Anima artigiana

15 Novembre 2007 di Alec Cordolcini

570mila euro spesi sul mercato in quattro anni a fronte di un budget societario che si attesta attorno ai 13 milioni, ovvero poco più della metà di quanto il Bayern Monaco ha speso la scorsa estate per l’acquisto di un solo giocatore, Franck Ribéry. Basterebbe questo dato per giustificare la parola miracolo quando si parla del Karlsruher (o Karlsruhe, direttamente con il nome della città) anno 2007/2008, passato nell’arco di due stagioni dalla lotta per non retrocedere nel calcio dilettantistico al quarto posto in Bundesliga. Il campionato tedesco non è mai stato avaro in tema di matricole terribili, a partire dall’indimenticato (e probabilmente insuperabile) Kaiserslautern di König Otto Rehhagel, addirittura campione nazionale nella stagione 97/98, fino al Bayern Monaco di Ohlhauser (terzo posto nel 65-66) e a diverse altre squadre (Stoccarda 77/78, Sv Wuppertaler 72/73, Hannover 64/65, Werder Brema 81/82, Bochum 96/97) capaci di centrare, da neopromosse, un piazzamento finale di assoluto rispetto a ridosso dell’elite. Difficile prevedere se il Karlsruher riuscirà a mantenere fino in fondo il passo da grande squadra tenuto finora, ben più semplice è rilevare come nell’era dei soldi e delle multinazionali del calcio c’è ancora spazio per qualche piccolo prodotto di artigianato locale, costruito con pochi spiccioli e tanta competenza.
Nome storico del calcio tedesco a dispetto di un palmarès scarno (un vecchissimo titolo nazionale, di cui più tardi parleremo, due coppe di Germania e una coppa Intertoto), la parabola discendente del Karlsruher era iniziata in maniera drammatica nella stagione 97/98 a causa di una retrocessione amara e inaspettata (l’anno precedente la squadra era arrivata sesta, due anni prima aveva perso la finale di Coppa di Germania contro il Kaiserslautern) avvenuta dopo undici anni di permanenza consecutiva in Bundesliga. Un brutto colpo per il club, reduce da un periodo florido sotto la guida di Winfried Schäfer, che aveva raggiunto il proprio zenith in un 7-0 rifilato al Valencia nel secondo turno di Coppa Uefa (la batosta fece saltare la panchina di Guus Hiddink), preludio ad una bella cavalcata europea fermata solo in semifinale da un doppio pareggio (0-0 in Austria, 1-1 in Germania) con quel Salisburgo poi superato nell’ultimo atto dall’Inter di Bergkamp, Jonk e Ruben Sosa. Dopo Schäfer solo amarezze, con la retrocessione nel 2000 in Regionalliga (in panchina c’era l’attuale ct della Germania Joachim Löw) e un successivo quinquennio di alta mediocrità una volta riconquistata la Seconda Divisione, un periodo depresso che aveva completamente sbiadito il ricordo dei tempi, nemmeno troppo lontani, in cui giocatori del calibro di Oliver Kahn, Jens Nowotny, Mehmet Scholl e Michael Tarnat calcavano l’erba del Wildparkstadion quale antipasto di una carriera ad altissimi livelli.

Con l’arrivo di Edmund Becker si è tornati a sorridere. Non è un maestro di calcio Becker, ma il simbolo (assieme al vicepresidente Rainer Schütterle e al manager Rolf Dohmen) dell’anima “artigiana” e autoctona del Karlsruhe, club nel quale milita ininterrottamente da ormai trent’anni, prima come giocatore (dal 1977 al 1986 con 157 partite all’attivo), quindi come allenatore in seconda dei vari tecnici transitati sulla panchina del KSC, infine dal gennaio 2005 in qualità di “Chefcoach” dopo l’esonero di Lorenz Günther Köstner (e il brevissimo interregno, poco più di una settimana, di Reinhold Fanz). Pochi soldi, nessuna stella, tanto olio di gomito; il segreto della matricola Karlsruher risiede in una squadra organizzata, compatta e che rema tutta dalla stessa parte. Una rosa composta per la maggior parte da scarti della Bundesliga o da promesse mancate giunte all’ultimo appuntamento con il calcio che conta, una rosa capace però la passata stagione di vincere la Zweite Bundesliga e in questo campionato di fare la voce grossa con squadre quali Norimberga (vittoria per 2-0), Schalke 04 (2-0), Borussia Dortmund (3-1) e i campioni in carica dello Stoccarda (1-0). Becker ama dire che il segreto di questo successo fonda le proprie radici sull’ambiente sereno e pacato che circonda il club, lontano dalle pressioni e dalla concorrenza estrema presente in buona parte delle realtà del calcio professionistico. Un ambiente che ha trasformato giocatori quali Mario Eggiman, Bradley Carnell, Christian Timm, Maik Franz, Edmond Kapplani e Massimiliano Porcello da comparse di secondo piano in attori magari non da Oscar ma comunque di buon valore.

Il vero fiore all’occhiello del Karlsruher resta però la gestione mercato, e qui ritorniamo ai 570mila euro spesi in quattro anni, usati per l’acquisto rispettivamente di Franz dal Wolfsburg la passata stagione e di Tamàs Hajnal dal Kaiserslautern in quella attuale. Gli altri 27 giocatori transitati dalla città del Baden-Württemberg nel periodo soprindicato sono prestiti, arrivi a parametro zero o giovani promossi dal vivaio del club. Pochi gli elementi in rosa con alle spalle un’esperienza in Bundesliga; nel 4-2-3-1 di Becker spiccano la sinergia tra l’estremo difensore Markus Miller (soprannominato Killer Miller per la freddezza tra i pali) e il centrale svizzero Mario Eggiman, i due leader del reparto arretrato, le percussioni sulla destra di Andreas Görlitz, in prestito dal Bayern Monaco, e le geometrie dei già citati Porcello (specialista dei calci piazzati e grande protagonista della promozione lo scorso anno accanto all’altro italo-tedesco Giovanni Federico, 19 reti, 14 assist e pronto passaggio al Borussia Dortmund in estate) e Hajnal, mentre in avanti si resta ancora in attesa dell’esperienza (e dei gol) del georgiano Alexander Iashvili, ex Friburgo, a supporto di Christian Timm (ottimo lo scorso anno con il Greuther Fürth) e della punta centrale, ruolo in cui si sono alternati finora con risultati piuttosto deludenti il classe 85 Sebastian Freis e il più stagionato albanese Kapplani.

Bacheca scarna e impolverata quella del Karlsruher, si diceva all’inizio; le coppe nazionali vinte risalgono al 1955 e al 1956, il campionato addirittura al 1909, un successo sul quale è bene spendere qualche parola, non fosse altro che per la ricca aneddotica e la tormentata genesi che hanno accompagnato quel successo. Nei primi anni del secolo Karlsruhe era una delle capitali del calcio tedesco, forte di due squadre di livello più che discreto, una addirittura eccellente, il KFV (Karlsruhe Fußball Verein), assoluta dominatrice del proprio campionato regionale (8 successi a cavallo tra il 1901 e il 1912) e compagine tra le più forti dell’epoca, e il Phönix, club antenato dell’attuale Karlsruher nato nel 1894 da un gruppo di dissidenti di una locale società di ginnastica. Quando nel 1903 la DFB (le Federcalcio tedesca) creò il primo campionato nazionale, tutto faceva presupporre che se ci fosse stata una squadra della città di Karlsruhe a conquistare il titolo, quella non avrebbe potuto essere che il KFV. Ciò non accadde, per una serie di eventi piuttosto misteriosi. Nella semifinale del 1903 il KFV si trovò di fronte il Deutscher FC di Praga, squadra già liquidata in amichevole un anno prima con un umiliante 9-0. Quell’incontro però non si giocò mai; un telegramma recapitato alla stazione ferroviaria dove i giocatori del KFV attendevano il treno che li avrebbe portati a Lipsia, sede scelta per la partita, parlò di “incontro rinviato, attendere nuove disposizioni”. E così fecero, inconsapevoli del fatto che a Lipsia il Deutscher Praga era già schierato in campo in attesa di avversari che non sarebbero mai arrivati. Il KFV perse a tavolino, nessuno seppe mai chi fu l’autore di quel telegramma, che oltretutto sfoggiava sul frontespizio il logo della Federcalcio. L’anno seguente ci pensò invece direttamente la Federazione a fermare la corsa del KFV, sconfitto 6-1 a Berlino dal club di casa del Britannia, venendo meno alla regola secondo la quale i play-off si sarebbero dovuti disputare tutti in campo neutro; le reiterate e vivaci proteste degli sconfitti non diedero esito fin
o a poche ore dal fischio d’inizio della finale, che vedeva di fronte il Britannia Berlino e i campioni in carica dell’VfB Lipsia, quando venne decisa una prima temporanea sospensione dell’incontro. Le nuove polemiche che scaturirono indussero la DFB ad annullare l’intera manifestazione; il titolo nazionale del 1904 non sarebbe stato assegnato. Il destino del KFV sembrò finalmente compiersi nel 1905, quando la squadra riuscì a giungere in finale. Questa volta a negare il successo ai rossoneri fu però il campo, o meglio l’Union Berlino, che uscì vittoriosa 2-0 di fronte a una folla di oltre 3500 persone, un record di spettatori che verrà battuto solamente nel 1909, proprio nella partita che incoronerà per la prima volta Karlsruhe quale regina del calcio tedesco. Non grazie al KFV (che vincerà comunque la stagione seguente), bensì ai cugini del Phönix, vittoriosi 4-2 sul Viktoria Berlin davanti a 10mila persone. Novantotto anni dopo a Karlsruhe, città che insieme a Monaco e a Berlino è l’unica ad aver avuto più di una sua squadra campione di Germania, si è tornati a vivere un “großer und historicher Moment”.

Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it

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