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Anghileri, il nostro sport e la nostra Gazzetta

Oscar Eleni 05/01/2015

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Oscar Eleni dalla collina dove adesso dorme anche Aronne Anghileri, compagno di viaggio per il breve viaggio, sei anni in Gazzetta comunque, dall’abusivato al praticantato al professionismo, nella sala delle varie in piazza Cavour, quella con il grande terrazzo dove venivano a turno i candidati al suicidio, per una cazziata del maresciallo Zanetti, direttore che non ti faceva mai sentire solo, provando ad insegnarti la strada, ma non ti faceva neppure sentire protetto a prescindere, dove volevano buttarsi di sotto quelli che sbagliavano un titolo, mancavano di dare risalto alla notizia giusta. Per la crisi di nervi bastava confondere le lettere su certi sciatori italiani con nomi altoatesini. Aronne vegliava, giudicava, correggeva, aiutava. Era l’uomo dell’equilibrio in una stanza dove viveva una Gazzetta che ora non esiste più, quella dove anche un pallino era passato alla lente d’ingrandimento. Dal genio di Berra, alla bonomia di Palasciano, dall’energia di Marco Cassani, alle voglie represse di tanti giovani, duellanti che ancora possono ricordare.

Con Campana siamo sopravvissuti agli splendori di quella redazione e forse piangiamo insieme l’uomo delle acque, del nuoto crudele che gli ha dato tanto, mai però, l’oro olimpico quando era lui sulla tolda come generale Nettuno, felice scelta del nome di battaglia del Claudio Gregori che lo ha cantato sulla rosea per il giorno dell’addio. Con lui non era mai facile passare l’esame. Leggeva tutto, misurava ogni parola. Correggeva. Una volta, parlando di un ostacolista, Buttari, forse il padre di Fontecchio, talenti, figli di una grande scuola, sbagliammo aggettivi. Fu una lezione magistrale. Indimenticabile, anche nelle notti dove la reprimenda diventava incubo.

Siamo tristi, ma ci resta il tempo per godere anche di altre cose: ad esempio la bella intervista di Perrone, sul Corriere della Sera, a Cino Marchese. Un tipo del genere, amante del basket, oltre che grande creativo per lo sport spettacolo, avrebbe fatto benissimo al sistema. Ancora oggi ha idee da proporre. Ma vuoi mettere con le puzzette di oggi? Puzza sotto il naso, puzza a prescindere.
Siamo più soli e non sapremo mai dal giudice Anghileri come fu risolto il problema di cuore che teneva il Marco Cassani appassionato e competente di atletica nella “prigione” del basket, anche se poi, un giorno, arrivò l’illuminazione che ridava senso a tutto: il basket come atletica giocata. Oggi Cassani, che ha lasciato in eredità figlie splendide, una delle quali è il motore del comitatore regionale della federatletica prosciugata, saprebbe spiegare meglio di tutti questa palla rimbalzata, questi saltoni che nascondono tutto il resto quasi più del tiro da tre che se va dentro ti fa diventare un mago, ma se esce, a parte certi cronisti che considerano sfortunato un tiro sbagliato, come se i ferri del canestro fossero pali di una porta, provoca dolorose riflessioni e gli ultimi sotto processo sono gli allenatori caduti nella quattordicesima giornata, oltre al Banchi tradito contro il Novgorod dai suoi eroi che amano il tre palle un soldo.

Giornata di verdetti quasi definitivi. Abbiamo sette squadre per le finali di coppa Italia nei container di Desio. Stranamente la pallavolo è andata in piazza Azzarita, a Bologna, terra di basket. I cestomanti di RCS se ne fottono. A loro va bene il palazzo delle farfalle della ginnastica ritmica e, se avranno più fortuna che nelle selezioni per fare due squadre divertenti da mandare in campo il 16 gennaio a Verona, nella presunta partita delle stelle poco filanti, forse recupereranno Cantù, che in quel palazzo ha vissuto momenti importanti e forse ci tornerà quando inizieranno (ma inizieranno in un paese dove le strade franano a 10 giorni dall’inaugurazione?), anche se Avellino potrebbe risolvere tutto mettendo sale sulle ferite di Varese.

Pozzecco pronto a farsi da parte. Possibile che non ci siano mai le misure giuste nel valutare le cose?Certo, come dice il maestro Riccardo Muti, non basta contorcersi sul podio del direttore d’orchestra, fingere di dare il tempo agitando la bacchetta, bisogna respirare con l’orchestra capirne i problemi, farsi le ossa. Ora Pozzecco ha bisono di questo ed avrebbe avuto bisogno di una squadra dove sperimentare, lanciare, osare, rischiare. A Varese ha trovato giocatori affettuosi, ma sapete come capita nelle grandi famiglie, s’insinua sempre qualche serpente.

A proposito di allenatori e direttori d’orchestra. L’associazione che guida la “scuola”,  benedetta da Cappellari e Carlà, dovrebbe farsi spiegare dai giocatori presuntuosi, dai dirigenti che mascherano i loro difetti cambiando fino allo sfinimento, mandando a casa allenatori, ma anche giocatori sui quali si è lavorato davvero poco, perché mai si riconosce che certe orchestre funzionano grazie a direttori di qualità, mentre nello sport prevale l’idea che i risultati li fanno i grandi giocatori. Magari è vero che senza un primo violino di qualità si va a fondo, ma, se lavori, l’orchestra rende, se lavori ogni giorno, se sperimenti, se fatichi. Non basta il teatro, la piroetta. Ci vuole umiltà, capacità di sentire cosa sono certi sdeng sui ferri.

A proposito. Nel momento in cui tutti celebrano la via trentina per un basket di grande qualità, società forte, con idee, squadra protetta, ma non esentata dal lavoro come un vigile qualsiasi a Capodanno, qualcuno ricorda come passò il primo anno Maurizio Buscaglia nella Trento felix? Qualcuno voleva cacciarlo, frenato soltanto dal fatto che c’era un oneroso contratto in essere, e a Trento si paga tutto, fino in fondo. Resistettero, per fortuna, una promozione via l’altra, ed ora eccoli insieme a cavallo di una stella, mentre il nostro esploratore di nuove terre, niente cinema, soltanto azione e sostanza, si troverà coinvolto il 16 gennaio a Verona nella farsa della partita per  “stelle”. Un cinemino. Qualcuno si divertirà comunque. Certo non sapere che la data sarebbe andata a sbattere sugli impegni di eurolega dell’Emporio Armani dimostra quanti dilettanti sono allo sbaraglio nel mondo dei corpicini volanti che sognano una televisione tutta per loro e pretendono, una cosa vergognosa, di avere già oggi, in casa d’altri, quelli che suonano il piffero soltanto come piace a loro. In altri ambienti interverrebbero. Qui si fa finta di nulla, d’altronde i ci sono garanti cartacei, fedelissimi, annidati nelle petroliere dell’immagine.

Navi dove spesso si rompe qualcosa. Sfortuna. Certo. Ma vedere il supplementare di Venzia senza l’aiuto della grafica, tempo e punteggio, è stato doloroso anche se Dembinski e Michelini si sono fatti in quattro per tenerci aggiornati mentre il computer di bordo segnalava la goffa avaria, goffa come le consultazioni della ripetizione istantanea delle azioni dove gli arbitri non hanno visto bene.
Non c’è molto da dire ancora nel giorno della tristezza e degli adii, passare alle pagelle fingendo che tutto sia come prima, ma quella stanza vuota di piazza Cavour la rivediamo tutte le notti e piangiamo ricordando come eravamo, come avremmo voluto essere, come siamo finiti.

10 Al SARDARA sassrese che ha creato un gioiello prima di Longhi e Trainotti a Trento. L’unica cosa che non ci convince è questa idea che sia importante soltanto partecipare. Infatti non è così e lo capisci quando vedi il presidente con l’occhio da tigre e Meo Sacchetti che mastica tutto quello che sembra il cervelletto di certi suoi giocatori.
9 Alle SOCIETÀ che pur sapendo di aver sbagliato nelle scelte dei giocatori non intendono partecipare alle aste dei soliti agenti che ti propongono il salvatore delle mutande, uno che, magari, fa un partitone all’esordio e poi diventa come tutti gli altri.
8 Al MORETTI che sembra sentirsi libero e leggero soltanto lontano dalla sua Pistoia. Certo sapere che uno capace di fare stagioni strardinarie trova a casa sua i contestatori è qualcosa di tragico, ma nel paese calciocentrico questa sembra la legge.
7 A Jerome DYSON che nello splendore dell’esibizione al Taliercio, dove Venezia ha trovato la nebbia già nei tiri liberi cadendo contro Sassari, ci ha dimostrato che con i giocatori di talento è meglio essere pazienti, esigenti soltanto sull’etica del lavoro. Lui ha risposto bene nell’emergenza.
6 Al POLONARA che ha spezzato le alucce della povera Caserta. Ci piace vederlo attivo, creativo, saltatore, tiratore, magari anche difensore, ci piacerebbe vederlo sempre nella luce di una partita e non nei coni d’ombra dove spesso va a nascondersi, aspettando sempre di essere osannato dalle curve. Gli piace troppo festeggiare come se facesse un gol. Gli spiegheranno, prima o poi, che mentre lui saluta e goisce può capitare, con le squadre forti succede, chiedere a Venezia contro Sassari, che gli avversari siano già lanciati nel buco lasciato da lui?
5 Allo STONES veneziano che ha fatto vedere tutto il suo potenziale creativo, a rimbalzo, un po’ anche in difesa contro ossessi troppo veloci e piccoli per lui, ma che non è entrato in quintetto perché arrivando al Taliercio si è trovato il tamponamento che lo ha fatto ritardare. Ne abbiamo visti tanti fare cose del genere. Per questo certi incidenti portano allenatori e dirigenti ad insistere perché le ore prima della partita si possano passare insieme. Certo costa. Rompe se hai famigliari ossessivi. Ma costa di più non avere il giocatore quando serve.
4 A VERONA che, come TORINO, dovrebbe spiegare a questi dirigenti della moneta mai sonante che non ha senso inventare formule nuove se poi nel campionato professionistico giocano squadre di società che pagano a stento, se pagano, gli stipendi, mentre in attesa ci sono gruppi forti, ma spesso impazienti. Verona che cercherà di rendere piacevole la farsa di una partita per stelle di seconda mano anche se Allan Ray dice di aver sempre sognato una convocazione per festini del genere.
3 A CUCCAROLO, centro della Virtus Bologna un po’ sfortunata e un po’ trasandata, perché non riesce a gioire anche quando gioca bene. Certo ha perduto sul campo, ma chi avrebbe scommesso su questo pindolone quando si presentò in palestra a Treviso e quasi non riusciva a stare dritto. Ci volle una grande pazienza, una vera scuola, la Ghirada era quel paradiso accidenti, adesso abbiamo un cambio decente anche per la serie A. Il basket dovrebbe vantarsi di aver dato una vita vera a ragazzi come questo gigante.
2 AI SAPIENTONI, soprattutto bolognesi, che ci hanno scritto, telefonato, inviato messaggi per spiegare che l’EMPORIO ARMANI è fuori categoria in questo campionato. Lo sapevano anche i sassi e la grande Sassari che per due volte ha portato via una coppa a Banchi. Il problema, come dice spesso il cittì azzurro Simone Pianigiani, è fuori dal dazio comunale. Il Novgorod non è una gran cosa. Trovarlo a più venti al Forum è stato doloroso anche perché chi lo ha subito pretendeva poi che la gente gli facesse pure festa.
1 Alle SFORTUNE RAI per la grafica nei finali di partita. Certo qualcosa non funziona e la colpa, dicono, non è di chi trasmette, di chi allora? Aspettando la testa dei colpevoli recidivi bisognerà rivedere anche questa leggina che obbliga tutti ad avere una emittente locale come partner. Regalare a certa gente è vergognoso. Ricordare la storia delle perle ai porci? Rivedere tutto. Dall’agibilità dei palazzi, alle docce per gli arbitri. Ascoltare i Cino Marchese non tenerli fuori da palazzi infami.
0 Al Gianmarco POZECCO che non può cavarsela, quando le cose vanno male, perde, lo squalificano, che è pronto a farsi da parte. Troppo comodo, troppo facile. I suoi problemi come grandissimo giocatore nascevano proprio da quello. Non resisteva. Se ne andava dall’allenaento. Adesso ha la responsabilità di una orchestra importante, seppure impoverita, come quella di Varese. Ci ragioni, ci canti anche sopra, ma per carità non si faccia da parte. Bere il calice, questo lo farà diventare un tecnico e anche un uomo migliore.

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto (foto di www.gazzetta.it)

 

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