Aquarius, Sônia Braga e quelli che si oppongono a tutto

17 Gennaio 2017 di Stefano Olivari

Siamo così provinciali ed americanofili, quindi provinciali al quadrato, che molto raramente diamo chance a film non italiani o americani. Poi ovviamente l’Uomo Indiscreto conosce nel dettaglio il nuovo cinema uzbeko e i grandi maestri di quello paraguayano, ma noi siamo lontani da questo inarrivabile modello e quindi è quasi per caso che ci imbattiamo in film interessanti come il brasiliano Aquarius, con protagonista una Sônia Braga al suo meglio, superiore anche ad una sceneggiatura manichea che contrappone i buoni, che si oppongono a ogni cambiamento, ai cattivi, quelli che pensano soltanto al profitto, secondo i dogmi di un certo cinema da festival.

La storia è quella di una donna, Clara, famoso critico musicale adesso in pensione che nella vita ha superato molti problemi, di salute e familiari, ma anche vissuto molte passioni (e tradimenti, suoi), con la musica comunque al primo posto nel cuore. Clara vive in un condominio di Recife, chiamato Aquarius, affacciato sul mare: è la sua casa da sempre e nel corso dei decenni per la sua posizione è diventato, da normale casa medio borghese, un posto che se ristrutturato potrebbe interessare ai ricchi veri. Così un’impresa di costruzioni compra uno ad uno tutti gli appartamenti, senza badare al prezzo: i vecchi proprietari accettano l’offerta, tranne Clara, la cui presenza è quindi di ostacolo alla demolizione della casa e al megaprogetto. Da lì partono pressioni notevoli sulla donna, da parte non soltanto dell’impresa di costruzioni, ma anche degli altri condomini (di classe sociale inferiore alla sua) e addirittura dei figli, un po’ perché il posto sta diventando pericoloso per una donna sola e un po’ per i soldi che si intravedono. Pressioni che sfociano nell’illegalità, con il giovane ingegnere dell’immobiliare, nipote del proprietario, che si assume l’onere di rappresentare il volto rassicurante del capitalismo: ha studiato negli Stati Uniti (i soliti americani cattivi, vuoi mettere i palestinesi?), è educato e sorridente, sa spiegare con chiarezza perché sia una stupidaggine rimanere in un condominio che in ogni caso sta andando a pezzi.

I dialoghi sono un po’ sciatti, con qualche pistolotto di troppo e la regia di Kleber Mendonça Filho è da compitino didascalico (le allusioni sessuali telefonate rivalutano quelle dei bordelli veneziani di Tinto Brass), ma il personaggio della Braga è davvero fortissimo, uno dei pochi femminili che non viva in relazione a un uomo: solo per lei il film sarebbe da consigliare. Il suo rapporto decisamente fisico con i dischi in vinile è commovente, il suo spirito notevole (stupenda l’intervista che le fanno, titolando poi cialtronescamente ‘Adesso ascolto gli mp3’: in alcuni punti abbiamo sperato saltasse fuori il Nanni Moretti di Palombella Rossa), la sua indipendenza quasi imbarazzante per chi le sta vicino. Film impossibile da guardare senza sovrastrutture ideologiche, anche se le polemiche dell’ultimo Cannes (tutto il cast del film si schierò a favore della Rousseff) le abbiamo giusto lette, con quella spruzzata spocchiosetta di ‘La meglio gioventù’ che unisce il cinema sedicente d’autore di tutto il pianeta. Stravince comunque la Braga: attrice eccellente, credibile sia nel cinema impegnato che in quello hollywoodiano, che noi peggio gioventù abbiamo per la prima volta conosciuto a inizio anni Ottanta in Dancin’ Days, la prima telenovela di grandissimo successo in Italia (la trasmetteva Retequattro, non ancora di Berlusconi) e che anche in Brasile è stata oggetto di culto. Inutile dire che il film fa scattare l’identificazione, con la Braga paladina di quelli che si oppongono a tutto, del genere ‘La Costituzione più bella del mondo’ e ‘Giù le mani dal CNEL’, pur senza far parte degli esclusi ma della cosiddetta società civile. Alla fine del tutto involontariamente passa un contromessaggio, cioè che l’opposizione ai cambiamenti sia spesso egoistica e classista.

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