso frontiere inedite. In effetti, osservando il mondo dalla prospettiva privilegiata del Vaticano dello sport, la globalizzazione pare quasi una conseguenza delle dinamiche a Cinque Cerchi…

L’impressione, qualsiasi sarà il risultato delle elezioni, è di un CIO all’antivigilia di una rivoluzione profonda nell’assetto strategico. Rimane incredibile che i sei candidati discutano dei loro programmi ancora a porte chiuse: ciò che è vitale per ogni istituzione “popolare”, cioè un dibattito pubblico, viene proibito per un presunto codice etico (?). Thomas Bach, vicepresidente CIO, è il favorito logico di una competizione che sembra aderire a un gigantesco domino. L’evento che potrebbe ribaltare l’esito della corsa è la scelta della candidatura olimpica del 2020, che precederà di tre giorni la gara presidenziale. Il tedesco, oro olimpico nel fioretto a squadre a Montreal (1976), è il lobbista per antonomasia: la platea di supporter, più o meno fedeli, va dal Bundestag alle liaison con i russi e lo sceicco più influente del CIO.

Il giurista di Wurzburg, il migliore del lotto nel districarsi fra politica e sport, ha infatti al suo fianco Ahmed Al-Sabah. Membro del Comitato, governa il Consiglio Olimpico Asiatico, nonchè il Fondo della Solidarietà Olimpica e l’Associazione dei Comitati Olimpici Nazionali. Fenomenale nell’affiancare i candidati giusti, con la sua personalità (e le sue richieste..) potrebbe però danneggiare Bach. E basta poco perchè lo sceicco diriga altrove il suo pacchetto di voti… Al-Sabah è anche uno degli sponsor di Marcus Vizer, neopresidente di SportAccord, ovvero la struttura ombrello delle federazioni. Un’istituzione parallela al CIO che spinge sempre più il business corporativo. La proposta di un mondiale onnicomprensivo per le trentacinque discipline maggiori (sic), dal 2017, nelle stagioni postolimpiche, rappresenta quasi un avvertimento per l’egemonia di Losanna. Al pari dell’idea di una banca internazionale che finanzi le manifestazioni e della creazione di una lotteria specifica.

Il giochino è subdolo, sul filo di un equilibrio instabile, e i blocchi continentali sono relativi quando l’attività lobbistica impazza. L’avversario numero uno di Bach si chiama Ng Ser Miang. Anch’egli vicepresidente, è l’inventore dei Giochi Olimpici della Gioventù ed è spalleggiato quasi integralmente dall’enclave africano. Abbastanza chiaro il patto: con il marinaio di Singapore capintesta, l’Africa ospiterà le Olimpiadi 2024. L’altro orientale, l’architetto taiwanese Ching-Kuo Wu, patron della boxe, è di lungo corso: samaranchiano di ferro, ha costruito a Tianjin – con una mossa elettorale niente male – il Samaranch Memorial, il museo che custodisce la collezione personale dell’antico padrino.

Gli altri tre, i cosiddetti outsider, sono pericolosi quanto imprevedibili. L’elvetico Denis Oswald è un formidabile passista dell’amministrazione sportiva; da un quarto di secolo regna nella Federazione mondiale del canottaggio. Auspica una cura dimagrante al format estivo per rimescolare l’appeal commerciale delle Olimpiadi: il marketing che impone il golf (sic), è lo stesso che cancella la lotta. Chissà se il vogatore riuscirà a convincere Hein Verbruggen, vecchio despota dell’Uci e di SportAccord, l’unico vero antipatizzante europeo dello schermidore Bach. Richard Carrion, portoricano che rappresenta l’America, comanda la Commissione Finanze del CIO e porta con sè, oltre all’aiuto del movimento paraolimpico e del basket, una visione più moderna e meno enfatica del sistema.

L’ultimo sfidante è il grande Sergei Bubka. Trentacinque primati mondiali nell’asta, dalla Iaaf con furore, è il nome che pesa di più mediaticamente e che rischia di sparigliare la partita. Difatti, simbiotico al potere di Al-Sabah, c’è l’emergere prepotente della Russia. Un legame evidente collega lo sceicco allo zar Putin e alla sua oligarchia: l’IJF, il pianeta judo. Lo stesso dell’austriaco Vizer, presidente di quella federazione oltre che di SportAccord. Si scrive Edinaja Rossija ma si legge Gazprom e il filotto è già impressionante: Universiadi e Mondiali di atletica quest’anno, Sochi 2014, il nuoto la stagione successiva, la Coppa del Mondo di calcio 2018. In sintesi, decideranno loro: Russia e Arabia stanno entrando nella stanza dei bottoni.

Un altro “judoka”, l’iberico Alejandro Blanco – che gestisce i fondi per lo sviluppo – avrebbe le chiavi per consegnare al Bach di turno la poltrona più ambita. Se il 7 Settembre Madrid sarà scelta città olimpica 2020, il mosaico si ricomporrebbe: comunque vada, come sostiene Jens Weinreich, non si accetterebbero scommesse su Doha 2024 e San Pietroburgo 2028. Vedremo se lo sceicco e le milizie gazputiniane, la futura egemonia, manterranno le promesse fatte…

Simone Basso (per gentile concessione dell’autore, fonte: Il Giornale del Popolo di giovedì 5 settembre 2013)

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